skip to Main Content

Ruben Razzante Social Media

Il delicato equilibrio tra uomo e innovazione

L'intervista di Francesco Provinciali a Ruben Razzante, professore di Diritto dell'Informazione alla Cattolica di Milano e alla Scuola di giornalismo della Lumsa di Roma, sul mondo digitale, affrontato anche nel suo ultimo libro "I (social) media che vorrei"

 

Metaverso, intelligenza artificiale (IA), social media, diritto e tutela dell’informazione. Sono tutti temi affrontati da Ruben Razzante, professore di Diritto dell’Informazione alla Cattolica di Milano e alla Scuola di giornalismo della Lumsa di Roma, con cui ha dialogato Start Magazine, anche a proposito del suo ultimo libro “I (social) media che vorrei“, edito da Franco Angeli.

 

L’idea di metaverso va oltre la mera evoluzione di internet e si può esplicitare come un mondo virtuale inclusivo. Psicologi, pedagogisti, sociologi, persino psichiatri si chiedono se il metaverso sia un passo necessario da compiere. Se l’uomo cederà il posto al proprio avatar.

Il Metaverso è un’espansione virtuale del mondo reale, dove viviamo e interagiamo attraverso un avatar e tramite dispositivi tecnologici e indossabili, come smart glasses, caschi e visori di realtà virtuale, guanti e tute tattili. Un mondo digitale in cui le persone possono vivere una vita parallela a quella del mondo reale. Tuttavia, urge un “galateo” per il Metaverso. Ne è la riprova la circostanza che l’Unione europea è impegnata nella definizione di una proposta di Regolamento sul Metaverso, al fine di perimetrarne con precisione un concetto e di consentire alla comunità virtuale di comprenderne la portata. I problemi giuridici posti dal Metaverso in ordine alla tutela della privacy degli utenti, alle criticità legate al riconoscimento del diritto della proprietà intellettuale e alla individuazione delle responsabilità degli avatar appaiono incalzanti. Ci vuole un nuovo quadro giuridico incentrato su un rapporto dinamico tra essere umano e nuove tecnologie”.

Recentemente il Prof. Geoffrey Hinton, considerato uno dei padri dell’I.A. si è dimesso da Google, dopo dieci anni di militanza immersiva e ha esposto alla BBC motivazioni che hanno suscitato scalpore e allarme. Gliene cito una: “Al momento possiamo dire che i robot non siano più intelligenti dell’uomo ma non escludo che lo possano diventare”. Esiste questo pericolo?

L’intelligenza artificiale è un’arma a doppio taglio: da una parte può affinare i meccanismi di tutela del copyright sui contenuti; dall’altra può agevolare, con la sua insondabile genialità, le violazioni. La domanda da porsi è: il prodotto creativo di un chatbot potrà prima o poi essere protetto sul piano della proprietà intellettuale tanto quanto il prodotto dell’opera umana? Più in generale se l’AI non verrà utilizzata in conformità con la legge e non rispetterà i diritti fondamentali delle persone, compresi quelli relativi alla dignità, alla privacy, all’onore, all’immagine, alla non discriminazione e alla proprietà intellettuale, essa diventerà il killer del benessere digitale anziché armonizzarsi con la prospettiva della costruzione di un nuovo umanesimo digitale. Bisogna dunque vigilare”.

Nell’informazione, come distinguere le idee sostenibili dal mercimonio delle mere opinioni o peggio delle fake news?

Affinando sempre più i criteri di trasparenza nella verifica dei flussi informativi e nella rendicontazione ai cittadini degli interventi effettivamente attuati in difesa dei contenuti autentici e verificati, si intende dare un contributo fattivo alla realizzazione di un ambiente digitale più attento alla qualità dei contenuti. Punto qualificante della strategia di contrasto alla disinformazione la riduzione degli incentivi finanziari per i fornitori di informazioni false e fuorvianti (demonetizzazione), un sentiero da percorrere in maniera sempre più convinta e determinata. L’informazione libera e di qualità ha un valore, anche economico. In Rete si trovano con facilità moltissime notizie, ma solo alcune sono prodotte professionalmente e arricchiscono il patrimonio di conoscenze dei cittadini-utenti.

Quella per la legalità e la liceità dei contenuti formativi e informativi dei social è una battaglia persa in partenza?

Il 15 dicembre 2022 Consiglio europeo, Parlamento europeo e Commissione europea hanno proclamato solennemente la “Dichiarazione europea sui diritti e i principi digitali per il decennio digitale”. In sei capitoli il documento traccia le linee guida della promozione di “un modello europeo per la trasformazione digitale che metta al centro le persone, sia basato sui valori europei e sui diritti fondamentali dell’Ue, riaffermi i diritti umani universali e apporti benefici a tutte le persone, alle imprese e alla società nel suo complesso”. Tra i tanti punti qualificanti: il concetto di tecnologie inclusive, in grado di unire le persone; una connettività di elevata qualità con l’accesso universale a internet; il diritto alla formazione digitale; i sistemi algoritmici e di intelligenza artificiale come strumenti per aumentare il benessere umano; un ambiente digitale sicuro, protetto e tutelato; le tecnologie digitali sostenibili e con un impatto negativo minimo su società e ambiente.

È sbagliata e solo suggestiva l’opinione di chi crede che la burocrazia digitale finirà per essere peggiore e più complicata di quella “tradizionale” di cui ci siamo sempre lamentati?

L’essere umano non è certamente riducibile ai suoi dati. La mercificazione dei dati per finalità commerciali e di profilazione svilisce l’incommensurabile profondità dell’uomo e alimenta il “dataismo”, inteso come sacralizzazione dei dati, concepiti come divinità ai quali attribuire una missione “salvifica”. Occorre dunque combattere la spersonalizzante tendenza ad esasperare la dimensione quantitativa dei dati, ma questo non vuol dire in alcun modo svalutare i dati. Occorre, invece, riscoprirne il valore di proiezioni della nostra identità personale, mettendo al centro delle riflessioni sul nostro rapporto con la Rete il tema della sovranità digitale, come evidenziato nel Manifesto di Pietrarsa, prodotto in occasione di un evento celebrativo dei 25 anni dell’Autorità garante della protezione dei dati personali promosso dall’Autorità stessa.

In questi giorni Vivek Murthy, Surgeon general, massima autorità sanitaria USA e rappresentante nell’OMS ha messo in guardia sugli effetti della condizione esistenziale epidemiologica di ‘solitudine e di isolamento’ nella popolazione americana.

Agevolare, con umiltà e sensibilità al benessere collettivo, la graduale emersione di sinceri stimoli costruttivi può orientare l’evoluzione della dimensione digitale verso radiosi approdi, nel segno dell’equità, dell’inclusività e dell’ottimizzazione delle potenzialità di ciascuno. Occorre combattere l’infocrazia con le armi della generosa condivisione e del maturo discernimento, puntando alla sanificazione dei circuiti mediatici.

Back To Top