Questo finesettimana alla COP28 un gruppo di ventidue paesi – capeggiato dagli Stati Uniti e comprendente anche Francia, Svezia, Regno Unito, Paesi Bassi, Polonia, Giappone e Corea del sud – ha firmato una dichiarazione di sostegno al nucleare: l’obiettivo è favorire gli investimenti nell’energia atomica e permettere la triplicazione della capacità globale entro il 2050, in modo da raggiungere gli obiettivi per la riduzione delle emissioni.
Anche l’Agenzia internazionale dell’energia pensa che il nucleare – che produce elettricità in maniera continuativa e senza emettere CO2 – sia necessario per la transizione ecologica e per il rispetto dei target climatici. In diversi paesi, tuttavia, la costruzione delle centrali è complicata per via dello scetticismo popolare legato alle scorie e alla sicurezza, o anche per via dei ritardi e dei costi maggiorati di alcuni progetti (l’ultimo esempio è quello del reattore Unit 3 nel sito di Vogtle, negli Stati Uniti).
PERCHÉ L’ITALIA NON HA FIRMATO LA DICHIARAZIONE PRO-NUCLEARE
L’Italia non rientra tra i paesi firmatari della Declaration to Triple Nuclear Energy probabilmente perché l’energia nucleare è un tema molto controverso nel dibattito pubblico e politico, che risente ancora dei risultati dei referendum del 1987 e del 2011.
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COSA PENSA IL GOVERNO MELONI DELL’ENERGIA NUCLEARE
Il governo di Giorgia Meloni non è contrario ideologicamente a questa fonte, però si concentra sulle tecnologie emergenti anziché su quelle disponibili: il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin (nella foto) è favorevole ai piccoli reattori modulari e alle tecnologie di quarta generazione, ma non menziona la terza generazione evoluta, già utilizzata in Europa e nel mondo.
Quando parla di nucleare in Italia, infatti, Pichetto ha specificato di non avere intenzione di “proporre il ricorso in Italia alle centrali nucleari di grande taglia della terza generazione, ma di valutare le nuove tecnologie sicure quali gli small modular reactor (SMR) e i reattori nucleari di quarta generazione”.
LE PAROLE DI CINGOLANI
Il predecessore di Pichetto, Roberto Cingolani (attualmente amministratore delegato di Leonardo e consigliere energetico del governo), è un sostenitore dell’importanza del nucleare nella transizione ecologica. Intervistato dal Corriere della Sera, ha espresso soddisfazione per la dichiarazione alla COP28 e ha definito l’energia atomica “una scelta molto sana per il futuro dell’umanità. Naturalmente si deve investire su tecnologie di ultima generazione della fissione, non certo quelle vecchie che sono più complesse e più costose”.
Alla domanda del giornalista, che gli chiede se l’Italia sia pronta al “ritorno al nucleare fissile di ultima generazione”, Cingolani risponde in maniera vaga: “l’urgenza è massima [si riferisce alla sfida energetico-climatica, ndr] e noi, che siamo un paese tra i più avanzati al mondo come manifattura e sistema industriale, dovremmo rianalizzare la situazione compiendo scelte illuminate per il futuro. Naturalmente ciò spetta alla classe politica e al parlamento. Però credo che se tutti i paesi avanzati vanno in questa direzione anche noi dovremmo trovare risposte adeguate”.
CINGOLANI LODA LA FISSIONE NUCLEARE. INTANTO, ENEA…
Non è chiaro se Cingolani stesse facendo riferimento alle tecnologie nucleari di terza o di quarta generazione, ma stava senza dubbio parlando di energia da fissione, la reazione utilizzata in tutte le centrali attive nel mondo. Esiste in realtà un altro processo per la produzione di energia nucleare, la fusione, che in teoria è migliore della fissione in pressoché ogni aspetto, ma nella pratica è ancora molto lontana dall’affermazione.
Quasi contemporaneamente alla dichiarazione della COP28 e alle parole di Cingolani sulla fissione, il 1 dicembre l’ENEA – l’agenzia governativa che si occupa di tecnologie per l’energia e lo sviluppo sostenibile – ha annunciato l’inaugurazione di un reattore nucleare a fusione in Giappone.
Il reattore, chiamato JT-60SA, è un impianto sperimentale che utilizza un macchinario chiamato tokamak e che fa parte di un progetto di collaborazione scientifica tra Unione europea e Giappone, il Broader Approach: per l’Italia ha partecipato l’ENEA, il Consiglio nazionale delle ricerche e il Consorzio RFX (che si occupa di favorire la cooperazione tra accademia e industria sulla fusione).
La costruzione del reattore JT-60SA ha richiesto tredici anni e una spesa di 560 milioni di euro, divisi tra Unione europea e Giappone. L’Italia ha stanziato circa 70 milioni.
“ACCELERARE SULLA FUSIONE NUCLEARE”, DICE URSO
Intervistato oggi dal Messaggero, il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha dichiarato che l’obiettivo italiano “deve essere accelerare sulla fusione nucleare per centrare l’obiettivo nel 2050. La terza generazione avanzata, con i piccoli reattori modulari, dovrebbe essere pronta nel 2030, mentre la quarta forse nel 2040. È indispensabile una programmazione ultradecennale che vada oltre anche i cambi di governo”.
In sostanza, l’esecutivo Meloni è contrario alle tecnologie nucleari disponibili e sicure, e favorevole solo a quelle in fase di sviluppo; ma questo sviluppo sta avvenendo in altri paesi. Ad esempio, Urso ha definito “cruciale” la ricerca avviata da Eni sulla fusione nucleare: la società petrolifera è infatti azionista di riferimento di un’azienda americana, Commonwealth Fusion Systems. Nel 2025 Commonwealth dovrebbe avviare un impianto pilota di fusione a confinamento magnetico; successivamente, negli anni 2030, promette di mettere in servizio la prima centrale elettrica da fusione al mondo, ovvero un sito commerciale capace di fornire elettricità alla rete. Tutto questo negli Stati Uniti, però: non in Italia.
NEL FRATTEMPO, REPUBBLICA FA (ANCORA) LA VOCE DEL PADRONE
Domenica 3 dicembre la Repubblica ha dedicato alcune pagine di approfondimento all’energia nucleare, partendo dalla dichiarazione della COP28: ha ospitato un articolo del giornalista scientifico Luca Fraioli, scettico circa le potenzialità del nucleare di contribuire alla transizione ecologica; la pagina seguente del quotidiano è stata invece occupata da un’intervista a Stefano Buono, fondatore della startup di tecnologie nucleari Newcleo.
Newcleo sta lavorando allo sviluppo di piccoli reattori modulari di quarta generazione; è sostenuta da Exor, la holding guidata da John Elkann che possiede anche Gedi, il gruppo editoriale che pubblica Repubblica. Solo la relazione tra Newcleo ed Exor viene esplicitata nell’articolo; quella tra Exor e Gedi, no.
Non è la prima volta che Repubblica utilizza degli approfondimenti sul nucleare per dare spazio a Newcleo, come segnalato da Startmag. Stavolta l’occasione è stata data, oltre che dalla dichiarazione dei ventidue paesi, dalla proiezione a Torino del documentario pro-nucleare Nuclear Now di Oliver Stone, alla quale era presente Buono.
Secondo il fondatore di Newcleo, la visione del documentario sarà d’aiuto a contrastare lo scetticismo di una parte della popolazione italiana verso il nucleare. Anche lui, però, sembra tracciare una divisione tra le attuali tecnologie nucleari e le prossime, di quarta generazione: dicendosi contrario a un nuovo referendum sull’energia atomica, Buono spiega appunto che negli anni Ottanta “l’industria nucleare era diversa da quella attuale. Per cui oggi si possono scrivere leggi su un nuovo nucleare, di nuova generazione e su nuove necessità senza consultazioni”.
A chiusura dell’intervista, Buono ha dichiarato che la raccolta di capitali di Newcleo per lo sviluppo di reattori modulari ha raggiunto i 400 milioni, e che arriverà a 1 miliardo entro il 2024.