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Perchè Airbnb vuole far causa all’Italia

Airbnb pronto a fare ricorso contro il Governo italiano se non interviene per modificare la nuova legge che trasforma la piattaforma di sharing economy in sostituto di imposta Scontro tra Airbnb, la piattaforma che mette in contatto chi affitta camere e case e gli utenti che sono alla ricerca di una stanza, e il Governo…

Airbnb pronto a fare ricorso contro il Governo italiano se non interviene per modificare la nuova legge che trasforma la piattaforma di sharing economy in sostituto di imposta

Scontro tra Airbnb, la piattaforma che mette in contatto chi affitta camere e case e gli utenti che sono alla ricerca di una stanza, e il Governo italiano. Il problema? La cosiddetta “tassa Airbnb” che dovrebbe entrare in vigore dal 1 giugno. Ma andiamo per gradi.

Cos’è la tassa Airbnb

AirbnbÈ stata chiamata “tassa Airbnb”, come se fosse una nuova imposta. Di nuovo, però, c’è ben poco: la ritenuta del 21% per gli affitti brevi, infatti, non è una novità. Il versamento al Fisco della tassa (in alternativa del regine Irpef ordinario con aliquote progressive in base al reddito) è sempre stato un obbligo per chiunque affitti una stanza o un’intera casa, anche per periodi inferiori ai 30 giorni (nonostante non sia necessario registrare il contratto).

Ma allora, cosa cambia la tassa Airbnb? Le nuove norme obbligano gli intermediari che incassano il canone dall’inquilino per girarlo al proprietario a funzionare come sostituto d’imposta. In sostanza, le tasse dovute da chi affitta dovranno esser trattenute direttamente dalle piattaforme, come Airbnb, e le verseranno all’Erario (I portali chiederanno in anticipo ai proprietari di case le tasse da girare direttamente allo Stato). Fino ad oggi, il versamento era affidato al buon cuore dei proprietari di casa.

Sarà compito dell’intermediario comunicare all’Agenzia delle entrate i dati dei contratti e in caso di irregolarità è prevista una multa fino a 2mila euro. Il proprietario avrà sempre la possibilità di scegliere tra imposta sostitutiva del 21% e Irpef ordinario, nel qual caso la ritenuta del 21% sarà a titolo di acconto.

Airbnb non ci sta. E nemmeno i suoi host

Contro questa tassa, Airbnb è pronta a dichiarare guerra. “Questa casa non è un albergo”, ha ribattuto il colosso dell’home sharing al Governo, facendo prendere la parola ai suoi numerosi “host” (coloro che affittano).

Airbnb è disposta a pagare le tasse, è d’accordo con l’introduzione di nuove imposte, ma non intende trasformarsi in un sostituto di imposta e, soprattutto, non intende far passare l’idea che i suoi host siano albergatori. Ed è per questo che, se la legge rimane questa e il Governo non interviene in modo deciso per cambiare la sitazione, la casa americama si dice disposta a fare ricorso e ad aprire un contenzioso con lo Stato italiano, con il solo obiettivo di difendere i cittadini.

Se la piattaforma dovesse rinunciare al mercato italiano, l’impatto sull’economia non sarebbe indifferente. Il sito di sharing economy ha avuto un impatto sul PIL di 4,1 miliardi di euro nel corso dell’ultimo anno. Numeri che si ricavano dalla somma dei guadagni degli host (621 milioni di euro) e dalle spese dei viaggiatori presso realtà economiche locali durante il loro soggiorno (3,5 miliardi di euro).

Perchè è stata introdotta la tassa Airbnb?

La tassa avrà conseguenze importanti. Come scrive Halldis, società italiana che opera nel settore degli affitti temporanei, “la flat tax per gli affitti brevi al 21% farà emergere il nero del settore, oggi stimato al 75%, e libererà per lo Stato un fatturato potenziale di 3,5 miliardi di euro”.

Il settore è in forte crescita per la diffusione di portali on-line quali Booking.com, Airbnb, HomeAway. Il vuoto legislativo aveva promosso fenomeni per certi aspetti positivi, come la disintermediazione, ma anche determinato una non sana competizione con gli alberghi e favorito il nero”, ha commentato Alberto Melgrati, amministratore delegato di Halldis.

Airbnb e il fisco italiano

 

La casa di San Francisco è un gigante del Web, che presto potrebbe quotarsi in borsa. Oltre ad aver esteso i suoi servizi in diversi Paesi e Continenti (attraverso il suo sito è possibile affittare case e appartamenti in 34mila città di 191 paesi), Airbnb ha conquistato anche il mercato italiano. Basta dare uno sguardo ai numeri: l’Italia è il terzo Paese al mondo per offerta di abitazioni, dopo Stati Uniti (casa madre) e Francia.

AirbnbNel 2015, Airbnb è stato cliccato da ben da 3,6 milioni di persone per viaggiare in Italia e da ben 1,34 milioni di italiani che hanno viaggiato all’estero, affittando camere offerte sulla piattaforma. I quasi 83mila proprietari di alloggi, che hanno sfruttato i servizi della piattaforma americana, hanno guadagnato complessivamente 394 milioni di euro, affittando la loro casa.

I numeri sono alti. Forse troppo, se si pensa che la startup statunitense abbia pagato al Fisco italiano solo 45.775 euro di imposte sugli utili. Il motivo? Perchè Airbnb, come tutti giganti del Web, guadagna in Italia ma paga le tasse in Irlanda, dove la tassazione sugli utili societari è del 12,5%, molto più bassa di quella applicata nel nostro Paese. E forse, come Apple, anche Airbnb abbia firmato accordi di tax ruling.

Brutte novità per gli utenti

A risentirne saranno i prezzi finali e (forse) gli host (coloro che affittano casa). Un aumento dei costi potrebbe spingere i turisti a scegliere un hotel o non una stanza o una casa privata.
Anche affittare un appartamento con Airbnb, dunque, dovrebbe diventare più oneroso e meno conveniente.

Booking: “quanto previsto non è attuabile”

bookingAnche Booking, portale che fa da ponte tra alberghi, agriturismi, b&b e turisti, si schiera contro la tassa Airbnb. “Gli obiettivi di lotta all’evasione sono condivisibili, ma quanto previsto non è concretamente attuabile”, hanno affermato i rappresentanti del portale online.
I motivi son diversi. Il primo fra tutti è che “nella maggior parte dei casi gli ospiti pagano direttamente il proprietario dell’appartamento”. Il ruolo di Booking, dunque, è solo quello di “fornire una piattaforma che consente di metterli in contatto”.

Il secondo motivo è di organizzazione. Agendo come sostituto di imposta, Booking avrebbe bisogno di una sede organizzata a tale scopo in Italia, cosa che non ha. “I 250 dipendenti svolgono compiti limitati e ben precisi”, hanno sottolineato dalla società. “Sono i proprietari i responsabili della regolarità degli alloggi e degli obblighi fiscali”.

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