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Google in combutta con Meta spinge Instagram ai minori

Google vieta la personalizzazione e il targeting degli annunci ai minori eppure ha stretto un accordo segreto con Meta per pubblicizzare Instagram su Youtube ai giovani tra i 13 e i 17 anni. Bruxelles indaga. Tutti i dettagli

 

Mentre l’Australia vieta i social media agli under 16, in Europa le autorità regolatorie hanno chiesto spiegazioni a Google riguardo un accordo segreto con Meta per promuovere Instagram tra gli adolescenti attraverso pubblicità che violano le norme sui minori.

Il caso era stato rivelato lo scorso agosto dal Financial Times, che ora fornisce aggiornamenti sulle mosse di Bruxelles.

IL PROGETTO SEGRETO DI META E GOOGLE

Google ha aiutato Meta in un progetto segreto di marketing rivolto ai giovani tra i 13 e i 17 anni che utilizzano YouTube, di proprietà della società Alphabet, per promuovere Instagram. È quanto scoperto quattro mesi fa dal FT. Le due società infatti hanno stretto un accordo top secret per indirizzare gli annunci pubblicitari della piattaforma social eludendo le regole di Alphabet sul trattamento dei minori online.

PUBBLICITÀ E MINORI

Le regole di Alphabet infatti vietano la personalizzazione e il targeting degli annunci ai minori di 18 anni, compreso il servizio di annunci basati su dati demografici. Inoltre, Google ha politiche contro l’elusione delle sue stesse linee guida, o “proxy targeting”. Ma, secondo il FT, la campagna per Instagram su YouTube “ha deliberatamente inviato messaggi a un gruppo di utenti etichettati come ‘sconosciuti’ nel suo sistema”. Inoltre, i dipendenti di Google hanno dichiarato a Meta di essere in possesso di dati interni che mostravano come questo gruppo fosse orientato verso i minori di 18 anni e fosse un modo per violare le protezioni dell’audience nel loro sistema.

Tutto questo, sottolineava ad agosto il FT, già accadeva mentre Mark Zuckerberg, Ceo di Meta – insieme a Linda Yaccarino (Ceo di X) Shou Chew (Ceo di TikTok) Evan Spiegel (Ceo di Snap) e Jason Citron (Ceo Discord) – si cospargeva il capo di cenere davanti al Congresso degli Stati Uniti dove, di fronte alle famiglie dei bambini vittime di sfruttamento e abuso sessuale sulle sue piattaforme, veniva accusato dal senatore Lindsey Graham di “avere le mani sporche di sangue”.

LE INDAGINI DI BRUXELLES

Nel frattempo, l’accordo segreto tra Google e Meta, che sarebbe dovuto diventare globale, secondo quanto riportato dal FT, sarebbe stato abbandonato. Anche Spark Foundry, una filiale del gigante francese della pubblicità Publicis, che aveva lanciato lo stesso programma di marketing pilota prima in Canada e poi negli Stati Uniti, ha annullato tutto.

I funzionari della Commissione europea però hanno esaminato la partnership e inviato le informazioni raccolte alle autorità di regolamentazione che stanno valutando se agire o meno. Lo scorso ottobre, infatti, avevano ordinato ai legali di Alphabet di raccogliere ed esaminare dati, presentazioni, chat interne ed e-mail relative alle campagne pubblicitarie.

LA RISPOSTA DI GOOGLE

Meta non ha fornito un commento ma un portavoce di Google ha dichiarato che le misure di sicurezza adottate dall’azienda per proteggere gli adolescenti, come il divieto di personalizzazione degli annunci, “sono all’avanguardia nel settore e continuano a funzionare”.

Google ha inoltre dichiarato di aver tenuto una formazione interna aggiornata per garantire che i suoi team di vendita siano consapevoli delle politiche e delle protezioni tecniche.

PRESSIONI SULLE BIG TECH

L’indagine di Bruxelles arriva in un momento in cui le Big Tech sono già nel mirino delle autorità di regolamentazione. Instagram viene osservata da vicino perché considerata da molti fonte di disagio e malessere nei più giovani, con l’Australia che, per tagliare la testa al toro, l’ha messo al bando (insieme a TikTok, Facebook, Snapchat e X) per i minori di 16 anni.

Google, invece, ha recentemente perso due importanti cause antitrust intentate contro il suo app store e la sua attività di ricerca, con il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti che ha chiesto a un giudice di costringere Alphabet a vendere il suo browser Chrome e a condividere più dati sulla ricerca e sulla pubblicità degli utenti per abbattere il suo monopolio illegale in questi settori.

Inoltre, il mese scorso, un tribunale della Virginia ha ascoltato le argomentazioni conclusive di una terza causa antitrust contro l’attività di pubblicità digitale di Alphabet e il giudice che presiede la causa ha dichiarato di voler emettere una sentenza entro la fine dell’anno.

Ma anche in Europa, Big G ha le sue grane sia per rispettare il Digital Markets Act che le politiche di concorrenza.

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