“Ci prendiamo un rischio calcolato”, diceva Giuseppe Conte annunciando le riaperture per il 18 maggio. Il rischio, però, non sembra essere stato calcolato e, forse, non è nemmeno calcolabile. Sì, perché manca una strategia nazionale della gestione sanitaria della fase 2.
Insomma, sono le Regioni a decidere e muoversi, in modo assai differente: c’è chi fa tamponi a tappeto e chi, invece, i tamponi li fa con il contagocce, come denuncia la fondazione Gimbe.
Andiamo per gradi.
TAMPONI EFFETTUATI
In Italia il 18 maggio sono stati effettuati poco più di 35mila tamponi, il numero più basso dall’inizio della fase 2 il 4 maggio 2020.
STRATEGIA DIVERSA DA REGIONE E REGIONE
Numeri, quelli appena annunciati, che nascondono però una forte disparità tra regioni. Sì, perché in assenza di una strategia sanitaria nazionale, le regioni si muovono in autonomia sul fronte tamponi e, denuncia la fondazione Gimbe presieduta da Nino Cartabellotta, “hanno una propensione molto diversificata ad effettuare tamponi diagnostici: a fronte di una media nazionale di 61 per 100.000 abitanti al giorno, si va dai 17 della Puglia ai 166 della Valle D’Aosta”.
LE DIFFERENZE ANNULLANO STRATEGIA TRACKING
Dinanzi a queste differenze importanti viene meno la strategia del tracciamento che vorrebbe mettere in atto il Governo con l’introduzione dell’app Immuni. “In assenza di uno standard nazionale, tali differenze condizionano l’implementazione della strategia delle 3T (testare, tracciare, trattare), permettono un utilizzo “opportunistico” dei tamponi e sanciscono ancora prima della sua introduzione il fallimento dell’app Immuni, che per definizione è uno strumento ‘tampone-dipendente’”, sostiene la fondazione Gimbe.
NUMERO TAMPONI PER REGIONE
A fare bene sul fronte tamponi sono Provincia autonoma di Trento, Valle D’Aosta, Provincia autonoma di Bolzano, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, che effettuano una media tra 130-250 tamponi per 100.000 abitanti al giorno. Seguono, con una media tra 100 e 129, Piemonte, Emilia-Romagna, Umbria, Liguria. In Lombardia (la regione più colpita), Marche, Basilicata, Toscana, Molise, Abruzzo e Lazio si effettuano tra 60-99 tamponi al giorni per 100.000 abitanti. In Sardegna, Calabria, Campania, Sicilia, Puglia il numero di tamponi è inferiore a 60.
LE PROTESTE DI EMILIANO
Proprio da una delle regioni che fa peggio in tema di tamponi arrivano le proteste verso il Governo per la mancanza di un coordinamento nazionale. “Il Governo, anziché interessarsi dei temi delle singole aperture, avrebbe fatto bene a dirci quanti tamponi in proporzione al ciclo economico e alla popolazione è necessario fare per giorno. In questo modo noi sapremmo quante macchine e quanti reagenti comprare”, ha detto il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano (Pd), intervenendo ad Agenda, su Sky Tg24.
CONFUSIONE ANCHE PER INDAGINE EPIDEMIOLOGICA NAZIONALE
Anche sul fronte dei test sierologici le regioni si muovo in modo diverso e disordinato (qui l’approfondimento di Start Magazine). Neppure per quella che è l’indagine siero-epidemiologica nazionale ci sono linee guida univoche e, denuncia la fondazione Gimbe, le Regioni “hanno adottato protocolli propri utilizzando test differenti”.