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Di Maio Salvini

Tutti i nodi fra M5s e Lega che verranno al pettine dopo la trattativa con Bruxelles. Il Bloc Notes di Magno

Il Bloc Notes di Michele Magno

 

I nodi cominciano a venire al pettine, al di là delle dichiarazioni di facciata di premier e vicepremier. Come è ormai evidente, per Salvini e Di Maio è sempre più difficile disciplinare umori, interessi e obiettivi tra loro spesso divergenti. A Palazzo Chigi coabitano due partiti espressione di due elettorati distinti: uno chiede di redistribuire maggiori risorse al Sud; l’altro di garantire al Nord un fisco più benevolo e il presidio delle frontiere. Il controllo del bilancio pubblico è cruciale per rispondere a queste domande. Ecco perché alla fine hanno deciso di mettersi insieme. Ma la mediazione trovata per mantenere le mirabolanti promesse contenute nella “manovra del popolo” era appesa a un filo molto sottile, come dimostra l’esito della trattativa con Bruxelles sui saldi di bilancio. E quando viene meno la fiducia reciproca tra i suoi contraenti, anche il più solido patto di potere si incrina.

Dopo solo sei mesi di convivenza nella stanza dei bottoni, le strade del gatto campano e della volpe lombarda rischiano di separarsi. Tuttavia, e senza sottovalutare il peso della diffidenza dei mercati e della cronica ostilità dei nostri partners europei, una crisi di governo non mi pare all’ordine del giorno. Né però si può escludere che una rottura si consumi nella primavera prossima, tanto più di fronte a una possibile candidatura del ministro dell’Interno alla presidenza della Commissione Ue.

Del resto, i titoli non gli mancano. Un tempo tra i militanti del Carroccio secessionista comparivano fantasiosi stendardi, ornati di guerrieri bellicosi e spade sfoderate. Oggi le truppe della Lega sovranista marciano invece sulle note di una retorica patriottarda, che scarica abilmente sull’Europa l’eterna protesta e la congenita diffidenza degli italiani verso lo Stato, sentito come una realtà punitiva, estranea e usurpatrice. Paradossalmente, il consenso delle forze populiste domestiche oggi si nutre proprio di questo atavico e inguaribile malcontento, in cui l’arte del compromesso si scompone nella menzogna e nella furberia, si corrompe nella mancanza di principi, si avvilisce nel cinico egoismo.

D’altronde, quando troppo a lungo e impunemente il sistema politico tollera inefficienza pubblica e corruzione privata, lavoro nero ed evasione fiscale, perché dovremmo meravigliarci se scoloriscono i valori del solidarismo umano, i diritti e i doveri che tengono unita una società? Il successo delle campagne contro l’immigrazione, orchestrate con grande spregiudicatezza dal responsabile del Viminale, non è forse ascrivibile proprio ai ritardi civili e culturali del Paese, prima ancora che alle sue povertà materiali?

C’è da chiedersi se non sia ormai tardi per riattivare il senso di una comune appartenenza storica, che sappia opporsi con efficacia a pulsioni plebiscitarie che rischiano di ferire gravemente la democrazia parlamentare. Sì, sono pessimista. Ma il pessimismo è pericoloso solo se induce alla resa; altrimenti, come diceva Giovanni Sartori, il male lo fa il tranquillismo che induce a stare fermi mentre la casa brucia.

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