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Taxi Uber

Un vertice mondiale (di tassisti) contro Uber

I sindacati dei tassisti di 17 Paesi del mondo sono riuniti ad Anversa (Belgio) per trovare una strategia comune efficace che possa contrastare Uber Tutti i tassisti del mondo contro Uber, la startup americana che ha rivoluzionato il mondo dei passaggi in auto, mettendo in contatto tramite App passeggeri e autisti. È in corso ad…

I sindacati dei tassisti di 17 Paesi del mondo sono riuniti ad Anversa (Belgio) per trovare una strategia comune efficace che possa contrastare Uber

Tutti i tassisti del mondo contro Uber, la startup americana che ha rivoluzionato il mondo dei passaggi in auto, mettendo in contatto tramite App passeggeri e autisti. È in corso ad Anversa, in Belgio, un vertice tra i sindacati dei tassisti di 17 Paesi del mondo (per l’Italia c’è la Fit-Cisl): si sarebbero riuniti per trovare una strategia comune efficace che possa contrastare Uber, una vera minaccia all’economia tradizionale, se così la si vuol chiamare.

I tassisti, che hanno anche preparato un dossier che tiene traccia del difficile rapporto con Uber (scioperi, proteste, richieste e decisioni dei Governi), chiedono nuove norme che possano regolamentare il servizio offerto dalla startup americana, così come delle leggi regolamentano le licenze e la professione del tassista. “Non siamo contro la tecnologia, né avversi alla modernità, ma per la tutela dei diritti dei lavoratori e dei consumatori”, per il “rispetto delle regole contrattuali”, commenta Marino Masucci, coordinatore nazionale della Fit-Cisl per i taxi. “Chiediamo che anche Uber sia soggetto almeno alle regole che rispettano gli altri conducenti del servizio pubblico, che sia garantita la sicurezza degli utenti, che non ci sia un altro caso Apple o Google, di multinazionali cioè che non si sa dove pagano le tasse. Da quando Uber è nata, sette anni fa, sono tutte questioni irrisolte“.

A dirla tutta non è il primo vertice mondiale riunito per contrastare Uber: questo è il terzo. È evidente che i la questione Uber sia sentita in diversi paesi del mondo e che i tassisti, oramai, hanno urgenza di risolverla.

Uber in Italia

Uber CinaBen due sentenze, una del tribunale di Torino e una del tribunale di Milano, hanno stabilito che l’applicazione Uber Pop viola la legge del servizio pubblico non di linea.

Il Governo, intanto, sta studiando una legge che metta fine alle eterne discussioni sul tema e regolamenti una situazione bloccata ormai da troppo tempo. La proposta di legge, ribattezzata Sharing Economy Act, affronta uno dei punti che ha fatto più discutere fino ad oggi, la parte fiscale: gli introiti generati dalle piattaforme come Uber e Airbnb dovranno essere tassati con una aliquota del 10%. Così fino a un massimo di 10 mila euro annui (anche sommabili da diversi servizi). ‘Il reddito percepito dagli utenti operatori mediante la piattaforma digitale è denominato « reddito da attività di economia della condivisione non professionale » ed è indicato in un’apposita sezione della dichiarazione dei redditi. Ai redditi fino a 10.000 euro prodotti mediante le piattaforme digitali si applica un’imposta pari al 10 per cento. I redditi superiori a 10.000 euro sono cumulati con i redditi da lavoro dipendente o da lavoro autonomo e a essi si applica l’aliquota corrispondente.

Le piattaforme dovranno agire da sostituto d’imposta, trattenendo la cifra e versandola direttamente all’erario per conto degli iscritti.

Altro punto fondamentale del documento è l’eliminazione delle tariffe fisse. Tutto ciò che è sharing economy non offre servizi per i quali il gestore stabilisce una tariffa fissa. Si tratta di una norma che chiama in causa anche Uber, che fonda il suo business sulle decisioni relative alle tariffe.

Ue: non è giusto ostacolare Uber

Anche l’Europa scende in campo per difendere gli attori della sharing economy, come Uber. L’Ue intende obbligare, con nuove norme, tutti i Paesi a regolamentare l’accesso delle aziende sul mercato nazionale.

Per l’Europa i divieti imposti dai diversi Paesi ad Uber e Airbnb devono essere revocati perchè “difficili da giustificare”, come sostiene la Commissione.

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