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Cosa nasconde l’attacco russo all’Ucraina

Il commento di Enrico Ferrone, ingegnere aeronautico, giornalista aerospaziale

 

Il mondo ha assistito in silenzio alla dislocazione di truppe russe ai confini con l’Ucraina. Poi la decisione di riconoscere le due regioni separatiste del Donbass da parte di Mosca è stato un messaggio fin troppo chiaro che quei movimenti armati non sarebbero stati esercitazioni di routine o anche l’esibizione muscolare quanto una vera e propria preparazione ad un attacco da manuale militare.

Il presidente americano Joe Biden e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, hanno provato superficialmente a disinnescare le tensioni così palesi, convinti dai loro consiglieri che il nuovo zar di San Pietroburgo non sarebbe arrivato a ordinare nemmeno un colpo a salve su un paese limitrofo, legato al suo per interessi, consanguineità e affiliazioni di ogni genere.

Così non è stato. Anche l’Italia, rappresentata dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, si è detta «pronta a fare la sua parte», ma alla fine dell’escalation si è accodata ai sottilissimi quanto inefficaci segnali della diplomazia continentale non riuscendo a esprimere un concreto segnale distensivo.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sarà stato anche simpatico al suo pubblico interpretando nel precedente mestiere un professore di liceo che viene inaspettatamente eletto presidente della repubblica, ma questo ruolo di palco cinematografico – pur avendo ottenuto il 73% dei consensi – non sempre è adeguato per dirigere un Paese ai confini con la Russia.

E qualcuno da quella parte deve averlo capito molto bene. Perché oggi la Russia ha una conformazione direttiva diversa dal passato: il comitato d’affari che muove l’intera economia – non è difficile immaginare vicino a un appena passato presidente d’oltreoceano e speriamo non a qualche magnate europeo a lui vicino – potrebbe aver sconsideratamente optato per la soluzione più cruenta che forse una buona diplomazia europea o una maggiore flessibilità americana avrebbe risolto con maggiore efficacia.

Così, le dislocazioni nelle zone vicine ad una terra in cui risiedono circa 42 milioni di abitanti, compresa tra Polonia, Romania, Slovacchia, Bielorussia, Russia (per circa 1.500 km.), Ungheria e Moldavia, sono state prima sottovalutate e poi subite.

Il territorio vive un’economia in buona parte rurale, caratterizzata da un comparto industriale fortemente energivoro e in buona parte delocalizzato, ammalato di una corruzione insostenibile che lo posiziona al 74° posto nell’indice di sviluppo umano, devastato dall’inquinamento dell’aria e dell’acqua, dalla deforestazione e dalla contaminazione da radiazioni per effetto dell’esplosione della centrale nucleare avvenuta la notte del 26 aprile 1986, a circa 100 km. a nord della capitale Kiev e poco distante dal confine con la Bielorussia e classificata al massimo della scala di catastrofi INES, con un appesantimento della spesa pubblica che va dal 5% al 7% del suo bilancio annuale.

Ma perché una delle terre più povere del Vecchio Continente, costretta ad un’emigrazione ancillare e ammalata di mille problemi, solo pochi dei quali elencati fino ad ora, può costituire tanta famelicità da parte del Politbüro post-sovietico?

È plausibile che quando al vertice di Bruxelles del giugno 2021 i leader della Nato hanno assunto una nuova richiesta di Kiev per aderire all’Alleanza – la prima era stata avanzata da Viktor Juščenko al vertice di Bucarest nel 2008 – la presa di posizione ha irritato profondamente i palazzi del potere russo anche se il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha ritenuto che la Russia non avrebbe potuto porre alcun veto, poiché non si sarebbe tornati all’era delle sfere di interesse, forse non sono andate oltre una semplicistica osservazione della realtà virtuale.

È anche credibile che lo stato di sofferenza fisica ed economica del mondo intero, indebolito da due anni di una pandemia non ancora debellata, è stato uno scivolo molto comodo per un governante che è al comando di una nazione ricca di tanti armamenti micidiali, ma che non ha più il carisma che aveva fino alla metà del secolo scorso. A questo si aggiunge che l’esodo che si appresta dall’Ucraina avverrà con misure igienico sanitarie molto ridotte rispetto alle prescrizioni degli epidemiologi, costituendo una ulteriore arma di ricatto verso il mondo occidentale che si è mostrato pronto ad accogliere i profughi.

I timori sono importanti e potrebbero anche far temere il peggio. Una certa vicinanza alla Cina, la cui opinione in questo momento ha un silenzio assordante, sono una delle vere incognite di un’equazione che ha più incognite di quante non possano essere risolte.

Va comunque notato un particolare: le ostilità di Vladimir Putin verso l’Ucraina sono iniziate non appena terminati i giochi invernali di Beijing. È stato un caso o una gentilezza offerta al collega Xi Jinping?

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