Conciliare l’industria mineraria con un approccio d’investimento responsabile può risultare estremamente difficile a causa dei gravi impatti ambientali e sociali associati a questo settore: il suo stesso modello di business si basa sull’estrazione e sull’utilizzo delle risorse finite del pianeta. Se mal pianificati, i progetti possono tra l’altro andare incontro a problemi di diritto fondiario, ovvero compromettere siti di importanza culturale o naturale. È stato riscontrato che, in caso di cattiva gestione, i prodotti di scarto dell’attività mineraria possono inquinare le risorse idriche locali o portare a disastri come il crollo della diga di sterili di Brumadinho, in Brasile, che nel 2019 provocò la morte di 270 persone. Inoltre, l’industria minero-metallurgica contribuisce a circa l’8% delle emissioni globali di gas serra.
Ciò nonostante, la società si affida sempre di più ai prodotti del settore vista la spinta ad accelerare la transizione energetica, il che sta già alimentando la domanda dei cosiddetti “metalli di transizione” come rame, nichel, cobalto e litio.
Abbiamo esaminato il ruolo dei metalli di transizione nel processo di decarbonizzazione, valutando se possano essere considerati un investimento responsabile. Ci siamo concentrati sul rame, in quanto si tratta di uno dei metalli più comunemente utilizzati, per il quale disponiamo di dati più precisi sulla crescita della domanda e sull’utilizzo finale.
La transizione energetica favorisce la crescita della domanda di rame
La mitigazione della crisi climatica e il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio richiedono una massiccia espansione delle tecnologie a basse emissioni, come le energie rinnovabili e i veicoli elettrici, con conseguente aumento della domanda dei metalli necessari per queste tecnologie.
Come illustrato di seguito, il solare fotovoltaico, l’eolico onshore e l’eolico offshore richiedono rispettivamente circa 2,8, 2,9 e 8 tonnellate di rame per MW di nuova capacità, contro le 1,15 tonnellate/MW necessarie per la generazione convenzionale di elettricità dal carbone. A seconda della tecnologia, anche altri metalli di transizione evidenziano un forte aumento della domanda.
Per quanto riguarda i trasporti, i veicoli elettrici a batteria completa richiedono una quantità di rame per veicolo circa 2,5 volte superiore a quella di un tradizionale motore a combustione interna. Abbisognano inoltre di nuove reti di ricarica su larga scala, possibilmente alimentate con energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili.
Il rame per “usi ecologici” rappresenta appena il 6% dei consumi attuali, mentre le quote maggiori sono riconducibili all’edilizia (29%), alle reti elettriche “tradizionali” (27%) e ai prodotti di consumo (22%). Tuttavia, si prevede che la domanda di rame per l’elettromobilità e le rinnovabili rappresenterà quasi il 40% della crescita totale nei prossimi 20 anni; Wood Mackenzie stima, infatti, che nel 2040 la domanda globale di rame supererà del 50% il livello attuale. Se il mondo opterà per un percorso di decarbonizzazione più aggressivo per allinearsi a uno scenario di 1,5°C, queste cifre non potranno che aumentare.
L’offerta di rame non terrà il passo
Servono nuove capacità estrattive, ma a causa di alcuni dei fattori socio-ambientali menzionati sopra, il sostegno pubblico e politico ai nuovi progetti necessari a soddisfare la domanda sta diminuendo, soprattutto nei mercati sviluppati.
Occorre inoltre concentrarsi sui giacimenti di grado più elevato, in quanto l’estrazione di metalli da quelli di grado inferiore è più costosa, inquinante e dispendiosa dal punto di vista energetico. Le stime variano, ma è opinione condivisa che gli investimenti insufficienti nell’offerta, abbinati alla crescita della domanda, porteranno a una carenza pari al 10% circa della domanda annuale di rame entro il 2030.
Fortunatamente, il rame può essere riciclato all’infinito senza che le sue proprietà chimiche o fisiche si deteriorino. Con l’aumento dei prezzi e i miglioramenti tecnologici, assisteremo probabilmente a un incremento del tasso di riciclaggio dall’attuale 15-20%. Questo potrebbe in qualche modo compensare la necessità di nuove miniere e i problemi che le accompagnano. Anche l’efficienza delle risorse giocherà un ruolo importante, come abbiamo visto nell’ultimo decennio quando la riduzione del contenuto di argento e di silicio nelle celle solari ha consentito un maggiore utilizzo dell’energia solare.
Nel complesso, prevediamo che la domanda di rame per usi ecologici finirà quasi per quadruplicarsi nel corso di questo decennio, fino a superare il 17% della domanda totale. Pur non rappresentando la quota preponderante della domanda complessiva, è innegabile che la transizione energetica dipende dalla capacità di soddisfare questa domanda. Riteniamo pertanto che il rame meriti di essere qualificato come metallo di transizione.
Per garantire che gli emittenti in cui si investe siano operatori responsabili e rispettino standard virtuosi di gestione ambientale e sociale è indubbiamente necessaria una due diligence accurata.
I trend osservati per il rame risultano amplificati nel caso di altri metalli di transizione con un minor numero di usi alternativi. I veicoli elettrici e le batterie di accumulo sono già i maggiori consumatori di litio, e lo scenario di sviluppo sostenibile dell’IEA prevede che entro il 2040 l’energia pulita rappresenterà il 60-70% della domanda di nichel e cobalto. Un impegno globale concertato per azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 richiederebbe nel 2040 un apporto di minerali sei volte superiore a quello attuale.
Purtroppo, le questioni socio-ambientali associate ad alcuni di questi metalli sono molto più rilevanti che per il rame, il che rende la loro inclusione nei portafogli ESG più difficile da giustificare agli occhi degli investitori responsabili. Ad esempio, attualmente la metà dell’estrazione di litio avviene in aree a forte stress idrico, dove le attività di estrazione, lavorazione e consumo incidono sulle comunità locali e sulla biodiversità.
I problemi inerenti a diritti umani, lavoro minorile, sicurezza, inquinamento e conflitti legati all’estrazione del cobalto nella Repubblica Democratica del Congo, responsabile di oltre il 60% dell’approvvigionamento globale, sono ampiamente documentati. Per gli investitori che si concentrano sulla mitigazione del rischio ESG e hanno un’esposizione diretta alle società minerarie della regione, come Glencore, questi problemi sono fonte di apprensione, al pari dei problemi della catena di approvvigionamento nei settori della tecnologia e dei produttori di accessori originali (“original equipment manufacturers”, OEM).
È possibile essere una società mineraria responsabile?
Nonostante le sfide che tutte le società minerarie devono affrontare, il settore ha migliorato costantemente le sue pratiche, anche se in alcune aree le azioni correttive sono state innescate da disastri o controversie.
Ad esempio, all’indomani del disastro di Brumadinho gli investitori hanno promosso l’elaborazione del Global Industry Standard on Tailings Management (Standard industriale globale sulla gestione degli sterili), mentre le infelici decisioni di Rio Tinto all’origine della distruzione di siti sacri aborigeni a Juukan Gorge hanno provocato una revisione delle pratiche di coinvolgimento delle comunità, della governance e della consapevolezza culturale in tutto il settore. Anche l’International Council on Mining and Metals ha contribuito al miglioramento degli standard ESG; particolarmente degno di nota, al riguardo, è l’impegno di tutti i membri a raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette operative entro il 2050.
Questo costante miglioramento degli standard ha permesso a un numero limitato di società minerarie specializzate nell’estrazione di metalli di transizione di essere considerate operatori responsabili, il che, a nostro avviso, può essere un utile motore di performance a lungo termine.
Identificare le società minerarie più virtuose con gli standard ESG più elevati e incoraggiare quelle meno virtuose a migliorare è un modo per facilitare la transizione energetica.
Le società minerarie responsabili possono essere compatibili con un approccio focalizzato sui fattori ESG
La decarbonizzazione dell’economia globale richiede inevitabilmente quantità significative di rame e di altri metalli di transizione.
È necessario bilanciare gli impatti socio-ambientali locali delle operazioni minerarie con questa necessità. Gli investitori possono sostenere le società minerarie responsabili nello sviluppo dei nuovi progetti necessari per agevolare la transizione, assicurandosi al contempo che i management di queste aziende siano consapevoli della necessità di standard elevati in ogni fase del ciclo di vita del progetto. Dal mantenimento del consenso libero, preventivo e informato alle pratiche di gestione responsabile dei rifiuti e alle garanzie di riabilitazione dei siti, le società minerarie sono tenute a ottemperare a diversi standard ESG.
Via via che governi, investitori e imprese passano dalla fase di definizione degli obiettivi a quella di attuazione delle rispettive strategie sul cambiamento climatico, sorgeranno altre domande e compromessi di questo tipo, come abbiamo osservato nelle nostre riflessioni sul nesso tra clima e natura.
Va da sé che, se da un lato l’industria estrattiva può favorire la transizione, dall’altro il settore deve trovare il modo per decarbonizzare sé stesso visto il suo ruolo cruciale nel percorso globale verso la neutralità carbonica.
Dobbiamo continuare a farci guidare dai dati e dalla scienza per prendere decisioni nell’interesse a lungo termine della società e del pianeta. In qualità di investitori, la combinazione di ricerca e attività di stewardship è fondamentale per garantire un approccio responsabile ed equilibrato.