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Centrodestra

Il governo fa la festa alla Cgil

Il governo Meloni con il decreto Lavoro ha oscurato il Primo Maggio della sinistra. La Nota di Paola Sacchi

 

Primo maggio con il governo di Giorgia Meloni all’attacco, con l’approvazione del decreto Lavoro, e un’opposizione che, invece, è parsa giocare in contropiede, tutta sulla difensiva. Come condizionata al fondo dal riflesso psicologico del timore che l’esecutivo di centrodestra le abbia un po’ rubato il copyright della Festa dei lavoratori. Cosa che era stata al centro subito della polemica innescata dal segretario della Cgil, Maurizio Landini, contro la stessa convocazione del consiglio dei ministri proprio per il Primo maggio.

Al netto delle accuse all’esecutivo che vengono da Landini, mentre appare più dialogante il segretario della Cisl, Luigi Sbarra, delle accuse del Pd di Elly Schlein, del leader pentastellato Giuseppe Conte, di fare “propaganda”, e poi, entrando nel merito, di far trionfare “la precarietà”, la sensazione è che il governo Meloni abbia oscurato il Primo maggio della sinistra con misure concrete.

Il premier Meloni rivendica il “più importante taglio di tasse sul lavoro degli ultimi decenni”. Matteo Renzi subito replica che invece il più forte fu quello del suo governo con la misura degli 80 euro. Comunque sia, Il governo Meloni ha varato il decreto lavoro, nella data simbolica della Festa di lavoratori, con misure per un ulteriore taglio del cuneo fiscale, dal 3% al 7% nel secondo semestre 2023, l’estensione della detassazione sui fringe benefit e la revisione del reddito di cittadinanza, sostituito dal prossimo anno con l’assegno di inclusione. Il Cdm ha stanziato quasi 4 miliardi per il taglio del cuneo. E, dopo lo “scivolone” della votazione ripetuta in parlamento sullo scostamento di Bilancio, Meloni può esultare: “Abbiamo liberato un tesoretto da 4 miliardi, grazie al coraggio di alcuni provvedimenti che avevamo portato avanti, penso al superbonus e alla questione delle accise, ed oggi destiniamo l’intero ammontare di quel tesoretto al più importante taglio delle tasse sul lavoro degli ultimi decenni”.

Spiega il premier: “Tagliamo il cuneo contributivo di 4 punti e questo taglio si somma a quello che avevamo già fatto nella precedente legge di Bilancio: così oggi, e fino alla fine dell’anno, abbiamo un taglio di 6 punti percentuale per chi ha redditi fino a 35.000 euro e addirittura di 7 punti per i redditi fino a 25000 euro. È una scelta di cui io vado profondamente fiera”. Il taglio del cuneo comporta “aumenti che possono arrivare fino a 100 euro per i lavoratori con i redditi più bassi, in un momento in cui l’inflazione galoppa e il costo della vita aumenta”. Conclude Meloni: “Davvero non riesco a capire chi riesce a polemizzare perfino su questa scelta”. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sottolinea: “Investiamo sui lavoratori e le famiglie. Abbassiamo le tasse fino a 7 punti per i redditi più bassi: è un aiuto reale contro il carovita e la risposta concreta alle chiacchiere. Entrano in vigore anche ulteriori benefici per i lavoratori che hanno figli. Continuiamo sulla strada responsabile della crescita concentrandoci sulle emergenze sociali”.

Dello stesso tenore le dichiarazioni dei due vicepremier, Antonio Tajani, ministro degli Esteri (“Aiutiamo con il taglio del costo del lavoro l’occupazione a crescere, aiutiamo famiglie e imprese ), e Matteo Salvini (“Misure concrete, basta con la sinistra dei no”).

La reazione dell’opposizione è un netto no in cui le parole di Schlein e quelle di Conte quasi si sovrappongono. È stato un Primo maggio dove le misure del governo hanno ancora di più evidenziato la linea della protesta dura della sinistra con assenza di vere contro-proposte. Nelle parole del leader cislino Sbarra, che dice comunque di apprezzare “Il valore che il premier ha dato al dialogo sociale”, si coglie l’imbarazzo dell’ala più moderata di fronte a una protesta così radicale di fronte a un decreto che riguarda cosi da vicino gli italiani. Un atteggiamento che rischia di suonare impopolare. E sul quale ieri sera ha incentrato il suo intervento a Brescia, per la presentazione del candidato sindaco leghista, sostenuto da tutto il centrodestra, Fabio Rolfi, Salvini. Il vicepremier e leader della Lega, insieme con gli altri ministri della Lega Giorgetti, Roberto Calderoli e Giuseppe Valditara, ha sottolineato la netta separazione tra una sinistra “chiusa nelle Ztl, che non è più il partito dei lavoratori” e la realtà dei territori, che “non ha tempo e soldi per l’armocromia”. Il riferimento era alle polemiche su un passaggio dell’intervista della segretaria del Pd a “Vogue”, finito in particolare sotto i riflettori. Giorgetti l’ha messa così, con una battuta: “A chi ci siamo ispirati per il decreto varato oggi? Non certo ai lettori di Vogue“.

Battute a parte, evidente la strategia della Lega di inserirsi nel vuoto che vede nelle proposte a sinistra. Mentre Tajani, che è anche coordinatore di FI, presentando la convention azzurra del 5 e 6 maggio a Milano, dove è atteso in via audio o video l’intervento di Silvio Berlusconi dal San Raffaele, ieri in un’intervista al quotidiano Libero ha rivendicato il ruolo di attrazione di FI anche di quell’area di centro a disagio in una sinistra sempre più radicalizzata. Significativo l’arrivo tra le file azzurre, con il Ppe, dell’europarlamentare eletta da indipendente con i dem, Caterina Chinnici, figlia del giudice Rocco Chinnici. A fronte di un’opposizione radicalizzata e divisa, priva di un baricentro, per paradosso è gioco forza che il centrodestra attragga aree di centro anche della sinistra.

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