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Tunisia

Chi e perché grida Vaffa al MoVimento 5 Stelle

Fa impressione la rapidità con cui il MoVimento, (dove la “V” ricorda ancora i giorni del “vaffa”), è cresciuto quasi dal nulla per divenire il primo partito della Nazione. E la stessa celerità con cui sta declinando. Ascesa e caduta analizzate da Gianfranco Polillo

La storia ha dimostrato quanto sia difficile per una forza rivoluzionaria mantener fede ai propri proclami. Salvo quelle eccezioni in cui la rivoluzione, appunto, ne ha deviato il corso, (dalla Francia, alla Cina) nella maggior parte dei casi è stato il mondo a trasformare i militanti originari. Siano essi stati i “rivoluzionari di professione” dell’esperienza leninista, o più modestamente i “portavoce” dei 5 stelle. Gli attivisti, come essi stessi si definiscono, con un termine che suona arcaico nel lessico politico. Attivisti erano così indicati i valloni ed i fiamminghi, le cui lotte portarono, alla fine, alla nascita del Belgio come Stato federale.

Nel caso italiano, ciò che più fa impressione è stata la velocità. La rapidità con cui il MoVimento, (dove la “V” ricorda ancora i giorni del “vaffa”), è cresciuto quasi dal nulla per divenire il primo partito della Nazione. E la stessa celerità con cui è declinato. Una simmetria che può trovare spiegazione solo guardando alle condizioni oggettive, che ne hanno condizionato il fulminante tragitto. Da un lato (fase ascendente) i limiti ed i fallimenti delle passate classi dirigenti, dall’altro (fase discendente) l’inadeguatezze delle soluzioni indicate, destinate a far emergere il tema delle “speranze tradite”. Anche questo un classico della nostra storia nazionale. Si pensi solo ai tossici anni, che seguirono la fine della Grande Guerra.

Che cosa rimane oggi di quella predicazione originaria? Ben poco se lo stesso Beppe Grillo è stato, in qualche modo, costretto a trasformarsi in “elevato”. Giro di valzer straordinario rispetto al vecchio slogan “uno vale uno”. Quale siano i caratteri distintivi rispetto al vecchio “culto della personalità” del tempo andato, qualcuno dovrebbe pur prendersi la briga di spiegarlo. Altrimenti lo stesso “elevato”, secondo la declinazione di Grillo, rischierebbe di trasformarsi nel suo contrario. Il che la dice lunga sulla voglia di democrazia diretta, come arma per abbattere la vetusta democrazia parlamentare. Proprio nel momento in cui la rete, al tempo del coronavirus, è stata in grado di sprigionare tutto il suo magico potere. Emarginando, tuttavia, proprio l’infrastruttura del MoVimento. Quella (Rousseau) gestita da Davide Casaleggio. In affanno sul piano economico per via dei contributi dei portavoce che non arrivano o arrivano con il contagocce. E comunque spiazzata nei rapporti interni. Fino al punto di contare molto meno, rispetto al potere di solito concesso nei partiti tradizionali, specie se di tradizione terza internazionalista, al “Settore organizzazione”.

Ed ecco, allora, il progressivo dispiegarsi della fase di “normalizzazione”. Che parte dalle tante sconfitte di un velleitarismo ingenuo: No tap, No Tav, chiusura dell’Ilva, revoca della concessione autostradale ad Atlantia (ultimo – vano? – disperato grido di dolore di Roberta Lombardi). Fino a rendere sempre più fioca quella parola d’ordine “onestà, onestà, onestà” che è finita per impigliarsi nella palude del giustizialismo. Dove dominano le figure di Luca Palamara e Piercamillo Davigo (che bisogno c’é di aspettare le sentenze?) oppure i contrasti tra Nino Di Matteo (magistrato, icona del MoVimento) e il guardasigilli Alfonso Bonafede. Si potrebbe continuare, ma infierire sarebbe inutile crudeltà.

Che la normalizzazione sia giunta al suo punto di maturazione politica è dimostrato dal profilarsi di un ultima abiura. La fine del divieto di andare oltre il secondo mandato. Regola aurea che doveva dimostrare la “diversità” grillina, destinata, a quanto sembra, ad essere cassata. A far da cavia sarà Virginia Raggi che potrà candidarsi, per la terza volta, (la seconda come sindaco) alle prossime elezioni. Difficile che possa vincere. Ma questo aprirà la strada al revisionismo. Una sconfitta utile per coloro che fanno parte della nomenclatura e che vedono le proprie chances restringersi pericolosamente. Un po’ per la perdita di peso politico del MoVimento ed un po’ per l’imposta riduzione del numero dei parlamentari. Con il senno del poi: l’aver voluto segare il ramo dell’albero dove tutti erano seduti. Ed ecco allora la definitiva quadratura del cerchio. Quest’ultima scelta, una volta compiuta, non sarebbe altro che la definitiva conferma dell’assunzione da cui si era partiti.

“Eravamo quattro amici al bar, che volevano cambiare il mondo”. Ma questa è solo una canzonetta. Troppo irriverente.

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