Martedì i Paesi membri dell’Unione europea hanno approvato il regolamento sulle automobili a zero emissioni al 2035, che di fatto favorisce l’elettrico – l’industria globale si stava già muovendo in questa direzione, con poche eccezioni – pur prevedendo una deroga per gli e-fuel, dei combustibili sintetici “neutri” dal punto di vista delle emissioni e capaci di circolare nei normali motori a combustione interna.
Le tecnologie per l’elettrico si trovano a uno stadio di sviluppo più avanzato rispetto a questi carburanti liquidi, che si ottengono dalla combinazione di anidride carbonica catturata dall’aria e idrogeno verde (ricavato a sua volta dall’elettricità rinnovabile): hanno un costo parecchio elevato, perché i processi di cattura della CO2 e di elettrolisi dell’acqua non sono affatto economici.
LA GERMANIA SI PORTA AVANTI SULL’IDROGENO
In Italia non esiste attualmente una produzione di e-fuel, anche se i ministri dell’Ambiente e delle Imprese, Gilberto Pichetto e Adolfo Urso, hanno anticipato dei piani di sviluppo. La Germania, che ha chiesto e ottenuto la deroga europea, è invece più avanti: sia perché la casa automobilistica tedesca Porsche ha investito nel primo impianto commerciale al mondo per la produzione di e-fuel (si trova in Cile); e sia perché sta lavorando all’approvvigionamento di idrogeno, una delle due “precondizioni” per questi combustibili.
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A dicembre tre società energetiche tedesche – Gascade, Ontras e Terranets – hanno raggiunto un accordo per riconvertire le tubature per il gas naturale al trasporto di idrogeno dal mar Baltico al sud della Germania, entro il 2025; nel 2027 questo corridoio verrà connesso all’isola energetica di Bornholm, in Danimarca, un polo dell’eolico offshore in costruzione nel mar Baltico.
A gennaio, la Germania e la Norvegia hanno firmato una “partnership strategica sull’energia rinnovabile e l’industria verde” che riguarda l’idrogeno (in primavera verrà pubblicato lo studio di fattibilità per una tubatura), l’eolico offshore e la cattura della CO2, tra le altre cose. In Norvegia è peraltro attiva Norsk e-Fuel, che quest’anno darà inizio ai lavori di costruzione di un impianto di combustibili sintetici per l’aviazione: vuole arrivare a produrne 25 milioni di litri all’anno a partire dal 2026.
E L’ITALIA?
Sull’idrogeno l’Italia è ferma alle linee guida preliminari per la strategia nazionale pubblicate nel novembre 2020, ma – come fa notare Il Sole 24 Ore – “si attende ancora un documento strategico più avanzato”.
Uno studio di Unem e Rie (Ricerche Industriali ed Energetiche) spiega che l’Italia vorrebbe che al 2030 l’idrogeno verde arrivasse a rappresentare il 2 per cento della domanda energetica finale, attraverso 5 gigawatt di elettrolizzatori (i macchinari per l’elettrolisi) e 10 miliardi di euro di investimenti. Al 2050 si stima che l’idrogeno possa coprire fino al 20 per cento della domanda energetica finale.
TEMPI E COSTI DEGLI E-FUEL
Al netto della disponibilità di idrogeno verde, secondo Unem e Rie gli e-fuel impiegheranno probabilmente una decina d’anni, o qualcosa di più, per passare dall’attuale fase dimostrativa alla produzione su scala commerciale. Perché questi combustibili possano svilupparsi, è necessario creare una filiera dedicata, tra dispositivi di cattura della CO2, impianti di energia rinnovabile, sistemi di conversione ed elettrolizzatori.
Difficilmente, insomma, gli e-fuel saranno “pronti” sul mercato per il 2035. Al momento, il loro costo – legato a quello della generazione elettrica da fonti rinnovabili, fino a un terzo del totale – si aggira sui 2-3 euro al litro. Si stima che possa scendere sotto i 2 euro al litro nel 2030 grazie all’aumento della scala di produzione, per arrivare infine a circa 1 euro al 2050.
Gli e-fuel non inciderebbero sul prezzo finale di un veicolo con motore endotermico (a differenza della batteria per un’auto elettrica), ma sul suo costo operativo. Visti gli alti prezzi al litro, e considerato il loro utilizzo su modelli di lusso, come quelli di Porsche o Ferrari, sono stati definiti dei carburanti “per ricchi”.