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Legislative Francia

Vi spiego le mosse geopolitiche di Macron

L'intervento di Daniela Coli

 

La Legion d’honneur è un riconoscimento francese assegnato a politici, accademici, scrittori, giornalisti, attori, calciatori, stilisti, etc, francesi e stranieri considerati eccellenti nelle loro professioni. Chirac la conferì a Claudia Cardinale alla quale lo legava un’affettuosa amicizia, come si scriveva negli ’50. La Legion d’honneur non è assegnata per particolari impegni negli human right, anzi è una dottrina spesso criticata perché usata strumentalmente dagli Stati Uniti per rovesciare regimi in Sud America e Medio Oriente.

Nella corsa alla restituzione della Legion d’honneur di giornalisti come Corrado Augias e altri per protestare contro Macron e Al Sisi per il caso Regeni, l’Italia esprime, come osserva Dario Fabbri su Limesonline, la frustrazione per essere finita in un vicolo cieco e per avere con la Francia soltanto un ruolo ancillare, mentre può fare ben poco contro il Cairo, se non vuole rinunciare all’importante ruolo di Eni in Egitto e alle commesse di Fincantieri e Leonardo.

La politica della Francia è razionale e realistica per Fabbri: Macron vuole impedire all’Islam, come a qualsiasi religione, di avere un ruolo politico in Francia, perciò sostiene Al Sisi contro i Fratelli Musulmani, protetti dalla Turchia. Macron si erge a difensore del Mediterraneo orientale nell’annosa disputa tra Grecia e Turchia, ma in Libia la Francia sostiene la coalizione russa-egiziana che espellerebbe definitivamente l’Italia dalla Libia e per questa ragione il Bel Paese può solo attaccarsi alla Turchia a Tripoli.

Va però aggiunto che la Francia ha anche ambizioni in Medio Oriente e in Africa e le porta avanti con alleanze adeguate all’insegna della Realpolitik. Macron si è precipitato in Libano, dopo l’esplosione del porto di Beirut, per asserire l’egemonia di Parigi nell’ex-colonia. La Francia ha un impero in Africa e combatte in Mali con tedeschi, inglesi e italiani per difenderlo. La Francia sa fare politica: ha bisogno dell’Egitto, uno stato con 100 milioni di abitanti e un esercito importante, e dell’Arabia saudita, che ha finanziato il golpe di Al Sisi contro la Fratellanza Musulmana. Avendo una visione del proprio ruolo nel mondo sa che dopo il ritiro anglo-americano dal Medio Oriente, l’Europa potrebbe avere poche chance, come ha scritto Gideon Raichman sul Financial Times, e la Francia non vuole essere esclusa dal Medio Oriente, né dall’Africa. E anche la Germania che aprì la porta ai rifugiati siriani, mentre tutti davano di idealista alla Merkel, ha qualche carta da giocare.

Non è più tempo di Arab Spring: Erdogan fu allettato dal piano di Obama delle “twitter revolution”, come le chiamavano in US i think tank democratici ancor prima della nomination di Obama. Barry creò il caos nell’Egitto di Mubarak, fedele alleato degli Stati Uniti, e in Siria con una guerra civile appoggiata da francesi e americani per rovesciare Assad, separare la Siria dall’Iran e dare il Golan a Israele, come dichiarava Hillary Clinton nelle sue esplosive email declassificate. La Turchia aveva aperto la frontiera a foreign fighter europei e arabi che andavano a combattere con i jihadisti perché Assad must go.

Col tentativo di colpo di stato della Cia in Turchia del 2016, Erdogan cambiò subito fronte e si schierò con la Russia di Putin che difendeva Assad insieme a iraniani e Hezbollah fino a firmare la pace di Astana. Dopo l’intervento russo in Siria nel 2015, con l’ok del Pentagono (secondo Sy Hersh), di Siria, Iraq e Iran, i francesi capirono di avere ormai un ruolo secondario in Siria e passarono ad altro. Si preoccuparono però di fare eliminare i foreign fighters francesi dagli Stati Uniti e dall’Iraq per fermare gli attentati jihadisti che già devastavano la  Francia. Basta vedere qualche puntata de Le Bureau des Legendes per capire come si muove la Dgse: manda una sismologa in Iran per spiare il programma nucleare iraniano e un insegnante di francese a Damasco per preparare la rivolta contro Assad.

La Francia ha una lunga tradizione militare e imperiale e sa muoversi (vedi Pétain-De Gaulle), ha ambizioni e sa come agire nelle relazioni internazionali: nel 1966 uscì dalla Nato con De Gaulle, ci rientrò con Sarkozy, ma Macron, europeista come Valéry Giscard Estaing, ha capito che i tempi sono maturi per dichiarare la Nato brain dead. La Francia ha avuto un accademico ucciso spietatamente nelle carceri del Cairo, ma ha continuato a sostenere e finanziare Al Sisi. La Dgse, come la MI6 o la Cia, non dichiara certo le perdite. In Egitto opera anche Total insieme a Eni e BP: da poco è stato scoperto u nuovo importante giacimento di gas. Eni e BP hanno quote maggiori di Total e, nonostante il presidente Al Sisi sia aperto al nostro paese che gli vende grandi forniture di armi, potrebbe anche irritarsi se gli viene scatenata una campagna ostile e BP e Total potrebbero avvantaggiarsene ai danni di Eni: business is business. C’è poi la Grand Ethiopian Renaissance Dam dal 2011, un colossale progetto egiziano che ha innescato controversie con l’Etiopia, appoggiato dalla Cina, l’Italia, la Francia e UK.

Occorre rendersi conto che gli Stati Uniti con Obama hanno combattuto from behind, Trump ha ritirato le truppe dalla Siria, le ritirerà da Afghanistan e Iraq. Ha probabilmente ha avuto un ruolo nell’uccisione di Soleimani all’aeroporto di Baghdad, perché – come sostiene Patrick Cockburn, uno dei più grandi corrispondenti dal Medio Oriente – Soleimani era andato a Baghdad per una trattativa con l’Arabia saudita e Trump voleva fermarla. Trump ha fatto gli Abraham Agreement con Israele e vari paesi arabi, non ancora con l’Arabia saudita, ma questi accordi sono normalizzazioni, ripresa dei rapporti diplomatici con paesi che già avevano buoni rapporti con Israele. Gli Emirati, infatti, hanno aderito alla normalizzazione subordinandola ai propri interessi: alla vendita da parte degli US di caccia F-35 e dichiarandosi pronti a comprarli da Francia o Germania in caso di rifiuto. Non è affatto detto che la politica UAE coincida con gli obiettivi di Israele in politica estera. Anche l’Arabia saudita ha ottimi rapporti con la Francia, il Regno Unito, l’Italia da cui acquista armi ed è logorata dal conflitto in Yemen, per cui sarebbe disposta a trovare una soluzione con l’Iran, con cui Francia, Germania, UK, Russia e Cina mantengono rapporti per la salvezza del JCPOA, il trattato sul nucleare da cui gli US si sono ritirati con Trump.

Non si sa cosa farà l’amministrazione Biden od Obama 3.0 in Medio Oriente, ma Biden avrà bisogno di tempo con un paese diviso, dove è considerato presidente illegittimo da quasi metà dei cittadini. Ora, la Francia ha attriti con la Turchia, Erdogan e Macron si minacciano reciprocamente a parole, ma la Turchia è alleata storica della Germania, che ha una importante e integrata comunità turco-tedesca, la Germania vende armi alla Turchia, come la Francia all’Egitto e all’Arabia saudita. L’asse franco-tedesca è forte perché sia Merkel che Macron hanno interesse per la Russia, e Russia e Turchia sono costrette a trovare accordi, come l’impero zarista e quello ottomano. Da una parte la Germania ha una partnership economica con la Russia, e difende NS2, osteggiato dagli Stati Uniti con sanzioni durissime, dall’altra, Macron pensa alla Russia come partner nella difesa europea. Addirittura se alla fine la Turchia, sanzionata dagli US per avere acquistato il sistema di difesa russo, decidesse di uscire dalla Nato, farebbe felice la Francia e anche la Germania. Nonostante la ministra della difesa tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer abbia avuto un diverbio con Macron sulla Nato, Wolfgang Münchau, prima del 3 novembre, ha scritto che per la difesa europea sarebbe stata preferibile la vittoria di Trump, perché avrebbe immediatamente ritirato la Nato dall’Europa.

Ci sono inoltre i rapporti tedeschi e francesi con la Cina, modulati nella versione Indo-Pacifico dalla Germania per non irritare gli Stati Uniti, ma 14 stati asiatici più Australia e Nuova Zelanda hanno firmato il RCEP, un rapporto di libero scambio con la Cina. Siamo in pieno multipolarismo, gli Stati Uniti non sono più capaci di leadership globale, come ha scritto Ian Bremmer sul Corriere, né il mondo la richiede. In Italia si critica spesso Macron affermando che quando pensa all’Europa, pensa in realtà all’interesse della Francia: e a cosa dovrebbe pensare Macron? Come la Germania, per cui l’Europa è la ragion di stato tedesca, Macron sa che può fare l’interesse francese solo facendo l’interesse europeo. In fondo, se tedeschi, inglesi, italiani aiutano la Francia in Mali non è per puro idealismo.

Macron è simile a Valery Giscard d’Estaing, convinto europeista, autore dell’articolo 50 che ha permesso Brexit, e contrario, diversamente da Prodi a un’Europa federalista. VGE aveva capito che il Regno Unito non stava veramente in Europa e sarebbe stata migliore una partnership politico-militare tra UK e UE, e questo sarà alla fine il risultato di Brexit.

L’Italia, dopo Brexit, è la terza potenza economica in Europa, e se controllasse la vocazione ancillare nei confronti degli Stati Uniti, sognando non si sa quali cabine di regia per riconquistare il mitico Mare Nostrum con gli US, che le hanno bombardato perfino l’ultima ex colonia, si renderebbe conto che può fare il proprio interesse solo in Europa. Cessare di lamentarci come Calimero, un eccezionale fumetto italiano del 1963, pensando meno al passato remoto (non siamo Romani), e accettare l’asse franco-tedesca, senza la quale non esisterebbe nemmeno l’Europa. Non ci si rende conto che senza il trattato dell’Eliseo del 1963 tra De Gaulle e Adenauer e la coppia Mitterand-Kohl non si sarebbe sepolto il ventesimo secolo che è anche la negazione dei valori di Vestfalia del 1648, che mette fine alle guerre tra protestanti e cattolici del ‘600 e inizia il diritto internazionale europeo, completamente scomparso con l’imporsi degli Stati Uniti in Europa. Invece di recitare il ruolo dell’eterna frustata come con l’attuale querelle con la Francia, all’Italia basterebbe ricordare l’importanza di Eni e imparare dalla Francia un po’ di Realpolitik.

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