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Semiconduttori

Come e perché Biden usa l’acciaio per isolare la Cina

Nella Strategia di sicurezza nazionale dell'amministrazione Biden si parla dell'accordo sull'acciaio con l'Unione europea: più che un'intesa commerciale, infatti, era uno strumento per colpire la Cina. Ecco perché.

La settimana scorsa l’amministrazione di Joe Biden ha pubblicato la sua Strategia di sicurezza nazionale, un documento di quarantotto pagine che fissa – appunto – le priorità di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Quelle individuate dall’attuale presidente sono tre: superare la Cina nella competizione economico-politica, contenere la Russia e risanare la democrazia americana.

L’ACCORDO USA-UE SU ALLUMINIO E ACCIAIO

Nel testo compare un riferimento apparentemente insolito: si parla dell’accordo commerciale sull’acciaio e l’alluminio raggiunto a novembre 2021 dagli Stati Uniti e dall’Unione europea. Attraverso quell’intesa, spiega Biden, gli Stati Uniti utilizzano il loro “peso economico per guidare la decarbonizzazione” nel mondo.

“Il nostro accordo sull’acciaio con l’UE”, si legge, “il primo accordo in assoluto sull’acciaio e sull’alluminio che affronta sia l’intensità di carbonio che la sovraccapacità globale, è un modello per i futuri meccanismi commerciali incentrati sul clima”.

IL CONTESTO

L’accordo ha permesso a Washington e a Bruxelles di congelare lo scambio di dazi iniziato nel 2018 dall’ex-presidente americano Donald Trump, che impose delle tariffe sulle importazioni di acciaio (25 per cento) e alluminio (10 per cento) provenienti dall’Unione europea, giustificandole con la difesa della sicurezza nazionale americana. L’Europa rispose applicando dei contro-dazi su tutta una serie di merci statunitensi tipiche – e politicamente sensibili, per i vari stati americani in cui venivano prodotti – come il bourbon o le motociclette Harley-Davidson.

L’OBIETTIVO: COLPIRE LA CINA

L’accordo, però, non servì soltanto a sospendere la trade war fra i due blocchi e a far ritorno allo status quo commerciale: permise anche di istituire un coordinamento internazionale per contrastare la produzione “sporca”, cioè inquinante, di acciaio.

Nel concreto, il patto USA-UE mira a contrastare la Cina, che è nettamente la maggiore produttrice di acciaio al mondo – vale il 56 per cento dell’output totale -, nonché il paese responsabile della maggiore quantità di emissioni di gas serra. Pechino viene accusata da Washington e Bruxelles di saturare i mercati con delle quantità eccessive di acciaio che, dato il loro basso costo, danneggiano le aziende siderurgiche europee e statunitensi.

L’AZIONE CLIMATICA COME ARMA ECONOMICA

Un anno fa Biden dichiarò a proposito che l’accordo con l’Europa serviva a “restringere l’accesso ai nostri mercati dell’acciaio sporco proveniente da paesi come la Cina”. Washington, dunque, utilizza la motivazione ambientale come un’arma per colpire Pechino, restringendo i mercati di sbocco delle sue merci e provando a rallentarne l’ascesa economica, di concerto con Bruxelles.

– Leggi anche: Chip, tutti gli effetti del nuovo blocco Usa alla Cina

IL DAZIO UE SUL CARBONIO

Agli europei, infatti, interessa non solo la riduzione delle emissioni ma anche la protezione delle proprie imprese dalla concorrenza “climaticamente sleale”. Non a caso nel piano Fit for 55, la strategia della Commissione per la decarbonizzazione, è stato inserito un “dazio sul carbonio” (CBAM) da applicare sui prodotti provenienti da paesi extraeuropei che non si sono dotati di politiche rigorose contro l’inquinamento atmosferico.

LA RISPOSTA DELLA CINA

L’ex-ambasciatore cinese in Unione europea, Zhang Ming, aveva criticato l’accordo sull’acciaio tra Washington e Bruxelles, sostenendo che avrebbe contribuito ad “aggravare la tensione” nelle forniture industriali e a peggiorare la crisi dell’inflazione. A suo dire, le politiche commerciali commerciali della Commissione europea sono “chiuse su se stesse”, “unilaterali” e volte alla creazione di “nuove barriere commerciali”.

La Strategia di sicurezza nazionale dell’amministrazione Biden identifica la Cina come la priorità della politica estera degli Stati Uniti, descrivendola come “l’unico paese ad avere sia l’intenzione di rimodellare l’ordine internazionale sia, sempre più, il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per portare avanti questo obiettivo”.

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