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Facebook, che cosa cambierà con la Meta trumpiana che ammaina il vessillo del fact-checking

Con la fine del fact-cheking Meta sembra aver completato il processo di avvicinamento a Trump iniziato la scorsa estate quando sfoderò un attacco inatteso all'amministrazione Biden. Resta invece da capire come gestirà i rapporti con l'Europa dato che il "modello X" che intende perseguire è a rischio Dsa

Le prime avvisaglie erano arrivate la scorsa estate, quando il Ceo di Meta, Mark Zuckerberg, aveva rivelato in una lettera alla Commissione Giustizia della Camera Usa che nel 2021 l’amministrazione Biden avrebbe fatto pressioni su Menlo Park per censurare contenuti sul Covid-19, inclusi post satirici.

L’ACCUSA DI CENSURA ALL’AMMINISTRAZIONE BIDEN

Un improvviso assist a Donald Trump, in corsa per le presidenziali di novembre che dai social Meta era stato bandito e uno sgambetto alla sua avversaria, Kamala Harris, che aveva ricevuto il testimone da Joe Biden solo un mese prima e ormai appariva chiaro non avesse alcuna chances di vittoria. La Casa Bianca da parte sua difendeva le proprie azioni senza negarle, affermando di aver solo voluto incoraggiare in piena pandemia “condotte responsabili per proteggere la salute e la sicurezza pubblica”.

LA DONAZIONE PRO TRUMP

A riavvolgere il film del riposizionamento di Meta, un’altra data da ricordare è quella del 12 dicembre, quando è stata ufficializzata la donazione di 1 milione di dollari al fondo di Trump, che aveva seguito di poche settimane l’incontro tra il ceo Zuckerberg e il presidente eletto nella propria residenza di Mar-a-Lago.

META DICE ADDIO AL FACT-CHEKING E ACCOGLIE NUOVI MEMBRI NEL CDA

Si arriva così alle ultime ore, ovvero alla piccola rivoluzione nel CdA di Meta e alla grande rivoluzione dello stop al fact-checking. Mentre qui in Italia ci si concentrava sul nome di John Elkann, il vero nome da tenere d’occhio era quello di Dana White, Ceo e presidente della Ultimate Fight Championship (gli incontri che si tengono nelle gabbie), manifestazione sportiva trasmessa in 170 Paesi dal fatturato di 1,3 miliardi di dollari.

L’ARRIVO DI UN FEDELISSIMO DI TRUMP

L’amministratore di Meta, nonostante l’esile figura, è un fanatico del ju jitsu: segue molti incontri e alcuni li combatte personalmente, finendo talvolta malconcio in ospedale. Ma la passione comune per le arti marziali c’entra poco: White è un fedelissimo di Donald Trump ed è apparso spesso alle sue cene e sul palco in campagna elettorale assieme al tycoon.

DANA WHITE E JOE KAPLAN: I DUE FALCHI DI META

Insomma, sembra rappresentare la quota trumpiana in seno a Meta. Questo spinge ancora più a destra gli equilibri nonostante Menlo Park avesse già nominato come manager agli Affari Globali Joe Kaplan, ex consigliere senior del presidente George W. Bush sicuramente gradito ai conservatori ma evidentemente troppo moderato per piacere a chi, senza nemmeno essere ancora tornato alla Casa Bianca, già minaccia di rivoluzionare gli atlanti ridisegnando i confini statunitensi.

Proprio il discorso di ieri di Donald Trump (che non ha escluso l’uso della forza per Panama e Groenlandia) è destinato a mandare in sollucchero i suoi fan più sfegatati che ora potranno pubblicare sui social del gruppo Meta qualsiasi genere di informazione, mappa geografica, voce di corridoio o notizia apertamente fasulla senza più incorrere nei controlli del fact-cheking.

X HA FATTO SCUOLA

“Lavoreremo col presidente Trump per respingere i governi di tutto il mondo che se la prendono con le società americane e premono per una censura maggiore”, ha affermato il Ceo di Meta nel video in cui annuncia lo stop al fact-checking, mentre contemporaneamente accusava l’Europa di caldeggiare “un sempre crescente numero di leggi che istituzionalizzano la censura e rendono più difficile realizzare qualsiasi innovazione”.

 

Il modello da seguire per Meta è quello voluto da Elon Musk per la propria piattaforma. “Abbiamo visto questo approccio funzionare su X dove danno alla propria comunità il potere di decidere quando i post sono potenzialmente fuorvianti e necessitano di più contesto”, ha detto senza mezzi termini l’ex consigliere di Bush Jr, Kaplan, in un post sul blog.

IL MANIFESTO PRO AMERICA

Ma Zuckerberg si è spinto oltre, arrivando a raffazzonare una vera e propria lettera d’amore intrisa di patriottismo indirizzata al nuovo inquilino della Casa Bianca: “Gli Usa hanno le più forti protezioni costituzionali al mondo per la libera espressione”.

Altrove per il numero 1 di Meta non sarebbe così: “I Paesi latino americani – afferma – hanno tribunali segreti che possono ordinare alle aziende di eliminare cose silenziosamente. La Cina ha censurato le nostre App impedendone persino il funzionamento nel Paese. L’unico modo in cui possiamo respingere ciò in questo trend globale è col sostegno del governo Usa”.

LE NUOVE ACCUSE DI CENSURA A BIDEN

“Ed è per questo – ha nuovamente stilettato – che è stato così difficile negli ultimi quattro anni, quando persino il governo Usa ha premuto per la censura andando contro di noi e altre compagnie. Ha incoraggiato altri governi ad andare oltre”. “Ora – ha chiosato sottintendendo che con Trump si aprirà una nuova era – abbiamo l’opportunità di ripristinare la libertà di espressione e sono emozionato nel coglierla”.

E LE INSERZIONI PUBBLICITARIE?

La scommessa di Zuckerberg è che abbandonare quella che dai critici è definita Woke-culture in nome della libertà di parola (quel free speech ripetuto in ogni post da Musk) non danneggi gli introiti derivanti dalle inserzioni pubblicitarie che, nonostante gli abbonamenti introdotti di recente per monetizzare dalle singole iscrizioni, rappresentano il 90 per cento del fatturato.

X nel recente passato proprio per colpa delle posizioni assunte dal suo nuovo proprietario ha avuto non pochi problemi, dovendo affrontare una vera e propria emorragia di inserzionisti. Ma anche le aziende che fanno pubblicità su Facebook e Instagram, se vogliono vendere i prodotti negli Usa di nuovo corso ed evitare critiche di essere “woke”, con ogni probabilità non faticheranno a riporre nel cassetto bandiere arcobaleno e inni alla diversità, recuperando un aspetto “super partes” così da non perdere utenza all’interno di una platea sempre più polarizzata.

L’ALLONTANAMENTO DALL’EUROPA E IL DOPPIO BINARIO

Resta da capire invece come Meta giocherà l’addio al fact-cheking qui in Europa. Nei mesi scorsi c’è stato indubbiamente un progressivo scollamento del Gruppo hi-tech da Bruxelles che era culminato con la decisione di Menlo Park di non rendere disponibile Meta Ai (Llama 3.2) nel Vecchio continente stante le troppe difficoltà legislative che frenano la raccolta indiscriminata dei dati degli utenti.

Una rottura acuita dalla decisione di non aderire neppure all’AI Pact, ovvero quel percorso di compliance anticipata volontaria che l’Ue ha avviato per accompagnare le aziende nei mesi che precedono l’entrata in vigore di obblighi e divieti previsti dall’AI Act.

Se a tutto ciò si aggiungono le numerose multe che la Ue ha comminato a Meta, non ultima la sanzione da 797,72 milioni di euro per pratiche abusive a vantaggio di Facebook Marketplace dello scorso 15 novembre, si comprende il livello di insofferenza raggiunto a Menlo Park.

UNA META A META’?

Dunque anche in Europa (dipinta proprio nel discorso di ieri da Zuckerberg a stregua di covo di legislatori che incoraggia “un sempre crescente numero di leggi che istituzionalizzano la censura” rendendo “più difficile realizzare qualsiasi innovazione lì”) Meta potrebbe perseguire il modello di X, attenzionato da Bruxelles per presunta violazione del Dsa comunitario che mira a ostacolare la diffusione di fake news (non a caso Musk prende spesso di mira l’Europa e le sue cancellerie). Oppure la piattaforma social potrebbe scindersi in due realtà distinte, mantenendo perciò controlli rafforzati nel Vecchio continente così da rispettare le norme del Dsa e prevedendo minor rigidità negli Usa.

Ma è un sistema difficile da immaginare. Gli stessi addetti ai lavori, all’indomani dell’annuncio di Mark Zuckerberg di porre fine al fact-cheking, appaiono pessimisti e spaesati. Tommaso Canetta, vicedirettore di Pagella Politica e Facta news, l’organizzazione che dal 2018 cura la genuinità dei materiali su Facebook, non sprizza allegria: “Il Digital service act considera la diffusione di notizie false un rischio sistemico” dice all’Agi, “e le stesse linee guida di Facebook prevedono uno strumento di questo tipo. Ma nulla impedisce a Zuckerberg di chiudere la collaborazione che ha in molti Paesi europei e in un secondo tempo affrontare le conseguenze”.

Anche perché se Zuckerberg identifica il fact-cheking con la censura, Meta dovrebbe per mera conseguenza logica abbandonarne l’impiego in ogni Paese, come evidenzia proprio Canetta: “Ci dobbiamo aspettare il peggio” dice senza mezzi termini, “il meccanismo di fact-checking è di per sé una garanzia che non ci sia il rischio di censura e leggere Zuckerberg che parla proprio di censura è scioccante”.

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