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Pannelli

Ue, Usa, Cina: perché l’industria dei pannelli solari è in crisi

Il crollo dei prezzi dei pannelli solari dovuto alla sovraccapacità cinese sta mandando in crisi non soltanto le aziende europee, ma anche quelle statunitensi. Perfino in Cina il settore è scosso da fallimenti e licenziamenti. Tutti i dettagli.

A maggio è entrato in vigore il Net-Zero Industry Act, la legge che – presentata dalla Commissione europea nel marzo 2023 – vuole stimolare la produzione delle tecnologie per l’energia nell’Unione europea, con l’obiettivo di raggiungere entro il 2030 una capacità manifatturiera tale da soddisfare almeno il 40 per cento del fabbisogno annuo comunitario. Si tratta di un target particolarmente sfidante, considerato che attualmente l’Europa ha una capacità manifatturiera di pannelli solari di soli 3 gigawatt (cioè quanto serve a soddisfare il fabbisogno elettrico di tre milioni di abitazioni), e che questa capacità si è quasi dimezzata dallo scorso novembre a oggi. Le installazioni di impianti di energia solare, in particolare, dovranno crescere parecchio per rispettare gli obiettivi sulla riduzione delle emissioni; il problema è che le aziende europee che realizzano le celle e i moduli fotovoltaici sono in crisi.

LA CRISI DELL’INDUSTRIA SOLARE EUROPEA

Il caso forse meglio rappresentativo di questa situazione l’ha raccontato il Financial Times ed è quello di Solarwatt, azienda tedesca fondata all’inizio degli anni Novanta, quando il paese era un importante produttore di componentistica fotovoltaica prima di venire marginalizzato dalla Cina. Nel 2021, comunque, Solarwatt ha aperto una nuova fabbrica di pannelli solari a Dresda e la notizia si prestava a essere presa a simbolo di un inizio della rinascita della manifattura europea di tecnologie pulite. E invece oggi Solarwatt si sta preparando a chiudere quello stabilimento e a delocalizzare la produzione in Cina.

Non si tratta di un caso isolato. Negli ultimi due anni, infatti, il prezzo dei pannelli solari è crollato a causa di un eccesso di offerta sul mercato, causata a sua volta da un eccesso di produzione in Cina, che sta impendendo alle aziende europee – in particolare, ma non solo – di operare con profitto. “Siamo in crisi”, ha detto al Financial Times il segretario dell’European Solar Manufacturing Council, un’associazione di categoria. Yana Hryshko, analista di Wood Mackenzie, ha spiegato che “c’è un eccesso di capacità in ogni segmento [della filiera solare, ndr], a partire dal polisilicio fino al modulo”.

CLIMA E INDUSTRIA

Il problema non è solo per le aziende ma anche per i governi, che devono trovare un equilibrio tra il rispetto degli obiettivi climatici (i bassi prezzi dei pannelli solari rendono meno costosa e più facile la decarbonizzazione) e la salvaguardia dell’attività industriale e dell’occupazione.

LA CONCORRENZA DEI PANNELLI CINESI

Ad aprile la Commissione europea ha avviato delle indagini su due aziende cinesi di pannelli solari che potrebbero aver ricevuto sussidi statali e creato, quindi, delle distorsioni nel mercato. Finora, però, Bruxelles ha resistito alle pressioni per l’imposizione di dazi sui dispositivi cinesi, probabilmente per non compromettere i target sulle emissioni visto che il 95 per cento dei moduli solari installati nell’Unione sono stati precedentemente importati proprio dalla Cina.

L’azienda Meyer Burger, svizzera ma attiva in Germania, ha detto che c’è bisogno “di creare parità di condizioni” in Europa rispetto alla concorrenza cinese. Nei mesi scorsi la società ha annunciato la chiusura della sua fabbrica di pannelli a Freiberg, in Germania, per concentrare gli investimenti negli Stati Uniti e approfittare così dei crediti d’imposta garantiti dall’Inflation Reduction Act di Joe Biden. Il Financial Times scrive che l’Inflation Reduction Act ha stimolato investimenti nella manifattura solare per quasi 13 miliardi di dollari, oltre sei volte tanto rispetto agli investimenti nei cinque anni precedenti alla legge, entrata in vigore nell’agosto 2022.

LA SITUAZIONE NEGLI STATI UNITI

Neanche gli Stati Uniti, però – dove pure il costo dell’energia è più basso che in Europa e gli aiuti pubblici sono di più facile accesso -, sono immuni dalla crisi. E infatti Meyer Burger ha dovuto rimandare i piani per un impianto di celle solari da 2 GW di capacità a Colorado Springs. Il crollo dei prezzi ha spinto anche altre aziende a fare altrettanto, come la canadese Heliene e la statunitense CubicPV.

L’amministrazione Biden ha risposto alzando dal 25 al 50 per cento i dazi sulle importazioni di celle solari dalla Cina e rimuovendo le esenzioni dalle tariffe per i pannelli bifacciali. Ad oggi tuttavia produrre un pannello solare negli Stati Uniti, utilizzando celle realizzate nel paese e accedendo ai sussidi dell’Inflation Reduction Act, costa 18,5 centesimi per watt di capacità; un pannello fabbricato nel Sudest asiatico costa 15,6 centesimi al watt e uno made in China poco più di 10 centesimi.

LA SITUAZIONE IN CINA

La crisi dovuta alla sovraccapacità e al crollo dei prezzi dei dispositivi solari riguarda anche la Cina, dove un numero crescente di aziende ha dichiarato la bancarotta o ha avviato un procedimento di ristrutturazione per via delle grosse perdite economiche riportate negli ultimi mesi.

A fallire sono soprattutto i piccoli produttori, come Zhejiang Akcome o Gansu Golden Solar, mentre le società più grandi e strutturate – ad esempio Longi, prima azienda del settore a livello globale – stanno riuscendo a sopravvivere alle grosse perdite attraverso i licenziamenti e le sospensioni delle attività. A marzo Longi ha tagliato del 5 per cento la sua forza-lavoro di ottantamila persone.

In un comunicato pubblicato il 30 luglio, il Partito comunista cinese ha dichiarato che il paese deve “rafforzare il meccanismo di mercato che permette al superiore di vincere e all’inferiore di essere eliminato”. Il settore solare cinese si troverebbe insomma in una fase di razionalizzazione.

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