skip to Main Content

Nietszche Lutero

La morale degli schiavi di Nietzsche e la puttana del diavolo di Lutero

Il Bloc Notes di Michele Magno

Friedrich Nietzsche odiava Lutero, poiché lo riteneva responsabile della restaurazione della religione cristiana che i papi rinascimentali, in particolare Alessandro VI e suo figlio Cesare Borgia, avevano affossato. Questa religione era stata riportata in auge, insieme alla “morale degli schiavi”, dagli istinti più bassi di un monaco oscurantista. Thomas Mann era della stessa opinione. Apprezzava il contributo di Lutero alla formazione della lingua tedesca e la sensibilità democratica del sacerdozio universale. Nonostante ciò, rifiutava il suo pensiero e la sua opera: “Non lo amo, e lo ammetto apertamente. Qualsiasi tedesco sostenitore della purezza culturale della Germania […] mi sconcerta e mi spaventa, anche quando si presenta come paladino della libertà evangelica e dell’autonomia intellettuale; e in particolare suscita la mia istintiva avversione il Lutero collerico e senza scrupoli, lo zotico irascibile che impreca, sputa e inveisce, l’uomo che accompagna a una grande profondità d’animo una rozza superstizione nei confronti di demoni, incubi e mostri. Non avrei mai potuto essere ospite alla tavola di Lutero: probabilmente presso di lui mi sarei sentito come nella casa di un orco e sono convinto che sarei andato più d’accordo con Leone X, Giovanni de’ Medici, l’umanista gentile che Lutero chiamava la puttana del diavolo” (La Germania e i tedeschi, Manifestolibri, 1995).

 

****

Secondo la filosofa tedesca Hannah Arendt, se il potere non ha bisogno di giustificazione, essendo inerente all’esistenza stessa delle comunità politiche, non può però fare a meno della legittimazione: la violenza può essere giustificabile, ma non sarà mai legittimata. È pertanto insufficiente affermare che il potere e la violenza non sono la stessa cosa. Il potere e la violenza sono opposti; dove governa l’una, l’altro è assente. Questo implica che “non è corretto pensare all’opposto della violenza in termini di non violenza; parlare di potere non violento è di fatto una ridondanza[…]. Se la pratica non violenta di Gandhi si fosse scontrata con la Russia di Stalin, la Germania di Hitler, il Giappone anteguerra, invece che con l’impero britannico, probabilmente il suo esito sarebbe stato non la decolonizzazione, ma un massacro” (Sulla violenza,1970). Il potere, insomma, fa senz’altro parte dell’essenza di tutti i governi, ma la violenza no. La violenza è per natura strumentale, mentre il potere è “un fine in sé”.

 

****

Roma: città eterna, ma anche città santa. Fino al sedicesimo secolo, i suoi confini erano disegnati non soltanto dalle mura, ma dalle rogazioni. Introdotte da Papa Leone III (795-816), erano cortei di preghiera e penitenzali che delimitavano simbolicamente il perimetro inviolabile della sede apostolica. Ancora alla fine del Quattrocento, Savonarola l’aveva definita “la meretrice di Babilonia”. Pochi decenni più tardi era diventata “la nuova Gerusalemme”, centro della cristianità e delle attese millenaristiche di una Chiesa trionfante. La presenza degli ebrei, profanatori dell’ostia consacrata, non rischiava perciò di corrompere il “sacro corpo” della città? Per placare l’inquietudine dei fedeli, nel luglio del 1555, con la bolla Cum nimis absurdum Papa Paolo IV (1555-1559) ordinava la creazione di un ghetto a Roma. Ma il primo “serraglio dei giudei” della storia risale al 1516, insediato dalla Serenissima di Venezia in una minuscola isola della parrocchia di San Girolamo a Cannaregio. L’isola aveva ospitato una fonderia di cannoni e campane, chiamata “getto” (dalla gettata di metallo fuso). Nella pronuncia degli ebrei ashkenaziti di origine tedesca, priva di vocali dolci, diventerà “ghetto”.

 

****

“Il Papa [Leone XII] che similmente abolì codici e tribunali istituiti dai francesi volle tornare agli ordini del vecchio tempo, e rinchiuse daccapo i giudei nei ghetti e li astrinse ad assistere a pratiche di una religione che non era la loro, e perfino proibì l’innesto del vaiuolo che mischiava le linfe delle bestie con quelle degli uomini: vani sforzi che poi cedettero dal più al meno alle necessità dei tempi” (Benedetto Croce, Storia d’Europa nel secolo decimonono).

 

****

Nella cultura classica il nero è associato ai giorni funesti, alla morte, agli inferi. Nella tradizione giudaico-cristiana il demonio, principe delle tenebre, si personifica nell’etiope che, per la sua “nigredo”, supera anche l’egizio, storico nemico del popolo eletto. Come “niger puer” si presenta il diavolo ad Antonio e a Gregorio Magno, nera è la valle dell’inferno dantesco. Nella “Chanson de Roland” un saraceno, dal significativo nome di Abisso, è “nero come la pece fusa”.

Poscritto. Adesso capisco perché mia madre, quando ero piccolino, mi diceva: “Se non ti comporti bene, chiamo l’uomo nero!” (si scherza, ma fino a un certo punto).

Back To Top