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Leonardo Fincantieri

Ecco come Leonardo e Fincantieri si fidanzeranno

Tutte le ultime novità sul futuro di Leonardo e Fincantieri tra fatti, rumors e scenari

Si torna di nuovo a parlare del dossier sull’aggregazione di Leonardo con Fincantieri in un polo della difesa nazionale.

Stavolta è il Sole 24 Ore a scrivere che “avanza lo studio per una possibile integrazione: non necessariamente una fusione secca ma su business omogenei in campo militare e navale”.

A proposito del colosso della difesa e aerospazio Leonardo e il gruppo della cantieristica navale Fincantieri, il quotidiano confindustriale ricorda che “qualche volta hanno agito coordinate, con risultati ottimi. Vanno forte anche da sole, certo, ma ai piani superiori – il Governo, che detiene i pacchetti azionari di controllo – si torna a ragionare anche su una prospettiva diversa”.

Infatti il governo è azionista di riferimento sia di Leonardo (partecipata dal Mef al 30%) che di Fincantieri (controllata da Cdp Industria con il 71,32%).

“Sono società quotate in Borsa, e quindi la cautela è massima ma – a quanto risulta al Sole 24 Ore – dentro le stanze del governo l’ipotesi è oggetto di riflessione, in particolare nei dicasteri della Difesa, dello Sviluppo Economico e al Mef, nell’ottica proprio dei maggiori investimenti nel settore difesa e di integrazione transnazionale, in una logica di collaborazione-competizione”.

D’altronde la guerra in Ucraina ha spinto al rialzo la spesa militare in Europa e il presidente del Consiglio Mario Draghi ha sottolineato la necessità di razionalizzare gli investimenti. E per contare al tavolo della difesa europea l’Italia avrebbe un peso maggiore con i due colossi nazionali in sinergia. “Serve un campione nazionale di dimensioni forti e contenuti avanzati per dialogare alla pari”, rimarca il Sole 24 Ore.

Eppure il mercato non apprezzerebbe una fusione tra Leonardo e Fincantieri, per più di un motivo, sosteneva già a fine maggio Banca Akros.

Tutti i dettagli.

L’INPUT DA PALAZZO CHIGI SUL POLO ITALIANO PER LA DIFESA

Il tema del polo italiano per la difesa intorno a Leonardo e Fincantieri è al centro del dibattito in questi ultimi mesi.

Dopo l’uscita a fine maggio del ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti a proposito di “un polo militare italiano”, tutti hanno pensato alla fusione Leonardo-Fincantieri.

“Sarebbe ingenuo pensare che un polo militare italiano possa essere competitivo da solo, però è chiaro che quando andiamo a discutere di industria della difesa europea dobbiamo presentarci al meglio delle nostre possibilità e giocare le nostre carte. Abbiamo eccellenze, qualità e competenza, dobbiamo sicuramente farlo”, ha detto Giorgetti. “L’evoluzione della domanda di difesa in Europa sarà particolarmente cospicua e accelerata nei prossimi anni e noi dobbiamo essere all’altezza della situazione”. Secondo il ministro, la questione è al momento oggetto di discussione con i colleghi della Difesa, Lorenzo Guerini, e dell’Economia, Daniele Franco.

“Sarei favorevole alla fusione tra i due colossi di Stato. Anche perché con un’operazione di questo tipo riusciremmo a dare uno sviluppo alla parte terrestre della nostra industria militare. Sarebbe una prospettiva positiva per il nostro Paese» aveva dichiarato la sottosegretaria alla Difesa Pucciarelli al congresso della Uilm a fine maggio. “Il governo, o almeno un pezzo, preme per arrivare a una fusione tra Fincantieri e Leonardo”, sottolineava il Secolo XIX.

Infatti più cauto è rimasto il ministro della Difesa Guerini: “Il percorso di una Difesa europea deve migliorare la performance a livello comunitario per metterci in condizione di competere con player globali, ma senza rinunciare alla nostra dimensione strategica nazionale. L’Italia vuole essere protagonista di un salto tecnologico, ma ogni scelta sarà subordinata a questo principio” ha detto il ministro intervenendo ad un appuntamento elettorale a La Spezia lo scorso 9 giugno.

LA POSIZIONE DI LEONARDO

“E qui entrano in campo le variabili manageriali delle due aziende, decisive per il successo di una eventuale fusione”, evidenzia oggi il Sole 24 Ore.

A frenare subito gli entusiasmi ci aveva pensato l’ad di Leonardo, Alessandro Profumo, dichiarando che non vede sinergie tra il gruppo aerospaziale e della difesa e il costruttore navale Fincantieri. “Prendiamo Fincantieri: fanno navi per i settori civile e militare. Tra di loro ci sono sinergie. Mentre non mi pare che ci siano tra chi fa elettronica per la difesa e chi costruisce scafi” aveva puntualizzato in una recente intervista a Repubblica.

Profumo “spinge per la creazione di un polo di aggregazione per un gruppo di dimensioni europee dell’elettronica della difesa” ricorda il quotidiano confindustriale. E nel frattempo frattempo Leonardo si sta muovendo per la concentrazione del core business e la focalizzazione del portafoglio. Come dimostra la recente manovra della fusione di Drs con l’israeliana Rada.

E QUELLA DEI NUOVI VERTICI DI FINCANTIERI

Diversa pozione sembra quella assunta dai nuovi vertici del gruppo navale di Trieste. L’ad Pierroberto Folgiero, succeduto a Giuseppe Bono al timone di Fincantieri, pare abbia aperto all’ipotesi di un’aggregazione con il colosso della difesa e aerospazio.

Se gli studi mostreranno “vantaggi a lungo termine commerciali, produttivi e occupazioni”, una chiara creazione di valore, “ci sarà anche l’operazione” ha dichiarato l’ad di Fincantieri, Pierroberto Folgiero, a margine del varo della Explora I il 30 maggio. “L’Italia ha grandi eccellenze industriali e soprattutto nel settore delle difesa e della sicurezza – ha commentato sullo stesso argomento il presidente Claudio Graziano -. E un mondo – ha specificato – in cui cresce la competizione e la sfida. È chiaro che bisogna fare anche business in un modo più efficace”.

I PUNTI DI FORZA

“Insomma, all’estero si stanno muovendo, qualcosa va fatto anche da noi. La domanda a questo punto è: cosa fare?” puntualizza Marroni sul Sole 24 Ore. “Partiamo da un elemento, confermato pure da ambienti militari, che poi sono i committenti principali: «Quando le due aziende si muovono insieme sono vincenti», e il pensiero vola alla Fremm, la fregata venduta a mezzo mondo, compresa la Marina degli Stati Uniti” ha aggiunto.

Come aveva già rimarcato nei giorni scorsi Roberta Pinotti, presidente della commissione Difesa del Senato e già ministro per la Difesa, in un’intervista a Repubblica. “La scatola, lo strumento su cui ragionare di coproduzione navale esiste già e si chiama Orizzonte Sistemi Navali (51% Fincantieri, 49 Leonardo ndr). Questa società ha già dato grandi risultati, ad esempio con le Fremm e quindi se vogliamo cercare una maggiore sinergia fra i due gruppi, sfruttiamola, rafforzandone le competenze”.

E I NODI DA SCIOGLIERE

Se la politica spinge quindi per creare sinergie tra i due gruppi, restano delle criticità da risolvere.

“Il dossier è complesso, perché, anche se si resta nell’ambito del militare, sono due realtà molto diverse: una produce la piattaforma navale, gli scafi – ma anche in un’ottica avanzata di integrazione – l’altra la (vasta) parte elettronica da combattimento. Fincantieri fattura 6,9 miliardi e concentra il 75% circa del giro d’affari sulle navi da crociera, mentre la parte militare è circa il 20%: portaerei, cacciatorpediniere, corvette, sottomarini, pattugliatori e soprattutto le fregate”, ricorda il Sole 24 Ore.

E il quotidiano ammette che per “per Leonardo, che fattura 14,1 miliardi, la situazione è al rovescio, visto che la gran parte del business è nel campo militare – elicotteri, naturalmente anche civili, velivoli, elettronica, sistemi difesa – compresa la scommessa decisiva per il futuro della cybersecurity”. Pertanto, per l’ex Finmeccanica “i sistemi d’arma navale, secondo fonti di mercato, rappresentano un fatturato del 2-3% sul complessivo, ma certamente con grosse prospettive di crescita in questa fase storica” segnala Marroni.

NON FUSIONE, BENSÌ “AGGREGAZIONI VERTICALI” SECONDO IL SOLE 24 ORE

Dunque, secondo il Sole 24 Ore “L’idea che spunta – e non solo nelle due aziende, ma anche nel mercato finanziario – è la possibile ricerca di «aggregazioni verticali», dove le sinergie sarebbero forti e immediatamente attivabili. Insomma, fusioni «a geometria variabile», mirate al polo nazionale della difesa, e in grado di poter andare verso aggregazione europee, con i due giganti al piano superiore, Leonardo e Fincantieri, e su tutti lo Stato e la sua golden power”.

I CASI DI SUCCESSO COME MBDA

E proprio a rafforzare questa ipotesi Carlo Marroni ricorda che gli analisti segnalano esperimenti di aggregazione verticale di successo come Mbda, consorzio europeo per i missili (Leonardo, Airbus e Bae System) o le due joint venture in campo spaziale tra Leonardo e la francese Thales (Thales Alenia Space e Telespazio).

CHE FARÀ L’AZIONISTA MEF?

“Ma resta comunque l’interrogativo di fondo: se l’azionista-governo decidesse di andare avanti con la fusione, cosa ci si potrebbe aspettare?” si chiede dunque il Sole 24 Ore.

“L’impressione è che il disegno non dispiaccia a Cdp, azionista di riferimento di Fincantieri attraverso Cdp Equity, e al Mef, primo azionista di Leonardo” scriveva giorni fa Repubblica.

“Assumendo una semplice fusione ai prezzi attuali, la quota di controllo dello Stato andrebbe intorno al 36% e il rapporto debito netto/ebitda 2022 sarebbe nel range 2/2,4 volte a seconda del metodo di calcolo del debito di Fincantieri, un livello che richiederebbe un’attenta valutazione”, analizzava Equita Sim. “Questo riflette la diversa struttura finanziaria delle due imprese, derivante sia dal finanziamento delle operazioni – le navi civili vengono pagate alla consegna, per quelle militari c’è l’anticipo e una sorta di stato avanzamento lavori – sia i margini, che nel militare sono decisamente più alti” ha aggiunto oggi il quotidiano confindustriale.

IL PARERE DEGLI ANALISTI

Infine, pesano le valutazioni degli analisti. Tra questi Banca Akros che lo scorso mese spiegava che il mercato non apprezzerebbe una fusione tra Leonardo e Fincantieri, per più di un motivo. “Primo, nascerebbe un conglomerato penalizzato da uno sconto; secondo, all’assemblea si rischia di non avere abbastanza voti per approvare il merger; terzo, si può migliorare la cooperazione senza un coinvolgimento azionario. Quarto, periodo di riflessione per il nuovo ad di Fincantieri sul modello di business”.

“In definitiva quello che tutti si aspettano ora, e prima di tutto, è un forte impulso di politica industriale. La finanza seguirà, come l’intendenza” concludel Sole 24 Ore.

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