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Ennio Flaiano

Mi è apparso in sogno Ennio Flaiano

Il Bloc Notes di Michele Magno

“Girando attorno a Roma si capisce meglio la lingua di questo popolo e la nessuna cura che mette nel piacere agli altri. Il paesaggio sembra duro, grezzo, troppo forte per essere amato e la toponomastica sorprende per la sua crudeltà. Eppure col tempo il paesaggio scopre nella sua apparente indolenza una severa bellezza, la stessa dei ruderi, degli alberi, delle rocce, dei fossi e del continuo ondulamento del terreno che rende profonde le distanze, improvvisi i colli, sospetti i campi, deserti i poggi, inaccostabili i casali. Si pensa che i nomi messi a certi luoghi siano già una difesa, un modo di allontanare il viaggiatore. Sull’Ostiense c’è una Via di Malafede. Un Infernaccio c’è sulla Magliana. Un Casale della Pidocchiosa c’è sull’Aurelia. Verso Tivoli c’è un Canale Coccia di Morto […]. Nessun nome grazioso, nessun belvedere, nessun prato fiorito, nessuna concessione al forestiero o al viandante. Tutto parla di misfatti, di fughe, di cattivi incontri, di calamità, di vendetta […]”(Ennio Flaiano, “La solitudine del satiro”).

Post scriptum: mi è apparso in sogno Flaiano. Mi ha detto che domani, turandosi il naso, voterà Roberto Gualtieri.

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“Il Fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità. Il fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di cultura, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli “altri” le cause della sua impotenza o sconfitta. Il fascismo è lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, ma alacre, plagiatore, manierista. Non ama la natura, perché identifica la natura nella vita di campagna, cioè nella vita dei servi; ma è cafone, cioè ha le spocchie del servo arricchito. Odia gli animali, non ha senso dell’arte, non ama la solitudine, né rispetta il vicino, il quale d’altronde non rispetta lui. Non ama l’amore, ma il possesso. Non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire agli altri l’ascesa al potere. Intimamente crede in Dio, ma come ente col quale ha stabilito un concordato, do ut des. È superstizioso, vuole essere libero di fare quel che gli pare, specialmente se a danno o a fastidio degli altri. Il fascista è disposto a tutto purché gli si conceda che lui è il padrone, il padre. Le madri sono generalmente fasciste” (Ennio Flaiano, “Don’t Forget”).

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Il metro è la lunghezza del cammino percorso dalla luce nel vuoto in un intervallo di tempo di 1/299.792.458 di secondo  (Conferenza generale dei Pesi e delle Misure, 1983)

Se ci chiediamo qual è l’invenzione che ha caratterizzato il passaggio dal secondo al terzo millennio, la risposta non può che essere il computer, la macchina per i calcoli universale, quello che una volta veniva chiamato “cervello elettronico”. Nella prima metà del Novecento un maestro del cinema come Charlie Chaplin aveva utilizzato la catena di montaggio come simbolo dei “Tempi moderni”, anche se per denunciare l’alienazione che produceva. Oggi il simbolo della modernità non potrebbe essere che un chip. Nell’arco di un trentennio il microprocessore ha cambiato il nostro modo di consumare, di lavorare, di divertirci, di curarci. Insomma, ha cambiato la nostra vita.

Se invece potessimo chiedere ai nostri antenati dell’Ottocento qual è l’innovazione che più ha cambiato la loro vita, probabilmente darebbero una risposta che a molti parrebbe stravagante. Eppure, quando spieghiamo a un turista la strada per un monumento, tendiamo spontaneamente a dare indicazioni in cifra tonda (“Dopo cento metri, volti a…”).Più in generale, ci esprimiamo per cifre tonde perché sono rapide da comunicare, anche se il nostro interlocutore sa che sono approssimative. Ogni sistema di misura, del resto, è congegnato attorno a specifiche soglie numeriche che finiscono per determinare quello che pensiamo, e non solo quanto mangiamo o spendiamo.Abbiamo constatato la potenza di questo fenomeno col passaggio dalla lira all’euro, laddove i prezzi sono lievitati anche per adeguarsi alle soglie decimali della nuova moneta.

Ebbene, qualcosa di ancora più dirompente è accaduto due secoli fa con la comparsa del sistema metrico. Gli italiani si sono sottoposti a un meticoloso e lunghissimo allenamento collettivo, prima di interiorizzare una innovazione che cambiava la loro percezione della realtà. Oggi ci sembra naturale quantificarla secondo le divisioni e i multipli del metro. Ma non era così agli inizi dell’Ottocento. L’introduzione del metro in Italia è stato un cammino accidentato, interrotto da accesi contrasti e accanite resistenze. I suoi detrattori non mancavano di pronosticare reazioni negative dei ceti popolari e rischiosi sconvolgimenti nei mercati, nei costumi e negli equilibri di potere delle comunità locali. Ciononostante, il tema è rimasto in ombra nella storiografia risorgimentale. Forse perché è stato sempre considerato un aspetto tecnico della più ampia vicenda del liberalismo commerciale ottocentesco. Al contrario, ha giocato un ruolo non trascurabile nella formazione dell’identità nazionale.

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