Dopo una maratona legislativa il Parlamento australiano ha approvato un provvedimento che proibisce l’uso delle principali piattaforme social ai minori di 16 anni.
CHE COSA HA DECISO L’AUSTRALIA PER GLI UNDER 16
Dopo il voto del Senato di giovedì e l’odierna approvazione da parte della Camera, il bando australiano è legge.
A partire dal 2025 i proprietari delle piattaforme, su cui ricadrà l’onere di certificare le violazioni, dovranno impedire ai minori di accedervi pena multe che vanno fino a 32 milioni di dollari Usa.
Nessuna sanzione è invece prevista per i ragazzi che aggireranno il divieto, un’eventualità che non sfugge al governo e viene quasi considerata ineluttabile.
SU CHI SI ABBATTE LA SCURE
La legge non specifica le piattaforme a cui si applica: la decisione sarà presa più avanti dal Ministero delle Comunicazioni che cercherà i consigli del cosiddetto eSafety Commissioner.
Come riferisce la Bbc, il ministro per la Comunicazioni, Michelle Rowland, ha tuttavia anticipato che il bando riguarderà Facebook, Instagram, X, Snapchat e TikTok.
Sono esenti invece le piattaforme di gaming, quelle di messaggistica e tutti i siti come YouTube che non richiedono un account per l’accesso.
LE TENSIONI
Il bando ha incontrato l’opposizione dei sostenitori della privacy e di alcune associazioni di ragazzi, ma è stata appoggiata dai principali media del Paese, tra cui quelli dell’influente magnate Rupert Murdoch, con una campagna intitolata “Lasciamoli essere ragazzi”.
Inoltre una grande maggioranza dell’opinione pubblica la condivide, come mostra il sondaggio YouGov condotto poche settimane fa che valuta nel 77% la quota dei favorevoli.
La legge arriva dopo una commissione d’inchiesta che è andata avanti tutto l’anno e che ha audito alcuni genitori che asseriscono che i social media abbiano procurato loro dei danni.
IL QUADRO POLITICO
Sebbene accusata di essere stata affrettata e deficitaria, l’approvazione della legge segna una vittoria per il primo ministro Anthony Albanese che affronterà le urne proprio nel 2025 tra sondaggi non proprio confortanti.
“Le piattaforme – ha esultato Albanese dopo il varo della legge – hanno ora la responsabilità sociale di garantire che la sicurezza dei nostri ragazzi è una priorità per loro”.
Tra feroci critiche, il primo ministro ha tenuto dritta la barra per tutto il tempo del dibattito sostenendo di voler proteggere la salute mentale e il benessere dei minori e di voler combattere fenomeni come l’odio on line e il bullismo.
LE REAZIONI
Un portavoce di Meta ha riferito che Zuckerberg, pur rispettando la legge, si dice “preoccupato” perché nel processo legislativo non sono stati valutati adeguatamente tutti i pro e i contro.
Irata invece la reazione di Elon Musk, che già in un precedente post aveva definito la misura come un sotterfugio “per controllare gli accessi a internet di tutti gli australiani”.
Snap, la parent company di Snapchat, ha detto che rispetterà la legge ma ha sollevato alcuni dubbi.
CHE COSA SUCCEDERA’ ORA
Adesso che il provvedimento è legge, i proprietari delle piattaforme hanno un periodo di 12 mesi per conformarsi alle limitazioni, secondo direttive che saranno supervisionate dall’Australia’s eSafety Commissioner Julie Imman Grant.
In un’intervista riportata dal New York Times, Grant si è detta fiduciosa della loro collaborazione e disponibilità “perché hanno le risorse finanziarie, le tecnologie e le migliori menti”. Si è detta inoltre convinta che le stesse piattaforme supereranno gli ostacoli tecnici perché “se sanno targettizzarti per la pubblicità, possono usare la stessa tecnologia e lo stesso know how per identificare e verificare l’età di un ragazzo”.
COME FUNZIONERA’ IL BLOCCO?
Il governo, scrive Bbc, ha annunciato che il sistema poggerà su una tecnologia di verifica dell’età e che apposite opzioni verranno testate nei prossimi mesi. Le piattaforme sono tenute a collaborare con l’esecutivo nell’identificazione della soluzione adatta.
Ma alcuni esperti di digitale sono scettici sul fatto che una simile tecnologia, che potrebbe basarsi sulla biometrica o sulla condivisione delle informazioni sull’identità, sia a prova di bomba.
Gli stessi esperti anzi avanzano problemi di privacy e ammoniscono che ogni restrizione potrebbe essere aggirata attraverso il ricorso a strumenti come le VPN.