Secondo Assoidroelettrica, l’associazione della filiera idroelettrica italiana, la tassa sugli extraprofitti delle società energetiche – è stata istituita nel 2022 dal governo di Mario Draghi con il decreto Sostegni-ter – ha pesato sul comparto per 1,4 miliardi di euro. Un comparto, quello idroelettrico, destinato ad avere un ruolo ancora più importante nella generazione elettrica italiana, visti gli obiettivi di transizione ecologica e di progressivo distacco dai combustibili fossili: l’energia idroelettrica è una fonte rinnovabile, a zero emissioni di gas serra e in grado di garantire una capacità di accumulo attraverso il pompaggio.
I PROBLEMI DELL’IDROELETTRICO ITALIANO
In Italia sono attivi circa 4700 impianti idroelettrici, concentrati principalmente al nord: Piemonte, Trentino Alto-Adige, Lombardia e Veneto). Secondo il ministro delle Imprese Adolfo Urso, la filiera italiana delle tecnologie idroelettriche – la supply chain del solare fotovoltaico è principalmente cinese – ha un valore di oltre 25 miliardi di euro, “seconda in Europa solo alla Germania, con un contributo alle importazioni del 4% sul totale del manifatturiero e con un saldo sempre stabilmente positivo”, riporta Il Sole 24 Ore.
L’anno scorso, in particolare, la siccità ha impattato negativamente sulla produzione idroelettrica italiano, scesa di 19,5 terawattora; nei primi sette mesi del 2023 l’output ha perso 9 TWh. Una minore generazione idroelettrica comporta un maggiore affidamento al gas naturale (e quindi spese più alte per le importazioni) o al carbone (l’idrocarburo maggiormente emissivo).
L’IMPATTO DELLA TASSA SUGLI EXTRAPROFITTI
Secondo Paolo Taglioli, direttore generale di Assoidroelettrica, questa fonte “sta attraversando il momento più difficile della storia non solo a causa di una siccità mai prima d’ora così severa e prolungata, ma anche per gli effetti pesantissimi del Sostegni-ter”, ha detto durante il convegno annuale dell’associazione.
Come ricorda uno studio di Assoidroelettrica, la legge di bilancio 2023 ha previsto un contributo di solidarietà a carico dei produttori e dei rivenditori dell’energia elettrica. “Tale contributo comporta l’applicazione di un’aliquota del 50% sull’ammontare del reddito IRES eccedente per almeno il 10% la media dei redditi IRES complessivi conseguiti nei periodi di imposta 2018-2021. L’ammontare del contributo può raggiungere sino il 25% del patrimonio netto della Società alla data di chiusura dell’esercizio 2021”.
“Il contributo di solidarietà per il 2023”, spiega l’associazione, “si applica ai produttori di energia rinnovabile, laddove il regolamento UE è chiarissimo nel circoscrivere l’applicazione del contributo di solidarietà ai soli operatori del gas e del greggio. Inoltre, il regolamento UE prevede un’aliquota ben più bassa (33%), applicabile peraltro solo se l’aumento degli utili è superiore al 20% (e non già al 10%)”.
COSA FARÀ IL GOVERNO MELONI SULLE CONCESSIONI?
Ad aggravare il quadro sul settore – da lui definito “completamente paralizzato” – c’è l’incertezza sulle concessioni, la maggior parte delle quali scadranno nel 2029, disincentivando le aziende dal realizzare investimenti.
Il governo sta lavorando a un decreto che dovrebbe, tra le altre cose, allungare le concessioni idroelettriche, ma non ha ancora definito una norma. C’entrano le divisioni interne alla maggioranza. Il ministero delle Imprese (retto da Fratelli d’Italia) e quello dell’Ambiente (in mano a Forza Italia), che stanno lavorando al dossier, hanno posizioni concordi; ma il decreto difficilmente piacerà alla Lega, che preferirebbe una “regionalizzazione” delle concessioni volta a favorire i territori settentrionali e le società miste pubblico-privato.
Al convegno di Assoidroelettrica, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha dichiarato soltanto che il governo italiano “sostiene una maggiore armonizzazione della disciplina a livello europeo per tutelare la competitività delle nostre imprese sul mercato nazionale e su quelli esteri”. È possibile che il governo voglia allineare la durata dei titoli concessionari alla media europea, che si aggira sui sessanta-novanta anni; in Italia si arriva a trent’anni, ma in alcune regioni si scende anche a quindici.
SULL’IDROELETTRICO IN EUROPA CIASCUNO FA DA SÉ
Da un punto di vista regolatorio non c’è uniformità in Europa sulle derivazioni idroelettriche. Nell’Europa meridionale (Italia inclusa) prevale la concessione; nell’Europa settentrionale il permesso; in Grecia e Norvegia la licenza. Anche la durata dei permessi è estremamente varia: in Spagna è di settantacinque anni; in Austria si può arrivare a novant’anni; in Portogallo la norma è trentacinque anni; in Francia tra i trenta e i quaranta anni.