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Tunisia

Perché il nuovo M5s di Grillo e Conte farà concorrenza al Pd

Obiettivi e scenari per il Movimento 5 Stelle post Vaffa architettato da Grillo per Conte. L'analisi di Gianfranco Polillo

Se alla fine tutto finirà come deve finire, si scoprirà che, in tutti questi mesi, Nicola Zingaretti ha lavorato per il Re di Prussia. Per dare a Beppe Grillo, incoronato re della sinistra italiana, quella rivincita a lungo agognata. Far pagare al “PDL meno L”, come lo stesso definiva quel partito, il fio di non averlo ammesso, in passato, nel salotto buono di Via delle Botteghe oscure.

Tutto è legato alla riuscita dell’operazione Conte. Destinato a divenire il capo politico del “nuovo” Movimento, che andrà scritto senza ricorrere alla maiuscola di “V”. Emblema del vecchio “vaffa”. Capo politico, ma sempre sotto l’ispirazione dell’Elevato, pronto ad intervenire, come si è visto, nei momenti cruciali. Garante di quella piattaforma politica preannunciata da Luigi Di Maio nell’intervista a Repubblica. Non una voce dal sen fuggita, ma la nuova “novella” che dovrà caratterizzare la metamorfosi del movimento in partito politico: il 5 stelle 2.0.

Ci troveremo, pertanto, di fronte ad “una forza moderata, liberale, attenta alle imprese, ai diritti, e che incentra la sua missione sull’ecologia”. Ed è qui che nascono i problemi per il PD. La piattaforma, appena indicata, si mostra configgente con le posizione di quest’ultimo. Concorrenza pura, visti anche tentativi, a Bruxelles, da parte dei figliocci di Beppe Grippo di accasarsi nella più grande famiglia del socialismo europeo. Il che accentuerà inevitabilmente gli elementi di competitività. Fino a cambiar segno alle vecchie ipotesi: quelle che consideravano Giuseppe Conte un semplice punto di equilibrio della coalizione giallo rosso, e non il leader in grado di togliere spazio agli uomini del Nazareno.

Al di là della genericità di quella piattaforma. Oggi tutti sono moderati, liberali e via dicendo. Il problema è capire quale possa essere il target effettivo del nuovo partito. Considerato ch’esso è, inevitabilmente, destinato a perdere qualche pezzo. Quella parte di elettorato, sempre “NO qualcosa”, che, all’inizio aveva fatto le fortune del MoVimento. Ed allora una delle possibili ipotesi è quella del giovanilismo. Un po’ grazie alla minore età dei suoi militanti, un po’ per la cultura metropolitana che lo ha sempre ispirato.

Fosse così, il PD si troverebbe in grave difficoltà, potendo contare solo su un bacino d’utenza sempre più ristretto, costituito da teste canute e nostalgici di un’epoca passata. Mentre i ceti più professionalizzati cercherebbe altrove – Matteo Renzi o Carlo Calenda – la loro rappresentanza politica. Chi prevarrà? Difficile fare previsioni. Entrambi – il PD e la nuova creatura di Beppe Grillo – saranno costretti ad una lotta su due fronti. Da un lato quella fratricida per la difesa del proprio spazio vitale, all’interno di uno stesso schieramento. Lo si è già visto a Roma, per le prossime comunali. Dall’altro la necessità di espandersi verso il centro e la destra, per sottrarre alle altre forze politiche fette di consenso. Operazione tutt’altro che semplice.

Perché il tutto dovrà avvenire in una fase in cui le risorse del sistema tenderanno sempre più a scarseggiare. Superata la fase della pandemia, infatti, si tratterà di ricostruire. E come avvenuto nello scorso dopoguerra non basteranno le sole risorse del Recovery Plan, come allora non bastarono quelle del Piano Marshall. Ma sarà indispensabile una politica di sviluppo, si potrà discutere se più o meno sostenibile, per evitare l’esplosione del debito, allargare le basi produttive del Paese, ricondurre il livello di disoccupazione entro parametri più rassicuranti.

Attualmente il Paese è scisso completamente. C’è una minoranza, lo ricordava ieri Dario Di Vico dalle pagine del Corriere, che è andata avanti, nonostante la crisi. Quella “continuità produttiva che ha permesso di arginare la frana, di tenere agganciate le forniture italiane alle grandi catene internazionali del valore, di aumentare le esportazioni italiane del Made in Italy (+3,3%, intero 2020 su intero 2019), di modernizzare le aziende per tenerle al passo dell’evoluzione digitale e commerciale”. Di produrre – aggiungiamo noi – da diversi anni un surplus della bilancia dei pagamenti di oltre 30 miliardi di euro. Ricchezza privata, che resta nella disponibilità di pochi. Data l’inerzia della politica economica.

Una minoranza di fronte al mare di una grande sofferenza. Che deve essere progressivamente prosciugato nell’unico modo in cui è possibile: unendo merito e bisogno contro le nuove e vecchie povertà. Un vecchio slogan che ritorna, contro le mode del momento. Ed allora è difficile non concordare con Mario Tronti quando, rivolgendosi al PD, tuona: “La sinistra si vada a riprendere gli operai che votano Lega, gli emarginati delle periferie metropolitane che votano Fratelli d’Italia, i disoccupati del Sud che non passeranno dal reddito di cittadinanza al posto di lavoro, gli sfruttati precari invisibili dalla pelle di ogni colore, cerchi disperatamente di offrire garanzie al futuro delle giovani generazioni, presti attenzione alla inedita proletarizzazione dei ceti medi, vada a reinsediarsi nel territorio perduto del nord produttivo, non guardi ai moderati che sono rimasti in pochi ma agli arrabbiati che sono cresciuti in tanti”.

Tutto giusto, per carità. Ma con un solo limite: tutte queste cose si potranno fare ma solo all’interno di un progetto più complessivo, una visione unitaria in grado di ricomporre le due società in un grande sforzo nazionale. Che ne siano capaci i 5 stelle 2.0, visti i precedenti, ne dubitiamo fortemente. Che ci riesca un PD, costretto a difendersi dalle scorrerie nel suo territorio, non ci giureremmo. Forse, come mostrano i sondaggi, all’Italia, almeno negli anni prossimi venturi, spetta un diverso destino.

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