L’ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ha realizzato di recente un’analisi del sistema energetico italiano, nella quale si è soffermata in particolare sulle cosiddette materie prime “critiche” – cioè indispensabili – per la transizione ecologica: fanno parte di questo gruppo i metalli per le batterie (come il litio, il cobalto e il nichel), le terre rare e il rame.
LA CORSA MONDIALE AI MINERALI CRITICI
I materiali critici non hanno soltanto un valore strategico per l’economia, perché vengono utilizzati in settori ad alto valore aggiunto o perché sono connessi alla manifattura di tecnologie per le energie pulite. Sono anche complicati da ottenere: sia perché i paesi di produzione sono politicamente instabili o poco affidabili (come il Congo e la Cina), sia perché la loro disponibilità è scarsa e potrebbe non bastare a soddisfare la domanda futura, destinata ad aumentare molto.
Per garantirsi la certezza degli approvvigionamenti di materiali critici, gli Stati Uniti – soprattutto loro – stanno lavorando alla costruzione di filiere “corte” (cioè interne al territorio nazionale o vicine) e “affidabili” (cioè localizzate in paesi alleati o partner, in modo da ridurre la dipendenza da governi ostili).
LA STRATEGIA DELL’UNIONE EUROPEA
L’Unione europea non possiede giacimenti minerari paragonabili a quelli americani, e vorrebbe inoltre limitare al minimo l’apertura di miniere per ridurre l’impatto sociale e ambientale. La strategia di Bruxelles per la sicurezza delle forniture e la riduzione delle importazioni punta allora molto sul recupero dei materiali giunti a fine vita.
La Commissione ha proposto che per il 2030 il 12 per cento del cobalto e il 4 per cento del litio e del nichel presenti nelle batterie provengano da riciclo; nei cinque anni successivi la quota minima dovrà salire al 20 per cento per il cobalto, al 10 per cento per il litio e al 12 per cento per il nichel.
LA DIPENDENZA EUROPEA DAI METALLI ESTERI
Nella sua analisi l’ENEA segnala “la dipendenza dell’UE dall’estero per terre rare, metalli del gruppo del platino e litio (100%), per il tantalio (99%) e per il cobalto (86%), con la prospettiva di non poter soddisfare la domanda di veicoli elettrici e di componenti per la produzione di energia eolica al 2030″.
Le supply chain dei metalli critici sono perlopiù concentrate nelle mani della Cina, che domina in particolare la fase di raffinazione delle materie grezze.
ENEA ricorda la presenza, sul territorio europeo, di riserve di minerali critici per le batterie, come litio, cobalto, grafite e nichel: si concentrano soprattutto in Spagna, Germania, Polonia, Austria e Repubblica ceca, localizzate “in regioni che dipendono fortemente dalle industrie carbonifere o ad alta intensità di carbonio”.
CAPACITÀ DI RICICLO “ANCORA TROPPO BASSA”
Quanto alle capacità di riciclo, l’ENEA scrive che l’Unione europea possiede sì “una tradizione nel riciclo di metalli come ferro, zinco, platino”; per quanto riguarda però le materie prime critiche per la transizione energetica, “la percentuale di riciclo è ancora troppo bassa, o nulla”.
L’APPROCCIO ITALIANO
Quanto all’Italia, l’agenzia segnala che il nostro paese “importa modeste quantità di litio (intorno a 11 milioni di euro nel 2021), ma in compenso importa il prodotto finito che ne fa il maggiore impiego – gli accumulatori agli ioni di litio – per un ingente valore (oltre 1 miliardo € nel 2021)”.
L’Italia, dunque, preferisce “importare dall’estero il manufatto industriale che contribuisce a un’economia low-carbon piuttosto che produrlo in proprio, anche se sussistono rilevanti eccezioni (come nel solare termico) ed esempi di produzioni nazionali (ad esempio nel fotovoltaico, o nei veicoli elettrici)”.
L’ITALIA DEVE PUNTARE SUL RICICLO DEI METALLI CRITICI
In uno studio dedicato proprio al fabbisogno di materie prime critiche in Italia, il CRIET – il Centro di ricerca interuniversitario in economia del territorio, legato all’Università di Milano-Bicocca – scriveva che il nostro paese dovrebbe promuovere l’”uso circolare delle risorse”, ossia favorire quanto più possibile il riciclo dei materiali contenuti nei prodotti una volta consumati.
I rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (o RAEE), per esempio, “possono trasformarsi da costo” da smaltire “ad elementi di valore”, si legge, “grazie alla possibilità di ottenere materie prime e materiali critici che diversamente si dovrebbero importare, segnando il reale passaggio da una economia lineare ad una circolare”.
Il CRIET invitava pertanto a sviluppare l’urban mining, ovvero il processo di recupero delle materie prime secondarie dai rifiuti riciclati.
COSA FA L’ENEA PER IL RECUPERO DEI RAEE
Nel 2020 l’ENEA ha messo a punto il primo impianto pilota italiano per il recupero di metalli preziosi (oro, argento, platino, palladio, rame, stagno e piombo) dai RAEE, come computer e smartphone vecchi.
L’impianto si chiama ROMEO (da Recovery Of MEtals by hydrOmetallurgy), si trova a nord di Roma, ha una resa estrattiva del 95 per cento e utilizza un processo idrometallurgico brevettato da ENEA, che permette un minore consumo energetico rispetto ai metodi tradizionali.
Danilo Fontana, ricercatore del Laboratorio tecnologie per il riuso, il riciclo, il recupero e la valorizzazione di rifiuti e materiali dell’ENEA, aveva dichiarato al tempo che “con ROMEO vogliamo stimolare la creazione di una filiera nazionale completa per il recupero di metalli preziosi da RAEE. Purtroppo finora in Italia il settore nazionale del riciclo si ferma al trattamento iniziale, cioè il processo meno remunerativo, lasciando a operatori esteri, in particolare del Nord Europa, il compito di recuperare la parte ‘nobile’ del rifiuto”.
Di recente Fontana ha spiegato al manifesto che “una tonnellata di schede elettroniche da telefoni a fine vita contiene in media 276 grammi di oro, 345 grammi di argento, 132 chili di rame”.
“Se si considerano poi altri componenti, come magneti e antenne integrate ad esempio”, ha proseguito il ricercatore, “l’elenco si allunga con le terre rare, quali ad esempio neodimio, praseodimio e disprosio, che possono raggiungere 2,7 chili per tonnellata di smartphone. Grazie alle tecnologie attuali è possibile riciclare oltre il 96 per cento di questi dispositivi elettronici, recuperando quantità significative di metalli preziosi con gradi di purezza elevati”.
L’ENEA conta di recuperare 2,7 chili di materiali critici da ciascuna tonnellata di schede elettroniche per smartphone grazie ai processi di idrometallurgia.