“Nel lungo periodo le energie rinnovabili possono avere dei limiti”, ha detto Mario Draghi alla COP26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Glasgow, “e quindi occorre investire in tecnologie innovative in grado di catturare il carbonio”.
A COSA SI RIFERIVA DRAGHI
Il limite principale delle fonti rinnovabili come l’eolico e il solare sta nell’intermittenza. La loro capacità di generare energia, cioè, è legata alla condizioni meteorologiche: ad esempio, una turbina eolica produrrà energia se c’è vento, e un pannello solare se c’è sole.
Questa caratteristica può minare la stabilità delle reti elettriche. L’aumento della quota delle fonti rinnovabili nel mix energetico può comportare un rischio per il sistema laddove, in un momento di forte richiesta, l’offerta non riesca a soddisfarla a causa della scarsa ventosità o dello scarso soleggiamento che limitano l’output degli impianti.
A questo problema è comunque possibile ovviare attraverso delle tecnologie di stoccaggio (le batterie), che permettono di accumulare l’energia prodotta in eccesso in alcuni momenti della giornata e di rilasciarla al momento del bisogno. La tecnologia delle batterie deve tuttavia evolvere verso una maggiore capienza e una maggiore convenienza di prezzo.
LA CATTURA DEL CARBONIO
Le rinnovabili, almeno allo stato attuale, non sono inoltre in grado di sostituire i combustibili fossili nell’alimentazione di tutta una serie di industrie (cemento, acciaio, chimica) e di mezzi di trasporto (aerei, navi, treni a lunga percorrenza). Sono settori definiti hard-to-abate, cioè difficili da alimentare con energia elettrica pulita (prodotta da fonti rinnovabili) e quindi da decarbonizzare. Ridurre il loro impatto climatico è però una priorità, se il mondo vorrà rispettare gli impegni di contenimento del riscaldamento globale, visto che emettono grosse quantità di gas serra.
Nel suo intervento alla COP26, Draghi parla di “tecnologie innovative in grado di catturare il carbonio”. Si tratta di tecnologie che – come il nome suggerisce – consentono appunto di catturare le emissioni di anidride carbonica (CO2) prodotte da stabilimenti vari ed evitarne l’immissione nell’atmosfera. Il gas catturato, poi, viene stoccato sottoterra, solitamente in giacimenti esausti di idrocarburi.
COSA FA ENI SULLA CATTURA DELLA CO2
La società energetica Eni ha all’attivo diversi progetti di cattura, stoccaggio e riutilizzo del carbonio nel mondo.
Proprio pochi mesi ha raggiunto un’intesa con l’azienda britannica Progressive Energy, specializzata nello sviluppo di tecnologie low-carbon. L’accordo di collaborazione riguarda il progetto HyNet North West per la creazione di un polo industriale a basse emissioni nel Regno Unito: Progressive Energy si occuperà delle tecnologie per la cattura della CO2 e per l’idrogeno; a Eni, invece, spetterà il trasporto e lo stoccaggio della CO2 nei giacimenti di idrocarburi esauriti nella baia di Liverpool.
Oltre a HyNet North West, Eni sta lavorando a un altro progetto sulla cattura del carbonio nel Regno Unito chiamato Net Zero Teesside, sulla costa nord-orientale del paese. Sta inoltre valutando la possibilità di un progetto simile negli Emirati Arabi Uniti, in Libia (Bahr Essalam), in Australia e a Timor Est (nell’Asia sudorientale).
Chi rema contro sul progetto di Eni e Versalis per catturare il carbonio
IL PROGETTO A RAVENNA
Eni ha un progetto sulla cattura del carbonio anche in Italia, a Ravenna, che però non ha ricevuto fondi dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
Quello di Ravenna, nelle parole di Eni, rappresenterebbe “uno dei maggiori hub al mondo” per lo stoccaggio della CO2, con l’ambizione di farlo diventare il “riferimento” per l’Italia e per l’intera regione del Mediterraneo. Prevede la riconversione dei giacimenti esauriti di gas naturale del mare Adriatico e il riutilizzo di parte delle infrastrutture già presenti nell’area. La città di Ravenna è un importante polo industriale e petrolchimico.
Il progetto di cattura, nella sua fase iniziale, permetterà una riduzione di CO2 per 4 milioni di tonnellate all’anno, per poi arrivare a 10 e infine a 500 tonnellate. L’anno previsto per l’entrata in funzione del sistema – il progetto è partito lo scorso luglio – è il 2026.