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Covid-19, reato di passeggio e buon umore

La vita ai tempi di Covid-19. I Graffi di Damato

Il prolifico e saggio Sabino Cassese ha un bel dire, o scrivere, sul Corriere della Sera che “lo Stato non chiude per malattia”, “non può fermarsi” neppure in quelle che lui chiama “giunture critiche”. Fra le quali può ben iscriversi la guerra che ci sta facendo questo maledetto Coronavirus, per giunta  senza avercela neppure dichiarata. E ha un bel ricordare, il professor Cassese, questa realtà al Parlamento. Che è alle prese in questi giorni, anche sotto lo stimolo allarmato del presidente della Repubblica, con la “difficile ricerca  di un modo per conseguire il rispetto del diritto alla salute dei suoi membri e il dovere di far sentire la voce della società civile nelle istituzioni”.

E che voce, aggiungerei ricordando che il governo in carica, alle prese ogni giorno, ogni ora, ogni minuto con l’emergenza virale, sfornando decreti di varia natura e grandezza, avrà pure conquistato nell’ultimo sondaggio Demos, per Repubblica, un gradimento del 71 per cento, il più alto negli ultimi dieci anni, come ha sottolineato Ivo Diamanti, ma continua a dipendere dalle Camere. Dove gli hanno concesso la fiducia, certo, confermandogliela anche nelle varie occasioni in cui Conte vi ha fatto ricorso per rimuovere ostacoli di vario tipo a leggi in difficoltà, ma potrebbero revocargliela in qualsiasi momento, secondo le procedure stabilite dall’articolo 94 della Costituzione.

Cassese, dicevo, ha un bel dire, o scrivere, di uno Stato sempre all’erta, ma penso che anche lui si sarà posto qualche domanda su ciò che accade in questi giorni perigliosi in qualche ufficio giudiziario che pure rappresenta a tutti gli effetti lo Stato nelle sue articolazioni, e persino sottotetti, dove a volte sono confinati — spero non a Genova, che è la città di cui sto scrivendo — magistrati alle prese con il loro lavoro.

A Genova, appunto, è accaduto che il procuratore aggiunto, come ha raccontato ai lettori del Dubbio con dovizia di particolari e aspetti tecnici Giovanni M. Jacobazzi, ha dovuto occuparsi, per poi archiviarle, cioè bocciarle, di molte denunce pervenute alla Procura dalle forze dell’ordine per “inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità e falsa attestazione in relazione all’emergenza” da coronavirus. Insomma, “il reato di passeggio”, come efficacemente indicato nel titolo del pezzo, “non esiste”, o non esiste in gran parte delle volte in cui se lo sono visti praticamente contestare i genovesi. Che — detto per inciso — ai problemi di mobilità, di ogni tipo, sono diventati particolarmente sensibili per le condizioni in cui si trovano da tempo la loro città e dintorni.

Capisco che la fretta può avere provocato pasticci e incidenti nella formulazione dei vari provvedimenti, legislativi e non, usciti dagli uffici dello Stato — per tornare a Cassese — in questi giorni di grandi paure e confusione, ma converrete che di fronte a ciò che è accaduto a Genova gli italiani, a piedi o in automobile, avranno ancora più dubbi di quanti già non ne avessero per conto loro su come comportarsi, e fronteggiare eventuali controlli.

Nel seguire il bravo Jacobazzi lungo lo slalom che ha fatto fra gli articoli 483, 495 e 650 del codice penale, tutti in qualche modo investiti o coinvolti — come si dice per le indagini — nelle misure adottate per prevenire la diffusione del contagio, anzi della pandemìa ormai ufficialmente dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, mi è venuto un terribile sospetto, spero infondato. È quello che a qualcuno possa davvero venire in testa la tentazione, presumendo addirittura di interpretare o prevenire  sorprese da qualche Procura della Repubblica, di stringere ulteriormente la rete di protezione sino a richiamare su qualcuno dei moduli che continuamente siamo invitati a stampare o a riprodurre sui nostri telefonini l’articolo 438 del codice penale.

È una norma che laconicamente dice, minacciandoci di mandarci davanti a una Corte d’Assise: “Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo”. E finisce in galera, o “custodia cautelare”, senza aspettare il processo.

Mi è andato di traverso, di fronte a questo scenario, anche il gusto procuratomi dall’articolo erudito e divertente di Antonella Rampino, fra citazioni di Umberto Eco, Remo Bodel, Emile Zola e persino Montesquieu, sul cane che in questi giorni porta a spasso il padrone, o sul carrello che al supermercato, dopo la debita fila, accompagna la cliente, anziché esserne spinto.

Cerchiamo anche nella tragedia, e negli arresti domiciliari ai quali sono tornato dopo quelli comminatimi ingiustamente dalla magistratura nel 1985 addirittura per violazione del segreto di Stato, di non perdere un minimo di buon umore.

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