Il cosiddetto “decreto Agricoltura“, ossia il decreto-legge approvato dal governo lo scorso 6 maggio e contestato in parte dalla presidenza della Repubblica, contiene anche dei provvedimenti dedicati ad Acciaierie d’Italia, la società siderurgica che controlla lo stabilimento ex Ilva di Taranto, in crisi da anni.
Nel decreto, infatti, è stato fatto confluire un finanziamento da 150 milioni di euro che servirà a garantire la “continuità operativa” della fabbrica; inoltre, viene affermata “la possibilità di prorogare il termine ultimo di durata del programma delle amministrazioni straordinarie”.
IL NUOVO PIANO INDUSTRIALE PER L’EX ILVA
Prima della somma contenuta nel dl Agricoltura, il governo aveva già trasferito altri 150 milioni ad Acciaierie d’Italia, che dovrebbe inoltre ricevere un prestito-ponte da 300 milioni una volta ottenuta l’autorizzazione delle autorità europee. Lo sblocco del prestito è legato al contenuto del nuovo piano industriale, che punta a una produzione di sei milioni di tonnellate di acciaio entro il 2026 e – dalla seconda metà del 2027 – alla sostituzione di due altiforni con altrettanti forni elettrici ad arco.
FORNO ELETTRICO CONTRO ALTOFORNO
Il forno elettrico è considerato un’alternativa meno inquinante dell’altoforno perché può essere alimentato con energia elettrica pulita, non richiede l’uso di carbone coke e permette di produrre acciaio a partire dai rottami, eliminando dunque le emissioni connesse alla lavorazione del ferro.
Tuttavia, l’acciaio da rottami non ha la stessa qualità dell’acciaio da altoforno e dunque non può sostituirlo in tutti gli utilizzi.
LA RIDUZIONE DIRETTA DEL FERRO
Per garantire una produzione siderurgica qualitativa e al contempo rispettare i target europei sulle emissioni, i forni elettrici l’ex Ilva dovrebbero essere abbinati a impianti di riduzione diretta del ferro. La riduzione diretta è un processo che sfrutta la reazione del minerale ferroso con l’idrogeno per ottenere un materiale chiamato preridotto; il preridotto viene poi passato nel forno elettrico, dove diventa acciaio.
Il processo di riduzione diretta può essere a zero emissioni di CO2 se il calore, l’idrogeno e l’elettricità del forno vengono ricavati da fonti pulite, come le rinnovabili o il nucleare. Essendo quella siderurgica un’industria energivora – che consuma, cioè, grandi quantità di energia -, il costo di produzione dell’acciaio “verde” è strettamente legato al costo dell’energia elettrica utilizzata.
IL PROBLEMA DELL’IDROGENO PULITO
Oggi però l’idrogeno pulito, che si ricava utilizzando dei macchinari chiamati elettrolizzatori alimentati a elettricità, è molto costoso. Un’acciaieria come l’ex Ilva, inoltre, avrebbe bisogno di una fornitura di idrogeno non solamente economica ma anche costante, visto che i forni devono rimanere sempre attivi.
Le fonti rinnovabili come l’eolico e il solare potrebbero non essere la risposta migliore ai bisogni di un’acciaieria. I pannelli fotovoltaici e le turbine eoliche, infatti, producono elettricità a seconda delle condizioni meteo e del momento della giornata. Per questo motivo devono essere abbinati alle batterie, che sono in grado di accumulare energia e di rilasciarla all’occorrenza: i costi del sistema, però, salirebbero.
IL NUCLEARE È LA SOLUZIONE?
Le centrali nucleari, che hanno un output energetico pulito e anche stabile, sembrano essere più adatte all’integrazione con i processi siderurgici. ArcelorMittal, la società che controllava Acciaierie d’Italia prima dell’amministrazione straordinaria, ha investito 1,8 miliardi di euro per riconvertire il sito di Dunkerque, in Francia, installando due forni elettrici e un impianto di riduzione diretta: l’energia che alimenterà il sito proverrà dalla vicina centrale nucleare di Gravelines.
L’Italia non possiede centrali nucleari, anche se il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto ha parlato di una possibile reintroduzione dell’energia atomica prodotta però non da grandi impianti ma da piccoli reattori modulari.