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Notre Dame, cattedrale dell’Europa

Il corsivo di Andrea Mainardi   Il ponte era chiuso all’epoca. Lo stavano rimettendo a nuovo. Leos Carax ci girò un film, sopra e intorno. Les amants du Pont Neuf, si titolava il film. Da lì, da quel ponte, il Ponte Nuovo, si scorge Notre Dame di Parigi. Intorno la Senna, e la Tour Eiffel…

 

Il ponte era chiuso all’epoca. Lo stavano rimettendo a nuovo. Leos Carax ci girò un film, sopra e intorno. Les amants du Pont Neuf, si titolava il film. Da lì, da quel ponte, il Ponte Nuovo, si scorge Notre Dame di Parigi. Intorno la Senna, e la Tour Eiffel se ti volti. Ma davanti hai una cattedrale che nei giorni scorsi era in restauro pure lei. Come quel ponte, trent’anni fa.

Non immaginava il regista che mentre girava la sua storia di un amore sbocciato tra giovani più adatti a vita di strada che a salotti, trent’anni dopo la principale chiesa di Francia avrebbe preso fuoco. Girava riprese dal Pont-Neuf e sull’allora Le Samaritaine che sta di fronte. Altro che rive gauche: c’era molta droite. Quella del popolo. Embrionali gilets jaunes da metrò, senza romanzesche incursioni in banlieue. E senza nessuna cattiveria, come accade oggi in certe manifestazioni di piazza.

Ma ieri quelle chiesa che da lì si vedeva e hanno tirato su fin dal Mille, è bruciata, quasi all’osso. E si riprenderà, promettono tutti: dall’arcivescovo di Parigi al presidente francese.

Il fatto è che sul Pont Neuf da tempo riaperto, davanti al palazzo-gran magazzino Samaritaine, come il buon samaritano che soccorre il viandante massacrato di botte dai briganti, ieri notte a osservare il crepitio delle fiamme c’era il pieno di gente. Per lo più in ginocchio. Ce n’erano di più sul retro di Notre Dame: al Pont de la Tournelle, quello dove gli artisti di strada suonano come solo a Parigi puoi suonare. Tutti a guardare un presbiterio crollante. E non solo curiosi. In tanti sgranavano rosari. Nella Parigi della laïcité per legge. In ginocchio.

Davanti al fuoco che ha ferito gravemente un pompiere e, se non ha ucciso, ha martirizzato un simbolo. Notre Dame. Per i parigini è la cattedrale della loro città. Per la Francia è uno dei segni dell’inizio del cattolicesimo per la figlia prediletta della Chiesa. Per tutta Europa è la cattedrale più importante dopo Roma. Ché San Pietro è universale. Notre Dame è Europa.

Forse per imperizia quella fiammella si è appicciata. Ma che le chiese in Francia negli ultimi tempi finiscano in graticola è faccenda che andrebbe approfondita. Sono oltre 800 i casi di vandalismo più o meno importanti registrati in meno di due anni.

Emmanuel Macron ha detto, più commosso che commovente: ricostruiremo. Solo che qualche giorno fa una mano, forse non impreparata, ha infuocato a Parigi il portone di Saint Sulpice. Notizia inosservata in cronaca, senza troppi approfondimenti. E qualcuno ogni tanto tira giù Madonne o spacca Crocifissi di là dalle Alpi. I parroci stanno silenti. Minimizzano. Tocca a un laico come Michel Houellbebecq ogni tanto dirla su. A modo suo.

Probabilmente a Notre Dame è stato un incidente. È quel che sappiamo. La procura ha aperto un’indagine per “incendio non voluto”. L’indirizzo è chiaro.

Comunque. È crollata la copertura del tetto, e sono venute giù decorazioni e gargoyle voluti da Eugène Viollet-le-Duc, architetto che nell’Ottocento si mise a restaurare cattedrali, Notre-Dame compresa, e villaggi (Carcassonne nel sud della Francia) con una sua idea di Medioevo – forse filologica, probabilmente immaginaria. Non importa. O forse sì, dato che qualche intellò derubrica il falò della cattedrale parigina al falò in fondo di un neo-gotico da semi-baraccone. Quindi se si infiaccola, non c’è da rabbuiarsi tanto. Si ricostruisce. Epperò si alza il sopracciglio di fronte al popolo, francese ed europeo, che quell’autodafé lo legge come simbolo. E ne ha diritto. Che le cattedrali le ha costruite il popolo. Non chi del popolo vuole servirsi.

Molto o tanto, Notre Dame è crollata. Sono state conservate le preziose reliquie. La statua di Nostra Signora, nonostante il collasso del presbiterio su cui si affacciava, è rimasta in piedi. La Croce anche. Stat crux dum volvitur orbis.

La cattedrale sarà riparata, ricostruita. Con le volte, oggi in parte crepitate, sotto le quali nel Natale del 1886 si convertì Paul Claudel assistendo a una messa. Non a discorsi. A una celebrazione liturgica e alla bellezza dei canti.

Intanto i leader che in piazza comiziano imbracciando rosari e ondeggiando vangeli, ieri pare fossero per altri tweet affaccendati. Solidarietà a Oltralpe è arrivata. Ci mancherebbe. Poi si è fatta un po’ distratta da altre questioni. Immediata era stata la reazione del sindaco di Londra, musulmano.

Ché la notizia dell’incendio è un’altra: la droite popolare, o quella che dalle banlieu è accorsa all’ Île de la Cité per capire, osservare – fregandosene della retorica sulle periferie – a quel centro aveva bisogno di andare. In molti sono andati a pregare. Con buona pace degli intellettuali che spallucciano sul fatto che “tanto si ricostruisce”, e “mica era tutto originale”, e discetta di rimaneggiamenti nei secoli, ché Notre Dame ne ha subiti parecchi, e la flèche crollata era un mezzo falso ottocentesco. E via di filologia. Ecco, loro, i parigini (anche) delle periferie che sgranavano rosari, sono quel popolo che le cattedrali le ha costruite. Che, come gli amanti del Ponte Nuovo, sanno il senso del simbolo che certa gauche raffinata ha perduto. Della necessità di abitare uno spazio. E del simbolo di una chiesa che sta al centro. Un centro, urbano e del cuore, oggi sempre più boicottato in favore di un presunto popolo o populismo periferico, cullato per favori elettorali, falsamente valorizzato nel negare la bellezza e la necessità del cuore. Un centro che deve essere di bellezza abbagliante, come i rosoni di Notre Dame che hanno praticamente retto il crematorio che gli si consumava intorno. Vetrate che a quello servono: essere centro che illumina gli angoli delle periferie. Periferie che infatti a quel centro continuano a guardare.

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