Ogni giorno ha la sua pena. Oggi ci tocca quella di leggere l’editoriale del professor Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera che si esibisce in qualcosa a cavallo tra inversione a U e un triplo salto carpiato con doppio avvitamento.
Il Nostro teme che l’Europa sia troppo debole di fronte a Putin che vuole abbeverare i suoi cavalli alla fontana di Trevi e la Cina di XiJinping che domina la tecnologia che usiamo tutti i giorni.
Allora come se ne esce? Facendo debito comune, perché quest’ultimo “obbligherebbe” (si, ha usato proprio questo verbo) a “comporre interessi contrapposti”. Sull’esempio di quanto accadde negli USA alla fine della guerra di indipendenza dalla Gran Bretagna, ad opera del primo segretario al Tesoro Alexander Hamilton.
E la democrazia, i Parlamenti? Non pervenuti. Sarebbe interessante conoscere l’opinione in proposito dei professionisti dell’antifascismo in servizio permanente effettivo che in queste ore si stanno spellando i polpastrelli per commentare la presunta censura di uno scrittore.
Ci sono tante cose da fare: armare gli ucraini per farli combattere fino all’ultimo uomo, costruire una difesa autonoma, fare ricerca per la transizione energetica. E allora (udite, udite…) “occorre abbandonare l’idea che il debito sia solo un onere trasmesso alle generazioni future. Se indebitarsi oggi per investire, consentirà ai nostri nipoti di vivere in un continente libero e che cresce perché collocato sulla frontiera della tecnologia, ripagare il debito sarà un onere minore. Anche perché il debito pubblico non deve necessariamente essere ripagato: l’importante è ridurre il rapporto tra debito e PIL e questo dipende dalla crescita. Alla scadenza il debito pubblico può sempre essere rimborsato riemettendo altri titoli”.
Banalità che economisti liberi scrivono da decenni vengono oggi proposte senza fare una piega. Ci hanno fatto vivere per decenni con i contatori del debito pubblico brutto sporco e cattivo e con il mito dell’austerità espansiva e oggi, Giavazzi, con un opportunismo degno di miglior causa, ribalta tutti i luoghi comuni e coglie fior da fiore, con la differenza che si tratta di fiori avvizziti, spacciati per fiori di campo appena raccolti.
Giavazzi non spiega perché – dato che il debito pubblico non è più un problema – quelle stesse cose, ammesso e non concesso che siano desiderabili, non si possano fare a livello nazionale. Ci sono molte decine di Nazioni sul pianeta, più piccole dell’Italia che competono efficacemente sui mercati internazionali. Perché la Corea del Sud e la Svizzera (due esempi a caso, per non parlare del Giappone) possono farlo e noi no? E poi, visto che la UE esiste dal 1992 e, da allora, anziché essere fattore di maggiore competitività, siamo solo indietreggiati nei confronti internazionali, sicuro che con il debito comune si risolve tutto? Giavazzi ammette che il Pennello Grande non ha funzionato ma è convinto che ce ne voglia uno grandissimo, quando basterebbe solo un Grande Pennello.
Ma Giavazzi ci distrae col dito delle banalità sul debito per venderci la luna dell’agenzia europea del debito. Un vecchio pallino di certi ambienti, perché c’è da risolvere il problema delle migliaia di miliardi di titoli pubblici in carico alla Bce, in sostanziale violazione dei Trattati. Ma il debito comune esiste già ed è in carico alla Bce, al Mes, alla Bei, alla UE.
Purtroppo il Nostro si dimentica di dirci che quelli sono debiti contratti in base ad una garanzia comune ma non solidale. Ogni Stato risponde per una frazione dell’intero, senza solidarietà. Poiché il vero debito comune, prevede un vincolo di solidarietà, non previsto dai Trattati (per non parlare della Costituzione tedesca). Allora a che serve spostarlo, senza garanzia solidale?
Grazie, professore. Non compriamo niente e, nel caso, chiamiamo noi.