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E-fuel

L’Italia ha qualche speranza sugli e-fuel?

Gli stati dell'Ue hanno approvato il regolamento sulle auto a zero emissioni: festeggia la Germania, che ottiene la deroga per gli e-fuel; incassa il colpo l'Italia, che non si vede riconosciuti i biocarburanti. Il nostro paese ha la capacità per sviluppare combustibili sintetici?

 

I Paesi membri dell’Unione europea hanno approvato oggi in via definitiva il regolamento sulle automobili a zero emissioni, che vieta la vendita di nuove vetture con motore a combustione interna dal 2035 ad eccezione di quelle alimentate esclusivamente con e-fuel, dei combustibili sintetici carbon-neutral.

L’intero settore dei trasporti è responsabile di circa un quarto delle emissioni totali di gas serra dell’Unione europea, che a sua volta vale – nel complesso – meno del 9 per cento delle emissioni globali.

CHI VINCE E CHI PERDE

Dal voto esce vittoriosa la Germania, che ha chiesto e ottenuto dalla Commissione una deroga per gli e-fuel; l’Italia, invece – che si è astenuta dal voto, assieme alla Bulgaria e alla Romania -, non è riuscita a far rientrare i biocarburanti nella categoria dei combustibili “neutri” dal punto di vista delle emissioni.

Il grafico riporta il voto contrario dell’Italia ma si tratta di un errore tecnico – l’Italia si è astenuta, in realtà -, come riconosciuto dalla presidenza svedese del Consiglio dell’Unione europea.

Esce sconfitta anche la Polonia, che ha votato contro la risoluzione: l’ha definita irrealistica, sostenendo che farà aumentare i prezzi delle automobili (i veicoli elettrici sono mediamente più costosi di quelli con motore endotermico).

LA GERMANIA PUNTA SUGLI E-FUEL

Gli e-fuel sono combustibili sintetici prodotti dalla combinazione dell’anidride carbonica catturata dall’aria (anziché lasciata dispersa) con l’idrogeno verde (ricavato dall’elettricità rinnovabile).

Nonostante l’origine “da laboratorio”, sono equivalenti ai tradizionali combustibili per auto e possono dunque venire immessi nei motori a combustione interna; quando bruciati, rilasciano CO2. Sono considerati “neutri”, però, perché la CO2 che emettono al tubo di scappamento è pari a quella che viene assorbita dall’atmosfera per produrli.

Non esiste ad oggi una produzione di e-fuel su vasta scala. Ma la Germania ha mostrato un particolare interesse per questa tecnologia all’interno di una strategia più ampia per lo sviluppo di combustibili liquidi capaci di immagazzinare energia rinnovabile, in alternativa alle batterie: rispetto a queste ultime, gli e-fuel hanno una densità energetica maggiore.

PORSCHE E FERRARI ESULTANO?

Tra le principali sostenitrici degli e-fuel ci sono le aziende che producono automobili sportive ad alte prestazioni, come Porsche e Ferrari, che guardano con scetticismo all’elettrico: le batterie potrebbero infatti appesantire i loro modelli, riducendone le prestazioni. Porsche, in particolare, ha investito nel primo impianto commerciale al mondo per la produzione di e-fuel: si trova in Cile e vuole arrivare a produrre 550 milioni di litri all’anno di questi combustibili.

Altre case automobilistiche tedesche, come Volkswagen e Mercedes-Benz, puntano invece con decisione sull’elettrico, una tecnologia che si trova a un livello di sviluppo più avanzato rispetto agli e-fuel.

La produzione di e-fuel ha un costo elevato; visto poi il loro probabile utilizzo sulle auto di lusso, sono stati definiti dei carburanti “per ricchi”.

LE PAROLE DI PICHETTO

Dopo il voto sul regolamento, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto ha dichiarato che “siamo produttori di biocarburanti e abbiamo ottenuto il fatto che prima della verifica del 2026”, ossia la valutazione dell’andamento della normativa in vista del 2035, “si possa aprire una discussione per provare che i biocarburanti [sono] neutrali” dal punto di vista delle emissioni, come gli e-fuel. Ma la decisione europea potrebbe ripercuotersi negativamente sugli investimenti in biocarburanti già oggi.

Pichetto ha anticipato che nei prossimi mesi il governo italiano presenterà delle “prove scientifiche” a dimostrazione della neutralità carbonica dei biocarburanti.

“Gli e-fuel li avremo fra dieci anni, i biocarburanti li abbiamo adesso”, aveva detto lunedì il ministro.

I BIOCARBURANTI IN ITALIA

Come suggerisce il nome, i biocarburanti (o biocombustibili) hanno origine organica: si possono ottenere da colture come il mais o la soia (è la variante più problematica, perché entra in competizione con l’utilizzo alimentare), oppure dagli scarti dell’industria agricola e dai rifiuti organici (la variante avanzata e “circolare”, perché riutilizza materie prime giunte a fine vita). Allo stesso modo degli e-fuel, possono circolare nei motori endotermici e rilasciano CO2 durante la combustione; tuttavia, sono “neutri” perché nel complesso permettono un risparmio emissivo, eliminando la necessità di estrarre nuove risorse fossili.

In Italia è soprattutto Eni a produrre biocarburanti, alle bioraffinerie di Venezia e di Gela: punta a portare l’output attuale (1,1 milioni di tonnellate all’anno) a 3 milioni di tonnellate nel 2025, fino a raggiungere i 5 milioni nel 2030.

L’ITALIA PUÒ FARE QUALCOSA SUGLI E-FUEL?

Nel nostro paese non esiste una produzione di e-fuel. Intervenuto oggi a Omnibus, su LA7, il giornalista e saggista del Sole 24 Ore Paolo Bricco ha citato i ministri Pichetto e Adolfo Urso, secondo i quali l’Italia lavorerà per sviluppare questi combustibili sintetici. Bricco, però, ha spiegato che difficilmente il nostro tessuto industriale riuscirà poi a sfruttarli appieno perché “non abbiamo più un costruttore nazionale” di automobili, com’era un tempo la FIAT: “ormai [con Stellantis, ndr] è tutto francese”, ha detto, “non soltanto nell’equity ma anche nelle decisioni, nel management, nelle grandi strategie è tutto comandato dalla Francia”.

“Anche se noi possiamo pensare di mettere qualche soldo pubblico […] per arrivare anche noi verso l’e-fuel alla tedesca […] comunque non abbiamo le fabbriche” di veicoli.

In Italia, ha proseguito Bricco, “si è prosciugata la struttura delle grandi imprese”: “se si toglie Leonardo-Finmeccanica e si toglie Eni, abbiamo pochissima roba. Noi non possiamo pensare di andare avanti con le medie imprese internazionalizzate che andavano bene ai tempi della globalizzazione, o con i produttori dei fantastici Barolo e Brunello […]. È un problema di radicamento nella realtà e nel futuro”.

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