Microsoft ha investito 13 miliardi di dollari in OpenAI, la società di intelligenza artificiale nota soprattutto per aver sviluppato ChatGPT, probabilmente il chatbot più famoso al mondo nonché quello che ha spinto le grandi società tecnologiche a puntare sui modelli linguistici e sui sistemi generativi.
Questa esplosione dell’interesse per l’intelligenza artificiale ha portato a un aumento del numero di brevetti depositati. E infatti i brevetti relativi all’intelligenza artificiale generativa – così chiamata perché capace di generare testo o contenuti multimediali sulla base delle richieste fatte – sono passati dai 733 del 2014 agli oltre 14.000 del 2023, stando ai dati della WIPO, l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale, un’agenzia delle Nazioni Unite.
LA CLASSIFICA DELLE AZIENDE CON PIÙ BREVETTI DI INTELLIGENZA ARTIFICIALE GENERATIVA
ChatGPT, come detto, è una tecnologia statunitense, come statunitensi sono la società che l’ha sviluppata e la sua maggiore investitrice. Eppure le aziende con il maggior numero di brevetti depositati sull’intelligenza artificiale generativa (o gen-AI, in gergo) nel periodo 2014-2023 sono cinesi.
Microsoft è solo al nono posto della classifica, il cui podio è occupato da tre società cinesi: Tencent, con 2074 brevetti; Ping An Insurance, con 1564; e infine Baidu, con 1234. Al quarto posto c’è IBM, che ha sede negli Stati Uniti, con 601 brevetti; seguita dalla cinese Alibaba e dalla sudcoreana Samsung.
A completare l’elenco, nell’ordine, ci sono Alphabet (la società madre di Google) con 443 brevetti, la cinese ByteDance (proprietaria di TikTok) con 418 e appunto Microsoft, con 377 brevetti, in parità con la cinese BKK Electronics.
L’unica azienda europea presente nella classifica della WIPO è Siemens, tedesca, con 208 brevetti.
LE RESTRIZIONI COMMERCIALI DEGLI STATI UNITI
Nonostante il vantaggio numerico nei brevetti, la Cina è indietro nei microchip avanzati, ovvero quei dispositivi fisici che forniscono potenza di calcolo per le applicazioni di intelligenza artificiale. Il primato, in questo caso, è degli Stati Uniti, che possono contare su aziende come NVIDIA e che già da anni portano avanti una politica di restrizioni commerciali proprio con l’obiettivo di impedire a Pechino di accedere sia a questi componenti critici, sia ai macchinari necessari a produrli.
Gli americani, peraltro, hanno coinvolto nella loro strategia quei paesi alleati che possiedono asset rilevanti nella filiera del chipmaking, come il Giappone (dove hanno sede Tokyo Electron e Nikon) e i Paesi Bassi (dove si trova ASML); di recente, tuttavia, Washington ha fatto marcia indietro su alcune misure giudicate troppo oppressive.