L’energia eolica è rinnovabile, ma non tutte le parti che formano le turbine lo sono. Le pale sono fatte di un materiale molto resistente, un mix di fibra di vetro (o di carbonio) più una resina plastica detta “epossidica”, che permette loro di resistere a sollecitazioni molto forti ma che poi ne rende praticamente impossibile il riciclo: una volta che – semplificando – la resina indurente si mischia al resto, infatti, è molto difficile rompere i legami chimici del materiale in modo da recuperare la fibra di partenza. Le pale eoliche dismesse, nonostante vengano tagliate, occupano comunque tanto spazio – la tendenza, peraltro, è di installare impianti sempre più grandi ed efficienti – e si prevede che al 2050 le discariche ne ospiteranno oltre 40 milioni di tonnellate a livello globale.
COSA FARNE DELLE PALE EOLICHE?
Le pale che non vengono conferite in discarica vengono incenerite oppure trasformate in aree giochi per bambini o in panchine. Non si tratta però di soluzioni definitive, considerato il gran numero di parchi eolici che verranno installati nei prossimi anni in tutto il mondo per realizzare il processo di decarbonizzazione. La maggior parte dei componenti di una turbina è comunque riciclabile, essendo fatti di acciaio. Come scrive lo scienziato Vaclav Smil in Come funziona davvero il mondo:
Nessuna struttura è un simbolo più evidente della produzione “verde” di elettricità delle grandi turbine eoliche – ma questi giganteschi agglomerati di acciaio, cemento e plastiche sono anche espressione dei combustibili fossili. […] le loro torri, le loro “gondole” e i loro rotori sono fabbricati in acciaio (la cui massa combinata è quasi di 200 tonnellate per ogni megawatt di potenza installata), e le loro imponenti pale sono composte da resine plastiche (circa 15 tonnellate per turbine di media grandezza) difficili da riciclare e la cui produzione richiede una spesa significativa in energia.
IL MATERIALE RICICLABILE (E VEGETALE) SVILUPPATO NEGLI STATI UNITI
Esistono dei materiali alternativi per la costruzione di pale eoliche che promettono di essere non soltanto durevoli come quelli tradizionali, ma anche riciclabili.
Come racconta il New York Times, un laboratorio del dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, il National Renewable Energy Laboratory, ha sviluppato un materiale riciclabile di origine vegetale – ricavato cioè dagli zuccheri estratti dal legno e dai residui agricoli e alimentari – che è equivalente allo standard nelle prestazioni e compatibile con gli stampi e i macchinari già presenti nelle fabbriche: è “concepito per essere un sostituto a tutti gli effetti” del mix di fibra e resina, spiega il quotidiano.
IL PROBLEMA DEL COSTO
Il problema è che le pale eoliche realizzate con questo materiale vegetale – le sperimentazioni sono ancora in corso, comunque – potrebbero essere tra il 3 e l’8 per cento più costose di quelle convenzionali. Non è scontato che i produttori di turbine lo adotteranno, insomma, anche considerato il momento difficile vissuto dall’industria eolica occidentale: due delle società più grandi del settore, la tedesca Siemens Gamesa e la danese Orsted, hanno riportato risultati economici piuttosto sofferenti. A luglio il governo della Spagna è andato in soccorso di Siemens Gamesa con una garanzia statale da 600 milioni di euro, e l’anno prima la Germania aveva assistito l’azienda con una garanzia di 7,5 miliardi. Quanto a Orsted, il valore delle sue azioni è crollato del 69 per cento rispetto al picco del 2021.
LA RESINA DI SWANCOR
Un’alternativa al materiale sviluppato dal National Renewable Energy Laboratory è la resina inventata dall’azienda taiwanese Swancor: chiamata EzCiclo, promette di avere le stesse proprietà di quella epossidica ma di essere riciclabile. Tuttavia – come riporta Bloomberg – le fibre recuperate per via chimica non possono venire impiegate nella costruzione di nuove pale perché il riciclo le indebolisce troppo, rendendole inadatte a questo scopo ma non all’uso in altri processi manifatturieri.
Anche la resina di Swancor è in fase di test e il suo prezzo è più alto, del 10-15 per cento circa, di quella “classica”.