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Russia

Non solo Isab: ecco come la Russia aggira il blocco al petrolio

La Isab di Priolo Gargallo è parte di una triangolazione petrolifera che parte dalla Russia e arriva negli Stati Uniti. L'Europa, intanto, acquista greggio russo attraverso l'India. Eppure il Cremlino ha problemi a far quadrare i conti. Tutti i dettagli.

 

Fatta la legge, trovato l’inganno. E così gli Stati Uniti stanno aggirando “più o meno inavvertitamente” il blocco agli acquisti di petrolio dalla Russia che loro stessi, assieme al resto del G7, hanno imposto.

L’INTERVISTA DI LIMES AL TRADER PETROLIFERO

Intervistato dalla rivista di geopolitica Limes, il trader petrolifero Vittorio Amoretti ha detto che esiste “una triangolazione tra Russia, Italia e Stati Uniti per dribblare le sanzioni e continuare a esportare petrolio in America”, e che questa triangolazione “passa attraverso la raffineria ISAB”: si trova a Priolo Gargallo, in Sicilia, ed è uno degli stabilimenti petroliferi più importanti d’Italia e del Mediterraneo. Di proprietà della compagnia russa Lukoil, la raffineria è stata recentemente venduta alla società di private equity cipriota G.O.I. Energy, che ne ha rinnovato il consiglio di amministrazione (nel quale è presente, però, un consigliere legato proprio all’industria energetica russa).

La vendita di ISAB era giudicata necessaria a garantire un futuro all’impianto, perché la proprietà russa non le permetteva di ricevere dalle banche il credito necessario ad acquistare greggio non proveniente dalla Russia: la raffineria, in sostanza, rischiava la chiusura, con grosse ricadute occupazionali ed energetiche per la Sicilia e l’Italia.

IL RUOLO DELLA ISAB NELLA “TRIANGOLAZIONE” RUSSIA-ITALIA-AMERICA

Prima della guerra, la ISAB si riforniva di greggio da una decina di paesi diversi e la quota della Russia sul totale, pur rilevantissima, era del 30 per cento. Prima dell’operazione Lukoil-G.O.I., invece, la quota russa era salita al 90 per cento, con la parte rimanente costituita da greggio kazako o kazako misto a russo.

Come rivelato lo scorso novembre dal Wall Street Journal – la cui inchiesta era stata ripresa da Startmag -, dopo essere stato raffinato alla ISAB, il petrolio russo veniva spedito agli Stati Uniti e consegnato alle aziende energetiche come ExxonMobil. Da un punto di vista formale, tuttavia, le sanzioni non venivano violate: le normative stabiliscono infatti che la nazionalità del petrolio viene determinata dal luogo di raffinazione (cioè l’Italia) e non da quello di provenienza della materia prima (cioè la Russia).

“Tecnicamente il regolamento sulle sanzioni non è stato violato”, ha detto anche Amoretti a Limes, “dato che verso gli USA viaggia benzina prodotta in Italia, senza dover dichiarare da quale petrolio è stata raffinata”.

Da marzo a novembre 2022, la ISAB ha esportato negli Stati Uniti quasi 5 milioni di barili di prodotti petroliferi, di cui circa 2,5 milioni di barili di benzina. Nel 2021 la quota della Russia nelle importazioni petrolifere (tra greggio e raffinati) era dell’8 per cento, pari a quella del Messico (al secondo posto) ma nettamente inferiore a quella del Canada (51 per cento, al primo posto).

L’INDIA RIVENDE IL PETROLIO RUSSO ALL’UNIONE EUROPEA

La triangolazione petrolifera più rilevante per l’Unione europea è invece quella che passa per l’India: le raffinerie indiane acquistano (a sconto) greggio dalla Russia, lo lavorano e poi lo rivendono sul mercato europeo.

Anche in questo caso, non si tratta di una violazione delle sanzioni: l’obiettivo di Bruxelles non è impedire a Mosca di vendere al di fuori del territorio europeo (altrimenti si creerebbe una crisi di offerta sul mercato internazionale e i prezzi schizzerebbero alle stelle, danneggiando l’economia globale), ma limitarne i guadagni (come sta accadendo) in modo che abbia poi difficoltà a finanziare la guerra all’Ucraina.

Come ha scritto pochi giorni fa su Bloomberg Javier Blas, giornalista molto esperto di energia e materie prime, “le sanzioni hanno come priorità quella di mantenere ben fornito il mercato petrolifero, anche se questo significa che Mosca, Teheran e Caracas [anche Iran e Venezuela sono sottoposte a sanzioni, ndr] possono vendere petrolio”.

MA LE COSE NON VANNO BENE PER I CONTI DELLA RUSSIA

Le esportazioni di idrocarburi stanno comunque permettendo a Mosca di incassare cifre considerevoli, ma in forte calo rispetto al periodo pre-invasione. Lo stesso ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov, ha ammesso che ci sono dei “problemi”, perché nel primo trimestre del 2023 le entrate del settore oil & gas sono diminuite del 50 per cento su base annua, a 27,3 miliardi di dollari. Di conseguenza il paese potrebbe avere difficoltà a chiudere un buco dell’8 per cento nel proprio bilancio, come ricorda l’analista dell’ISPI Matteo Villa.

isab
Il grafico (è del Financial Times, basato sui dati del ministero delle Finanze russo) mostra le entrate energetiche della Russia nei primi quattro mesi di ogni anno.

Siluanov dà la colpa della situazione a “tutti questi sconti”, cioè ai bassi prezzi di vendita del greggio russo sui mercati asiatici (cinese e indiano, soprattutto) applicati per aumentarne l’attrattività e legati al price cap di 60 dollari al barile imposto dal G7. Già lo scorso dicembre su Startmag segnalavamo le conseguenze sui conti della Russia del meccanismo di “tetto al prezzo” del petrolio.

– Leggi anche: Le “navi ombra” che trasportano il petrolio russo a India e Cina

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