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Istituti Di Ricerca Cinesi

Vi racconto la guerra digitale tra Cina e America

L'analisi dell'editorialista Guido Salerno Aletta

La battaglia tecnologica tra Usa e Cina prosegue senza esclusione di colpi. Ma davvero non si capisce come stiano reagendo i soggetti industriali ai diktat della Presidenza Trump.

È degli scorsi giorni la notizia che l’americana Google non fornirebbe più alla Cinese Huawei gli aggiornamenti al sistema operativo Android. Verrebbero rescissi quindi gli accordi di utilizzo della licenza d’uso per il futuro, e negati gli accessi a Google Play Store. Anche la piattaforma di posta elettronica Gmail sarebbe inibita a coloro che utilizzano uno smartphone di marca Huawei.

Che cosa accadrà davvero, è incerto. Bisogna quindi assolutamente usare il condizionale.

Per capire che cosa sta succedendo, occorre ripercorrere le strategie americane nella New Economy, dove si combattono conflitti globali mentre si sviluppa il business.

Ronald Reagan mise alle corde l’URSS, potandola al disfacimento, senza sparare un solo colpo di cannone: puntò sul finanziamento delle tecnologie della informatica e delle telecomunicazioni, finanziando in modo praticamente illimitato l’avanzamento tecnologico americano attraverso il programma militare denominato “Scudo Spaziale”: missili americani, guidati da rilevamenti satellitari, comunicazioni ed elaborazioni dati in tempo reale e sistemi GPS, avrebbero neutralizzato qualsiasi attacco nucleare sovietico.

La Russia non aveva risorse sufficienti per rispondere a questa nuova sfida: il suo mercato era piccolissimo al confronto. Gli Usa contavano sull’intero Occidente per mettere a frutto questi sviluppi tecnologici: iniziava l’era di Internet, il sistema sovietico si sbriciolava.

Fu così che, sulla base delle tecnologie sviluppate per fini militari, negli anni Novanta si procedette alla liberalizzazione dei sistemi di telecomunicazioni ed alla integrazione di Internet nelle vecchie reti telefoniche, che adottarono il protocollo TTP/IP. In pratica, gli Usa avevano conquistato il dominio globale dell’ICT. Da Microsoft ad Apple, con i motori di ricerca come Google e sistemi di posta elettronica come Gmail, fino ai colossi dell’E-commerce come Amazon, l’economia mondiale si è digitalizzata. Anche il sistema dei pagamenti si è trasformato, con piattaforme che consentono transazioni immediate.

Il paradigma americano si fondava sulla illusione di poter sostituire la New Economy alla Old Economy: ogni clic, si immaginava negli anni Novanta, sarebbe stato fatturato. Ogni invio di posta elettronica avrebbe portato, anche facendolo pagare appena un centesimo di dollaro, a guadagni colossali. Ogni bit di informazione ricevuta sarebbe stato fonte di incassi per gli ISP. Mai previsione fu più lontana dalla realtà: in rete, tutto diviene gratuito, dalla musica alle notizie, dai film alle transazioni.

Il modello di business su cui erano stati raccolti capitali da tutto il mondo fece gonfiare la bolla del Nasdaq: ma delle migliaia di dot.com che erano state quotate a prezzi stratosferici ne rimasero in piedi molto poche. Purtroppo, gli Usa avevano intrapreso una strada senza ritorno: nel 2001, proprio mentre scoppiava la bolla del Nasdaq, veniva spalancato alla Cina il mercato occidentale della Old Economy.

Nel corso di vent’anni, la Cina è diventata la fabbrica del mondo, attraverso una competizione prima di prezzi e poi anche di qualità imbattibile. Sono passati dal monopolio dei giocattoli e delle biciclette, copie a poco prezzo delle manifatture occidentali, alla realizzazione di prodotti via via sempre più sofisticati nel campo delle elettronica, sbaragliando la concorrenza.

I Cinesi, come pure i Russi, già da tempo hanno preso una serie di contromisure: Google, ad esempio, non è abilitata in Cina; In Russia, è già pronto un sistema che isola dall’esterno la rete internet; l’Americana Amazon ha un suo omologo cinese, Baizu. Anche il sistema delle transazioni finanziarie SWIFT, basato negli USA, ha trovato da parte di Cina e Russia un sostituto per evitare che un blocco di questa piattaforma, come sta succedendo con l’Iran per via delle sanzioni, renda impossibile le transazioni.

La guerra digitale era nell’aria, da anni.

La verità è che da almeno due decenni l’economia occidentale ha smesso di fare investimenti produttivi. Al massimo, ha sviluppato i brevetti per gli apparati, le architetture informatiche, i sistemi operativi, lasciando che fosse l’industria cinese a realizzare industrialmente i device, dagli smarphone ai tablet, dalle apparecchiature di rete ai sistemi radio.

La Cina può sostituire la vendita degli apparati americani come quelli di Apple, alla quale ha imposto un dazio, con altri fabbricati all’interno. Rimane fortemente dipendente dai brevetti tecnologici americani, come la piattaforma Android, che è installata in oltre l’80% degli smartphone.

Il fatto è che il mercato cinese è enorme, e che per le imprese americane non è affatto facile rinunciarvi: dare seguito immediato alle disposizioni dell’Ordine Esecutivo del Presidente Trump potrebbe determinare cadute rovinose dei titoli in Borsa.

Ecco perché ci sono tentennamenti, distinguo e precisazioni. Anche sul 5G, il fronte europeo non è affatto unanime nel mettere al bando Huawei. Le industrie europee, da Nokia ad Ericsson, sono pronte a dare battaglia, ma la loro cooperazione con Huawei non consente loro di rendersi completamente indipendenti.

Gli Usa, che erano partiti all’attacco negli anni Ottanta, ora si trovano a dover giocare in difesa.

Stavolta, gli Usa non hanno di fronte la concorrenza dell’URSS, uno Stato già fortemente sbilanciato sulle spese militari e senza un mercato interno e di riferimento indispensabili per sostenere lo sviluppo delle nuove tecnologie. La Cina ha beneficiato dei brevetti americani per vent’anni, ha oltre un miliardo e trecento milioni di abitanti, ed ha un radicamento commerciale esteso in tutto l’Occidente, Europa compresa.

Dallo Scudo Spaziale di Reagan alla Emergenza per la sicurezza nazionale di Trump.

Guerre Mondiali Digitali.

 

(Estratto di un articolo pubblicato su teleborsa.it)

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