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Idrogeno Germania

La Cina dominerà anche il mercato degli elettrolizzatori per l’idrogeno?

Ue e Usa stanno puntando molto sull'idrogeno verde, ma non vogliono finire dipendenti dagli elettrolizzatori cinesi. La sfida industriale-tecnologica è aperta. Tutti i dettagli.

Una decina d’anni fa, la Cina seppe sfruttare i suoi bassi costi di produzione per dominare la manifattura della componentistica per l’energia solare, spingendo fuori dal mercato le aziende occidentali: si stima che oggi Pechino sia arrivata a controllare oltre l’80 per cento della filiera fotovoltaica, dai materiali di base come il polisilicio fino ai pannelli.

L’Unione europea e gli Stati Uniti vogliono evitare che questa storia possa ripetersi con l’idrogeno, un combustibile pulito potenzialmente utile alla decarbonizzazione delle industrie e dei trasporti non elettrificabili (come acciaierie, cementifici e navi). Se la Cina dovesse infatti concentrare nelle sue mani anche la produzione dei dispositivi per l’idrogeno, Bruxelles e Washington rischierebbero di sviluppare una profonda dipendenza industriale da Pechino per un’altra tecnologia strategica per la transizione ecologica.

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GLI OBIETTIVI DELL’UNIONE EUROPEA SULL’IDROGENO VERDE

L’Unione europea vuole arrivare a produrre 10 milioni di tonnellate all’anno di idrogeno “verde”, cioè ricavato dall’elettricità rinnovabile, entro il 2030. Il processo che permette di ottenere il combustibile pulito si chiama elettrolisi e prevede l’utilizzo di un macchinario chiamato elettrolizzatore, che utilizza l’elettricità fornita da una fonte solare o eolica per estrarre l’idrogeno dall’acqua, senza emissioni. A sua volta, l’idrogeno non rilascia gas serra quando viene bruciato.

LA MANIFATTURA DI ELETTROLIZZATORI SI CONCENTRA IN CINA, MA…

La società di ricerca BloombergNEF stima che la produzione globale di elettrolizzatori dovrà crescere di novantuno volte entro il 2030 per soddisfare la domanda internazionale di idrogeno verde. Attualmente, il 40 per cento di questi macchinari viene prodotto in Cina.

Gli elettrolizzatori cinesi non sono tuttavia efficienti quanto quelli di fabbricazione europea o americana; sono però molto più economici, avendo un costo inferiore all’incirca di un quarto. Al momento, inoltre, i produttori cinesi di elettrolizzatori vendono soprattutto sul mercato interno, anche se stanno cominciando a espandersi all’estero.

GLI OBIETTIVI DEGLI STATI UNITI

L’Unione europea non è l’unica a volere un’industria domestica dell’idrogeno. Joe Biden era vicepresidente degli Stati Uniti negli anni in cui la Cina assunse il controllo della filiera solare; ora che è lui alla Casa Bianca, vuole che l’America riacquisti capacità produttiva sulle nuove tecnologie per le energie pulite. L’Inflation Reduction Act, la legge da 369 miliardi di dollari di stimolo per la manifattura statunitense, prevede infatti fondi pubblici per la produzione di idrogeno.

L’UE DEVE FARE CHIAREZZA

L’Unione europea si è data degli obiettivi sull’idrogeno pulito, ma non ha ancora dato una definizione precisa di “verde”. La mancata chiarezza sui processi di generazione è un problema per le aziende, che hanno più difficoltà a organizzarsi e a programmare gli investimenti; la domanda di macchinari da parte del settore energetico è però fondamentale per stimolare la manifattura di elettrolizzatori.

Il tempo stringe, perché gli analisti si aspettano un miglioramento dell’efficienza degli elettrolizzatori cinesi, che andrebbe a erodere il vantaggio tecnologico dei produttori europei e statunitensi.

LE TECNOLOGIE DI ELETTROLIZZATORI

Esistono diverse tecnologie di elettrolizzatori. Le aziende cinesi producono principalmente elettrolizzatori alcalini, i più diffusi, che rispetto ad altre tecnologie hanno un basso costo iniziale più basso ma anche una minore efficienza: significa che hanno bisogno di più elettricità per produrre un chilo di idrogeno.

Le aziende europee e statunitensi si concentrano invece su altre tecnologie, come gli elettrolizzatori a ossido solido e a membrana a scambio protonico (PEM), più costose ma anche più efficienti: la necessità di minori quantità di elettricità è una caratteristica importante per tutti quei produttori di idrogeno situati in paesi dove l’elettricità ha prezzi elevati (ossia in gran parte d’Europa).

LA CINA LAVORA PER RIDURRE LO SVANTAGGIO TECNOLOGICO

Anche le società cinesi, tuttavia, hanno iniziato a sviluppare elettrolizzatori PEM, oltre a migliorare l’efficienza di quelli alcalini. LONGi Green Energy Technology, già la maggiore produttrice di componentistica solare al mondo, ha istituito un’unità aziendale dedicata all’idrogeno e si è dotata di 1,5 gigawatt di capacità manifatturiera di elettrolizzatori in Cina. Sta sviluppando elettrolizzatori PEM, ma pensa che quelli alcalini saranno i più diffusi sul mercato per i prossimi cinque anni. Per il momento LONGi si sta concentrando sul mercato cinese, ma stima che nel giro di tre anni quelli esteri rappresenteranno più della metà delle sue vendite.

Una delle poche realtà cinesi specializzate in elettrolizzatori PEM è Shandong Saikesaisi Hydrogen Energy, le cui vendite internazionali già rappresentano il 10-15 per cento del totale.

LA STORIA SI RIPETERÀ DAVVERO?

Non è scontato che la Cina riesca a replicare il successo manifatturiero già raggiunto con la componentistica solare. In quel caso, il governo aveva dato sussidi generosi ai produttori di tecnologie fotovoltaiche; l’industria dell’idrogeno – almeno finora – non ha invece ricevuto lo stesso tipo di trattamento. L’anno scorso Pechino ha introdotto il proprio piano statale per lo sviluppo dell’idrogeno, senza tuttavia istituire delle politiche di sostegno finanziario al settore.

Gli Stati Uniti di Joe Biden, al contrario, l’hanno fatto, con crediti d’imposta per l’idrogeno verde (ancora molto costoso) fino a 3 dollari al chilo. La Commissione europea vuole sostenere la produzione comunitaria di idrogeno rinnovabile con una apposita “banca” da 3 miliardi di euro.

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