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Droni

Vi racconto la guerra dei droni in Libia

Che cosa celano i bombardamenti con i droni in Libia.

La Cina si cela dietro l’escalation dei bombardamenti con i droni in Libia.

A renderlo noto è Arnaud Delalande, esperto di aviazione il quale, attraverso l’analisi di alcune foto, ha scoperto che diversi missili cinesi LJ-7 sono stati lanciati contro Tripoli. Generalmente, tali missili vengono utilizzati come principale armamento dei droni Wing Loong, prodotti in Cina, che sono molto utilizzati in Medio Oriente, soprattutto da Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Questi tre Paesi appoggiano economicamente e militarmente le forze del generale Khalifa Haftar che, il 5 aprile, hanno sferrato un’offensiva contro Tripoli, sede del Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Fayez Serraj. Nei giorni successivi all’attacco, il GNA ha denunciato l’uso di droni armati nel conflitto da parte dei rivali. Ad avviso di molti, tra cui l’ex ambasciatore inglese in Libia, Peter Millet, tale fatto comporterà una tragica intensificazione del conflitto, aumentando altresì il numero delle vittime, ad oggi pari ad oltre 200.

Nel 2016, Abu Dhabi ha costruito la base aerea di Al Khadim presso l’ex aeroporto della provincia di Al Marj, nell’Est della Libia, dove ha posizionato numerosi velivoli da guerra Air Tractor e i droni Wing Loong per fornire supporto aereo ad Haftar. Nel corso degli anni, questa piccola flotta è stata impiegata per effettuare missioni di ricognizione e supporto all’Esercito Nazionale Libico (LNA) di Haftar a Bengasi, soprattutto nella lotta contro lo Stato Islamico e il Benghazi Revolutionaries Shura Council, legato ad al-Qaeda. Dal momento che Al Khadim è localizzata lontano da Tripoli, ad avviso di Delalande, è possibile che i droni Wing Loong partano da una piattaforma alternativa nelle vicinanze della capitale al fine di rimanere in volo più a lungo e fornire un supporto ravvicinato.

I Wing Loong, insieme ad altri velivoli a pilotaggio remoto di produzione cinese, stanno proliferando in tutto il mondo, soprattutto in Medio Oriente. Ciò accade per due motivi. Il primo è che gli USA, nonostante siano i leader mondiali nella produzione dei droni, hanno limitazioni imposte dalla legge che impediscono alle compagnie americane di vendere i velivoli a molti Paesi. Di conseguenza, la Cina sta rispondendo alla domanda sempre crescente di droni, fornendoli ad Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iraq, Giordania ed Egitto, secondo quanto riportato da un report dal think tank inglese Royal United Servuces Institute (RUSI), lo scorso dicembre. Il secondo motivo per cui la vendita dei droni cinesi sta aumentando è legata ai prezzi relativamente più bassi rispetto a quelli offerti dalle compagnie di altri Paesi.

Con il tempo, molti governi che tradizionalmente avevano sempre favorito l’acquisto di equipaggiamento militare da produttori occidentali si sono convertiti al mercato cinese, decisamente più vantaggioso. Un esempio è quello della Giordania che, dopo aver ricevuto un no dagli Stati Uniti per l’acquisto di droni non armati Predator XP, nel 2015, ha comprato due CH-4Bs prodotti dalla China Aerospace Science & Technology Corporation (CASC) l’anno successivo. Allo stesso modo, quando Washington si è rifiutata di fornire i droni MQ-1 e MQ-9 all’Iraq, le autorità di Baghdad di sono rivolte alla Cina, acquisendo tre velivoli CH-4Bs.

I droni cinesi hanno fatto il loro debutto nel 2015 in Nigeria, dove l’aviazione locale posizionò i CH-3 per colpire i militanti di Boko Haram. I Wing Loong, oltre ad essere più grandi dei CH-3, sono anche più potenti. Recentemente, l’Arabia Saudita ha ordinato circa 330 Wing Loong, per una cifra pari a 10 miliardi di dollari, secondo quanto riportato dal sito dell’aviazione olandese Scramble Magazine. Già nel 2014, il Regno saudita aveva acquisito due CH-4s e cinque Wing Loong II dalle industrie cinesi. Riad utilizza i droni soprattutto nel conflitto in Yemen, dove dal marzo 2015 bombarda i ribelli sciiti Houthi, facendoli partire dalle basi aeree di Sharurah e Jizan, al confine con il territorio yemenita.

L’avanzamento cinese nello sviluppo e nella vendita dei droni era già stato evidenziato dal Pentagono nel proprio report ufficiale sulle capacità militari cinesi, pubblicato nel 2015, in cui si legge che la Cina ha previsto la produzione di oltre 41.000 sistemi a pilotaggio remoto del valore di circa 10,5 miliardi di dollari tra il 2014 e il 2023. Ad avviso della RAND Corporation, think tank americano legato all’aviazione statunitense, la scalata cinese nello sviluppo e nella produzione dei droni potrebbe avere implicazioni preoccupanti per gli Stati Uniti, tra cui la modernizzazione del People’s Liberation Army (PLA), l’esercito cinese, e un vantaggio nella gestione delle dispute marittime.

Ad oggi, secondo le stime di RUSI, i droni costituiscono ancora una minima parte dell’arsenale militare dei Paesi mediorientali. Tuttavia, sta diventando sempre più credibile l’ipotesi che, in futuro, i velivoli a pilotaggio remoto diventino uno strumento chiave di questi Stati, sia per le attività di sorveglianza sia per quelle offensive. Un indice di tale possibilità è proprio l’ordine di 300 Wing Loong da parte dell’Arabia Saudita nel mese di aprile. Inoltre, come nota Forbes, il maggiore utilizzo di droni comporterà, al contempo, l’acquisto di sistemi di difesa in grado di individuarli e respingerli. Non a caso, l’estate scorsa, una delegazione di ufficiali emiratini ha fatto visita presso alcune compagnie francesi e svedesi specializzate nella produzione di sistemi anti-drone. Nello stesso periodo, la compagnia australiana DroneShield ha reso noto che diversi Paesi mediorientali avevano speso 3,2 milioni di dollari per acquisire 70 pistole anti-droni, prodotte appositamente per abbattere velivoli ostili.

Tali dati inducono a pensare che, se gli Stati Uniti non elimineranno le restrizioni per la vendita dei droni, in breve tempo potrebbero venire surclassati dalla Cina, perdendo il proprio titolo di produttori leader mondiali di velivoli a pilotaggio remoto. Un tentativo per cambiare approccio è stato effettuato da Washington nell’aprile 2018, quando il Dipartimento di Stato ha annunciato una nuova politica sull’esportazione dei droni volta a rimuovere le barriere al mercato globale e a evitare che altri competitor traessero vantaggio dalle proprie limitazioni.

Lo scorso dicembre, inoltre, il consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Bolton, ha svelato la strategia dell’amministrazione Trump in Africa, spiegando che gli USA mirano a contrastare l’influenza della Cina sul continente africano e a spingere i Paesi di tale area a raggiungere risultati grazie agli aiuti ricevuti dagli USA. Nello specifico, i tre interessi chiave elencati da Bolton sono stati: l’aumento del commercio con le nazioni africane, il contrasto all’estremismo violento e l’efficacia degli aiuti americani

(analisi pubblicata da Sicurezza Internazionale; qui l’articolo integrale)

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