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Covid-19, ecco come va la pandemia (e come si cura)

Pandemia Covid-19: fatti, analisi e prime conclusioni. Il post di Stefano Biasioli

I FATTI

Prima del Covid-19 i posti letto in terapia intensiva (T.I.) erano, in tutta Italia, 5.179. Ossia pari a 8,6 per 100.000 abitanti, un valore ben inferiore alla media nella Unione europea. Ma si trattava solo di un valore teorico, perché – in molte Regioni – i posti realmente attivi erano valutabili attorno ad un indice 7/100.000.

L’ondata epidemica ha così costretto le Regioni ad aumentare il numero, con risultati drammatici in alcune e accettabili/buoni in altre. Si è così arrivati a un numero nazionale di posti letto in T.I. di 8.490 (+ 3.311), ossia a un valore di 15,5 per i soliti 100.000 abitanti.

È evidente che questi  letti di T.I., in questo periodo, non servivano solo per i malati Covid-19 più gravi ma dovevano essere utilizzati anche per i malati “già esistenti” in rianimazione perché affetti da altre gravi patologie acute, perché con un decorso post-operatorio impegnativo, perché pazienti cronici gravemente riacutizzati, quindi bisognosi di cure estreme.

In piena pandemia, cosa si è fatto? Si sono frettolosamente allestiti nuovi posti intensivi e si è bloccata l’attività clinica ordinaria (“fatte salve le urgenze”) trasformando le T.I. in “rianimazioni dedicate quasi totalmente ai pazienti Covid-19”. Il sistema ha, bene o male, tenuto.

Molto meglio nel Triveneto che in Lombardia, dove si è assistito a scene clinicamente tragiche. Meglio al Centro-Sud che al Centro-Nord.

Ma non vogliamo fare classifiche di demerito o di merito e non è ancora il momento per valutazioni diverse da quelle cliniche.

Da fine marzo, il decorso della pandemia sta cambiando.

La stessa Protezione Civile certifica che, dall’inizio di aprile, le T.I. hanno cominciato a svuotarsi , con i posti Covid-19 in progressiva riduzione, a favore dei pazienti con altre patologie, gravi. Mentre si stanno lentamente normalizzando le altre attività  ospedaliere ordinarie, di natura medica, chirurgica, strumentale.

Il 29 aprile, in Italia, su 8.490 posti attivati di T.I., ben 1.795 risultavano liberi.

In Lombardia da un massimo di 1.800 posti occupati in T.I. si è passati a circa 1000 (per tutte le patologie, non solo per i Covid!). In Emilia Romagna, su 478 posti disponibili, 202 sono liberi.

Liberi pure molti letti nelle rianimazioni di Liguria, Basilicata, Marche, F.V.G.

ASPETTI VENETI

E, in Veneto? In Veneto, nelle rianimazioni,  si è passati da 485 posti letto (base) ad un massimo di 825 posti letto (inizio virosi). Nelle T.I.,  il numero massimo di posti letto di occupati per COVID si è avuto  tra il 30 e il 31 marzo (356 posti), quando i ricoverati Covid-19 in ospedale hanno raggiunto il top (2.084).

Ossia il 17,08% dei ricoverati era finito in T.I.

Da allora i numeri di entrambi i parametri (ricoveri ospedalieri Covid-19 e letti Covid-19 in T.I. ) sono stati costantemente in discesa, fino ai dati ufficiali del 2 maggio : in T.I. 108 posti Covid e 237 posti non-Covid;  in ospedale, 1087 pazienti Covid (inclusi quelli trattati in rianimazione), con altri 7.000 ospedalizzati non-Covid.

In definitiva, anche i numeri veneti dicono che, al massimo della tempesta pandemica, in T.I è stato usato – per gli infettati – il 43,15% della dotazione “massima” e il 73,4% di quella “minima”.

In questi ultimi giorni, sempre in T.I., i pazienti non-Covid hanno superato quelli Covid: 237 a 108, con un totale regionale di 345 posti intensivi occupati.

In sintesi: 345/485= 71,13% e 345/825= 41,81%.

Numeri e “storie cliniche personali” frutto della “programmazione strategica regionale” e del “sacrificio dei sanitari” durante la pandemia.

MORALE DELLA STORIA

Se questi sono i dati, accumulati da marzo ad oggi, come può permettersi la task force nazionale (nomen omen) di pronosticare situazioni catastrofiche per i prossimi mesi, financo in caso di recidiva devastante?

Come è possibile ipotizzare che la recidiva di una virosi — che si sta attenuando — possa avere effetti più drammatici di quelli iniziali, quando il nostro Ssn è stato preso alla sprovvista o quasi, per l’incapacità delle organizzazioni sanitarie nazionali di affrontare con consapevolezza e in modo strutturato questa “strana virosi” in arrivo dalla Cina?

Come è possibile (lo chiediamo anche a Conte e a Speranza) dare credito ad un algoritmo fantasioso, senza tener conto del senso di responsabilità mostrato in questi mesi dagli italiani, con i loro comportamenti “adeguati” alla virosi e alle indicazioni nazionali e regionali?

È evidente che doveva-debba-dovrà essere garantita la sicurezza sanitaria dei cittadini, partendo dalla conferma e dal rispetto delle regole sanitarie basilari. “

LE ESPERIENZE ALTRUI

Un recentissimo studio inglese, effettuato su ben 16.747 inglesi infettati, dimostra che i pazienti Covid-19 ospedalizzati muoiono nel 33% dei casi e guariscono nel 49% dei casi.

E gli altri? Gli altri finiscono in T.I. con prognosi drammatica (morte o agonia) nel 50% del totale. Brutalmente, ulteriori decessi.

Quindi, rianimazione, significa dramma, soprattutto in presenza di comorbidità: obesità, patologie cardiovascolari (29%), diabete mellito (19%), pneumopatia cronica non asmatica (19%) o asmatica (14%).

Altri lavori recenti confermano che le espressioni cliniche della malattia possono essere variegate. Infatti  il quadro clinico può essere respiratorio (tosse, espettorazione-sputo, dolori alla gola, gocciolio nasale, dispnea e dolore toracico, alterazioni gusto-olfatto), sistemico (febbre, mialgie, artralgie, stanchezza) o gastro-intestinale (dolore addominale, vomito, diarrea).

Quindi, molto più variabile di quanto asserito inizialmente dai cinesi (disturbi respiratori), configurando invece spesso un quadro di coagulazione intravascolare, associato ai danni diffusi da interleuchina 6. Per non parlare della comparsa improvvisa di diabete in soggetti prima non diabetici, della comparsa di iperglicemie difficilmente trattabili in vecchi diabetici e, infine, di patologie neurologiche diverse per intensità e durata.

CONCLUSIONI  (DI UN VECCHIO PRIMARIO)

In medicina, la prassi vince spesso sulla teoria. Ed è per questo elemento che i “medici senior” hanno molto da insegnare ai neolaureati e agli specializzandi. L’esperienza è una grande maestra, da Esculapio in poi.

Con il passare dei mesi, le informazioni “sul campo” aggiungono e aggiungeranno importanti mattonelle alla costruzione di uno schema terapeutico efficace: le linee guida – certificate e asseverate da casistiche consistenti – da seguire in questa virosi, oggi e nel futuro prossimo. Come elementi base per affrontare le ulteriori epidemie-pandemie, che ci saranno, ancora.

Fondamentale si conferma la scelta di tenere a domicilio (e trattare precocemente) i pazienti con sintomatologia più leggera. Nei casi più impegnativi, invece, il ricovero ospedaliero dovrebbe essere prevalentemente indirizzato verso i reparti di malattie infettive o di terapia subintensiva (pneumologica e non) usando tutto l’armamentario terapeutico finora dimostratosi utile, in attesa del vaccino o di un coktail farmacologico  “codificato”.

Usando cioè quello che è stato usato, empiricamente, finora: idrossiclorochina, azitromicina, remsdesivir, lopinavir/ritonavir, cortisonici, tocilizumab, eparina a basso peso molecolare, plasma dei guariti, plasmaferesi o tecniche di adsorbimento della IL-6 etc. Ultima risorsa, la T.I. e l’intubazione.

Empiricamente, perché ci sono poche linee guida (es. quelle americane IDSA, aprile 2020, fonte Medscape) che non aiutano la prassi perché raccomandano l’uso dei farmaci sopracitati solo “nel contesto di un trial clinico” (sic!), come se i 40.000 italiani ospedalizzati non dovessero invece essere trattati con ogni mezzo disponibile, con esperienza e con intuito.

In ogni caso,  la terapia va personalizzata ossia adeguata al singolo caso clinico, per cercare di guarire il paziente, evitandogli danni aggiuntivi.

Ai politici il compito di tener conto di quanto successo. Non è polemica pensare, dire e scrivere quanto segue:

  1. Non si possono tagliare i fondi per il SSN, come fatto nell’ultimo decennio (dati ISTAT , CNEL etc)
  2. Non si possono tagliare posti letto ospedalieri, arrivando a percentuali di dotazione inferiori alla media U.E.;
  3. Non si possono avere posti letto di T.I. insufficienti a coprire le frequentissime emergenze e le gravi complicanze dei “vecchietti-vecchioni”;
  4. Non si può non avere una rete provinciale di U.O.C (unità operative complesse) di Malattie infettive, in presenza di una crescente mobilità della popolazione mondiale;
  5. Non si può non avere una rete dedicata alle emergenze sanitarie (Protezione sanitaria), specifica e con una breve linea di comando (nazionale, regionale, provinciale);
  6. Non si può non ridefinire la struttura dell’assistenza medico-sanitaria sul territorio, per evitare accessi impropri all’ospedale, luogo di cura secondaria ma fonte di specifiche infezioni.

Non si può. Questo lo dico io, ma non sono solo.

Questo lo dico io, ma è compito della politica dare una risposta completa, che metta in sicurezza la salute dei cittadini, oggi, domani e dopodomani.

Non servono DPCM e circolari, serve un nuovo piano sanitario nazionale, 42 anni dopo quello della senatrice-ministro Anselmi. Un nuovo piano, con nuove articolazioni, standard del personale, adeguatezza di strutture e macchinari, semplificazione delle regole per il personale e per gli acquisti, per la costruzione-manutenzione degli stabili. Un piano che chiarisca in modo definitivo  rapporti gestionali tra stato e regioni e che garantisca un  finanziamento adeguato al SSN.

Altrimenti, ricascheremo a breve nel caos dei scorsi mesi, con la morte di tanti italiani, inclusi coloro che sono stati in prima linea. Qualcuno mi ascolterà?

Stefano Biasioli

Primario Nefrologo in pensione
Sindacalista medico, in pensione
Consigliere del CNEL

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