Venezuela, Usa, Libia, Nigeria e Russia: ecco i motivi per cui il prezzo del petrolio è in calo
Il prezzo petrolio è nuovamente in calo. Sembra essere finita l’influenza positiva dell’accordo Opec sul taglio della produzione, a pesare sulle quotazioni di greggio è la crisi del Venezuela, ma anche l’alta produzione degli Usa. C’è il ritorno alla produzione della Libia e la questione Russia (quanto Mosca è disposta ancora a tagliare?). Proviamo ad analizzare la questione e partiamo dai numeri.
Petrolio, le quotazioni
Nella giornata di giovedì 27 Aprile, il valore del Brent era di 50.61 dollari al barile (ore 18.00 italiane), con un ribasso di 2.34 punti percentuali. Meno 2.54, invece, il WTI il cui prezzo è sceso 48.44 dollari al barile.
La crisi del Venezuela e il prezzo del petrolio
Il Venezuela vive una crisi sempre più profonda, economica e politica. ‘inflazione continua a crescere e supera ormai il 500%, mentre non si vede quale potrebbe essere una via d’uscita. Il governo di Nicolás Maduro si rifiuta qualsiasi possibilità di convocare nuove elezioni come chiede l’opposizione. Ci sono stati scontri in strada, feriti e diversi morti.
Il Venezuela è un Paese che siede su alcune delle più grandi riserve mondiali di greggio. A causa della crisi, però, la produzione è crollata già del 10% lo scorso anno e tale trend proseguirà anche nel 2017. Ad un calo della produzione, corrisponderà anche, secondo il parere degli analisti un calo della domanda. L’instabilità potrebbe rappresentare un rischio per per il mercato petrolifero.
La Libia torna a produrre
A pesare sul prezzo del petrolio anche la situazione libica, dove si combatte ancora per il petrolio. In Libia è in corso una guerra civile: più forze e governi si scontrano per il controllo del territorio Mezza Luna. Da fine marzo, a ovest del Paese si è insediato il governo di unità nazionale, con sede e Tripoli, appoggiato dall’ONU e guidato dal primo ministro Fayez Serraj. Ma il Governo non è appoggiato dallo Stato islamico, che da diversi mesi combatte per conquistare le città più importanti del Paese, da altre decine di milizie, e dai soldati del generale Khalifa Haftar, che ha dato vita ad un secondo governo libico, con sede a Tobruch (Libia orientale). Fino ad oggi il generale Khalifa Haftar si è rifiutato di trovare un accordo con Serraj che riconosca la presenza di un unico governo in tutta la Libia.
Ad esser contesi sono i pozzi di petrolio: avere il controllo dei quattro principali porti petroliferi del Paese, Ras Lanuf , es Sider (Sidra), Zueitina e Brega, significa avere sotto controllo l’economia del Paese. La guerra ha causato il blocco di alcuni impianti, portando la quotazione di greggio a a salire. In queste ore, però, si diffondono rumors in basi ai quali c’è stata una ripresa della produzione. La cosa influenzerà in modo negativo il prezzo dell’oro nero.
Nigeria: impianti petroliferi sotto attacco
I Niger Delta Avengers, militanti che rivendicano una maggiore autonomia e una più equa ridistribuzione dei proventi dell’industria, hanno più volte compiuto attacchi ai danni di condutture e impianti petroliferi nell’area del delta del Niger, causando il crollo della produzione di greggio. Ricordiamo anche che la Nigeria (proprio come la Libia) è stata esente dai tagli di produzione.
La questione Usa
Nessun conflitto interno, invece, per gli Usa. L’America di Trump pesa sul futuro del prezzo del petrolio a causa dell’aumento della produzione di shale, con un costante aumento delle giacenze di greggio.
In base ad alcuni dati preliminari forniti dall’EIA, infatti, la produzione statunitense nel 2017 è cresciuta di circa 300.000 barili al giorno e potrebbe salire di altri 400.000 entro dicembre prossimo con tutte le conseguenti ripercussioni sul prezzo del petrolio.
Russia: è disposta a tagliare ancora la produzione?
E c’è infine anche la Russia a pesare sul pezzo del petrolio. Sì, perchè il Paese ha accettato, insieme agli altri Paesi Opec, di tagliare la produzione di greggio. Nonostante fosse un membro esterno al Cartello, ha avuto un ruolo determinante nella definizione degli accordi. Obiettivo era far tornare a salire il prezzo del barile.
Se i produttori decideranno di estendere l’accordo di Vienna sarà ancora una volta necessario l’ausilio russo, ma Mosca è disposta a tagliare ancora? Non si sa, perchè il Paese non ha fornito indicazioni in merito alla sua posizione sull’argomento.
Come scrive Bloomberg, infatti, la produzione russa di greggio tende ad aumentare durante il periodo estivo, cosa che si aggiunge ai numerosi progetti messi in campo da parte di compagnie petrolifere nazionali. Di conseguenza, la Russia potrebbe non aderire all’estensione dell’accordo OPEC. E ritornerebbe un eccesso di offerta.
L’accordo Opec
Lo storico accordo sul taglio del petrolio ha trovato, finalmente la sua attuazione, portando il mercato a trovare un nuovo equilibrio dopo più di due anni di eccesso di offerta. Come scrive Bloomberg, dal 1 gennaio 2017, giorno in cui l’accordo è entrato in vigore, i Paesi Opec e non (come la Russia) hanno già tagliato la produzione di petrolio di 1,5 milioni di barili al giorno, oltre l’80% dell’obiettivo collettivo, almeno secondo le stime fornite da Khalid Al-Falih, ministro dell’Energia e dell’Industria dell’Arabia Saudita. L’accordo, ricordiamo, prevede una riduzione di 1,8 milioni di barili al giorno per sei mesi.
Il 30 novembre 2016 i Paesi del cartello hanno raggiunto il primo accordo per la riduzione della produzione di 1,2 milioni di barili, con l’obiettivo di produzione massima a 32,5 milioni di barili al giorno. L’Arabia Saudita si era impegnata a diminuire la produzione di circa 400 mila barili giornalieri.Gli Emirati Arabi dovevano tagliare di 150 mila barili. L’Iraq dovrà diminuire di 130 mila barili la produzione.
Grazie al vertice di Vienna, anche i Paesi non Opec (come Russia, Messico, Oman, Azerbaijan e Kazakhstan) entrano a far parte dell’intesa, impegnandosi in una riduzione di 558.000 barili. Alla Russia spettava l’impegno più importante tra i paesi non Opec. Il Cremlino, secondo produttore mondiale di greggio, si era impegnato ridurre la produzione di 300mila barili di petrolio al giorno.
Prezzo del petrolio, le previsioni di Claudio Descalzi

E’ positivo il pensiero di Claudio Descalzi, ad di Eni, verso il prezzo del petrolio. Al momento le quotazioni sono arrivate a 50 dollari al barile, grazie “al fatto che l’offerta, quindi la produzione, è calata rispetto alla domanda. La domanda è stabile intorno a un 1,2/1,3 milioni, e l’offerta, che era in eccesso l’anno scorso, in questo periodo, a più di 2 milioni, ora è di 400.000 – 500.000 barili”. Il prossimo anno, secondo l’amministratore delegato di Eni, “avrà ancora un trend stazionario in crescita, con qualche oscillazione, dovuto al fatto che le scorte devono essere evacuate” e “mancando gli investimenti, potrebbe esserci nel 2018-2019 anche un gradino di salita dei prezzi perché potrebbe mancare il petrolio”.