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Nucleare

Cosa succederebbe in caso di incidente nucleare?

L’analisi dei rischi per Ucraina e Paesi confinanti in caso di incidente nucleare elaborata dall'Associazione Italiana Professionisti Security Aziendale (AIPSA)

 

L’attacco russo alla Centrale Nucleare di Zaporizhzhia, avvenuto nella notte tra il 3 e il 4 marzo, ha modificato lo scenario introducendo il rischio del rilascio di materiale radioattivo che coinvolge non solo il territorio ucraino ma anche quello dei Paesi confinanti e probabilmente oltre.

L’Ucraina ha sul proprio territorio 5 centrali nucleari, dalle quali ricava il 55% del suo fabbisogno energetico, oltre alla centrale di Chernobyl che dismessa, contiene ancora molto materiale radioattivo.

Gli effetti della radioattività su un organismo (la c.d. dose equivalente) si misurano in Sievert (Sv). Secondo il sistema internazionale di misura, 1 Sievert è uguale a 1.000 millisievert secondo l’equazione 1Sv = 1000 mSv.

Poiché viviamo in un mondo dove le radiazioni sono naturalmente presenti, il fondo naturale a cui ogni essere umano è soggetto corrisponde all’incirca a 2,4 mSv/anno. Questo è un valore medio riferito a tutta la popolazione terrestre, il che significa che a seconda dei luoghi e delle situazioni, tale valore è suscettibile di modifiche.

A titolo di esempio, le popolazioni che vivono ad alta quota sono normalmente esposte ad una dose maggiore rispetto a chi vive al livello del mare. Inoltre, le tipologie costruttive delle abitazioni sono un altro fattore decisamente importante che può modificare il valore annuo. Una persona che vive a Roma riceve una dose maggiore di radiazioni rispetto a una persona che vive nella pianura Padana. Questo perché il “fondo naturale”, che è generalmente determinato dalla composizione del terreno, nel caso di Roma, vede la presenza di tufo e granito, elementi naturalmente più radioattivi rispetto ad altri materiali.

Alla radioattività naturale si somma quella artificiale che una persona può assorbire, per esempio, nel caso di particolari analisi mediche. Una radiografia al torace comporta l’assorbimento di una dose di circa 0,02 mSv, mentre una radiografia ordinaria all’addome o una mammografia comportano dosi comunque inferiori a 1 mSv. I pazienti oncologici sono sottoposti a dosi molto più alte ma concentrate sul tumore da distruggere.

Dal punto di vista normativo, il Decreto Legislativo 81/2008 fissa come dose massima per la popolazione non esposta (cioè chiunque di noi) una dose inferiore a 1 mSv/anno, in aggiunta – naturalmente – alla dose di radiazioni naturali che, come abbiamo visto, può variare da zona a zona.

Qualora un lavoratore, in ragione dell’attività lavorativa svolta per conto del datore di lavoro, sia suscettibile di una esposizione alle radiazioni superiore ai limiti previsti per il pubblico, viene definito “lavoratore esposto” e quindi catalogato in categoria A o in Categoria B.

Sono lavoratori esposti di categoria A, quelli che effettuano un lavoro che li esponga al pericolo delle radiazioni ionizzanti e che possono ricevere una dose superiore a 6 mSv/anno. Per tali lavoratori deve essere assicurata la sorveglianza fisica e medica della protezione da parte di un esperto qualificato e di un medico autorizzato (figura diversa dal Medico Competente), attraverso visite periodiche almeno semestrali. Il limite massimo di esposizione per i lavoratori, anche se in categoria A, non può superare il 20 mSv/anno, salvo alcune particolarissime situazioni in caso di eventi eccezionali (p.es. squadre di pronto intervento all’interno delle centrali nucleari o dei VV.F).

Sono lavoratori esposti di categoria B quelle persone che per motivi di lavoro possono ricevere una dose compresa tra 1 mSv e 6 mSv per anno. Tali lavoratori devono essere soggetti a sorveglianza fisica e devono essere sottoposti a visite periodiche almeno annuali da parte di un medico autorizzato.

Dal punto di vista medico, il grosso delle conoscenze sugli effetti delle radiazioni ionizzanti sulla salute viene da studi sui sopravvissuti alle bombe di Hiroshima e Nagasaki, in cui si è visto che la probabilità di decesso aumenta del 5% circa per ogni Sievert (NB: non di mSv) di dose ricevuta.

La dose di 1 Sievert può causare lievi alterazioni temporanee dell’emoglobina e c’è una probabilità su venti che possa essere fatale. Dosi di 2-3 Sievert danno nausea, perdita dei capelli, emorragie; 4 Sievert possono portare alla morte. Oltre i 5-6 Sievert, la sopravvivenza diviene altamente improbabile.

L’ESEMPIO DI CHERNOBYL

Il 26 aprile 1986, lo scoppio del reattore di Chernobyl, anche esso in Ucraina, ha determinato un fall-out radioattivo che ha interessato una vasta zona d’Europa.

La nube radioattiva è arrivata anche in Italia (soprattutto nel nord-est) anche se con effetti molto marginali. Si considera infatti che in realtà, la dose media individuale accumulata dalla popolazione italiana nell’arco di oltre tre decenni è stata di circa 1 mSv, con valori intorno a 1,6 mSv al Nord, di cui circa la metà nel corso del primo anno.

Secondo uno studio pubblicato dalle Autorità Sanitarie elvetiche, tali valori si attesterebbero in media intorno ai 0,5 mSv e, solo in alcuni casi in cui non sono state seguite le indicazioni a suo tempo fornite, tale valore è arrivato fino a 5 mSv. All’epoca la contaminazione ha raggiunto concentrazioni fino a 40K Bq/m2 (Becquerel) ma solo in alcune limitatissime zone.

Il Becquerel (Bq) è l’unità di misura dell’attività di una sorgente radioattiva; un Becquerel rappresenta una disintegrazione al secondo, ovvero la trasformazione del nucleo di un atomo in un altro nucleo, con il rilascio di energia sotto forma di raggi gamma (radioattivi). Il valore varia in ragione del singolo isotopo radioattivo esaminato (Cesio 137, Plutonio, Uranio, Radio…).

In circostanze normali, questo valore può raggiungere qualche migliaio di Bq/m2. I limiti delle “aree contaminate” dal disastro di Chernobyl sono stati convenzionalmente fissati ad un’attività di Cesio 137 pari a 37 kBq/m2, che corrisponde a una Curie per chilometro quadrato. Con una formula matematica, l’attività della sorgente misurata in Bq viene trasformata in dose assorbita (misurata in Sv) in relazione anche a due fattori determinanti quali il tempo di esposizione e la distanza dalla sorgente radioattiva. Pertanto, tali valori non possono essere considerati in modo assoluto.

LA CLASSIFICAZIONE DEGLI INCIDENTI NUCLEARI

Nel marzo 1992 è stata approvata dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) la scala internazionale degli eventi nucleari (INES). Lo scopo della scala INES è di rendere percepibile al pubblico in maniera corretta, la gravità degli eventi che accadono nelle situazioni nucleari, senza dover fare riferimento a dati tecnici poco comprensibili; a tal fine in maniera sostanziale analoga alla scala Mercalli per i terremoti, gli eventi sono valutati principalmente sulla base dei loro effetti piuttosto che delle loro cause.

La scala INES è divisa in due parti comprendenti in tutto sette livelli. La parte superiore riguarda gli INCIDENTI ossia tutti quegli eventi che producono danni significativi alle persone, all’ambiente o alle cose ed è a sua volta divisa in 4 livelli. Fino al quarto grado, gli effetti sulla popolazione sono valutabili in dosi pari ad alcuni mSv.

Chernobyl (Rep. Ucraina – 1986) e Fukushima Dai-ichi (Giappone – 2011) sono esempi di incidenti del settimo livello.

La parte inferiore riguarda invece i GUASTI ossia quegli eventi che producono danni di poco conto alle persone, all’ambiente, o alle cose; è divisa in tre livelli che vanno dal 3 grado, comprendente eventi per i quali le conseguenze sugli individui della popolazione sono valutabili in dosi piuttosto basse (decimi di mSv) fino al 1° grado di livello, che chiude la scala, nel quale vengono classificate, tra l’altro le deviazioni dal normale regime di funzionamento di un reattore elettronucleare, con conseguenze praticamente nulle per la popolazione e l’ambiente. Il livello 0 è catalogato come una DEVIAZIONE.

L’ipotesi che il conflitto possa estendersi fuori dai confini dell’Ucraina coinvolgendo direttamente gli Stati limitrofi (ad eccezione della Moldavia) è altamente improbabile. Le radiazioni nucleari, tuttavia, non conoscono i confini e un incidente è una eventualità da prendere in considerazione.

La distanza tra l’Italia e la centrale ucraina più vicina (Zaporizhzhia) è di circa 2.000 km in line d’aria. In caso di incidente che coinvolga una delle centrali nucleari presenti sul territorio ucraino si consiglia quindi di valutare il rientro del personale di stanza nei Paesi confinanti, almeno in tutti quei casi in cui esso sia classificato di livello 4 o superiore sulla scala INES.

Nel caso in cui venisse stabilito che l’incidente è di livello inferiore, è comunque opportuno: seguire il monitoraggio della contaminazione radioattiva effettuato dalle Autorità locali, indicare delle modalità comportamentali per minimizzare il rischio analogamente a quanto fu fatto in Italia all’epoca di Chernobyl e concordare, con il medico competente, eventuali ulteriori passi.

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