Alphabet, la società madre di Google, potrebbe dover vendere il browser Chrome, e già si ipotizza una cifra di 20 miliardi di dollari. È la proposta presentata dal dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti al giudice che l’agosto scorso ha stabilito che Google ha agito illegalmente per mantenere il suo monopolio nella ricerca online: il 90 per cento delle ricerche su Internet in America passano per il motore di ricerca di Google (cioè Google Search), che grazie a questa posizione dominante riesce a trarre enormi profitti con le inserzioni pubblicitarie.
In breve, secondo il giudice, Google Search è così utilizzato non solo per la qualità del servizio ma anche perché è il motore di ricerca predefinito sui dispositivi di Apple e Samsung e sui browser come Firefox di Mozilla: Google versa ogni anno cifre miliardarie a queste aziende per continuare a essere l’opzione di default.
COSA VUOLE FARE IL GOVERNO AMERICANO CON GOOGLE
Che il governo statunitense stesse valutando lo scorporo forzato di Google, o comunque di intervenire per limitare il suo monopolio, era già noto.
Il mese scorso il dipartimento della Giustizia aveva fatto sapere di stare “valutando rimedi comportamentali e strutturali” che impediscano alla società di utilizzare prodotti come Chrome, Play Store (il negozio di app) e Android (il sistema operativo per dispositivi mobili) per avvantaggiare Search e le funzionalità correlate “rispetto ai rivali o ai nuovi operatori”.
QUANTO VALE CHROME?
Chrome è il browser più utilizzato al mondo ed è fondamentale per il business della pubblicità online di Google, che rappresenta da solo oltre il 50 per cento delle entrate totali della società: potendo tracciare l’attività degli utenti di Chrome su Search, infatti, Google è poi in grado di impiegare quei dati per proporre pubblicità mirate sui loro interessi.
Google, inoltre, sta sfruttando Chrome per indirizzare i naviganti web verso Gemini, il suo chatbot basato sull’intelligenza artificiale, e favorirne così lo sviluppo.
Se Alphabet dovesse davvero procedere alla vendita di Chrome, secondo gli analisti di Bloomberg il browser – che ha più di tre miliardi di utenti attivi al mese – potrebbe essere valutato “almeno 15-20 miliardi di dollari”. Il problema è che Chrome “non è monetizzabile direttamente” perché “serve come porta d’accesso ad altre cose”, ad altri servizi.
Non è chiaro, inoltre, quali società siano disposte a spendere una cifra così grande.
LA RISPOSTA DI GOOGLE
Secondo Lee-Anne Mulholland, vicepresidente di Google per gli affari regolatori, il dipartimento di Giustizia “continua a portare avanti un’agenda radicale che va ben oltre le questioni legali di questo caso”. Il governo, inoltre, “poggiando il dito sulla bilancia in questo modo, danneggerebbe i consumatori, gli sviluppatori e la leadership tecnologica americana proprio nel momento in cui è più necessaria”.
In un post sul proprio blog, Google ha detto anche che l’obbligo di condivisione delle queries di ricerca con altre aziende potrebbe avere ripercussioni negative sulla privacy e la sicurezza degli utenti.
Eric Schmidt, ex-amministratore delegato di Google, ha detto alla Cnbc che Chrome è vantaggioso per gli utenti, perché è gratuito e perché permette loro di collegarsi facilmente agli altri servizi della società. “Scorporare queste aziende non risolverà in modo sostanziale il fastidio che si prova nei loro confronti”.
E ANDROID?
Pare che l’antitrust statunitense abbia rinunciato a proporre l’obbligo di vendita del sistema operativo Android, che ha in iOS di Apple il suo concorrente principale. Ma potrebbe chiedere a Google di disaccoppiare Android dagli altri servizi, come Google Search e Google Play.