Gli Stati Uniti “vogliono avere i semiconduttori, l’industria solare, l’industria dell’idrogeno, gli elettrolizzatori”, elencava il mese scorso il ministro dell’Economia della Germania, Robert Habeck. “È come una dichiarazione di guerra”, disse, perché per assicurarsi il dominio di tutti questi settori e tecnologie gli americani – gli alleati più importanti dei tedeschi – hanno approvato un vasto programma di sussidi che favoriscono la produzione nazionale a scapito di quella straniera, trattando allo stesso modo gli avversari (la Cina) e gli amici (l’Unione europea).
L’INFLATION REDUCTION ACT E IL NUOVO PROTEZIONISMO AMERICANO
Quando, circa un anno fa, il presidente Joe Biden ha firmato l’Inflation Reduction Act e il CHIPS and Science Act, le leggi di stimolo alla manifattura tecnologie per le transizioni ecologica e digitale, gli alleati americani in Europa e in Asia non l’hanno presa bene. Dopo aver passato decenni a promuovere le virtù del libero mercato, influenzando gli organismi multilaterali come il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, l’impressione è che adesso Washington abbia adottato una politica industriale protezionistica che incoraggia le aziende straniere a trasferirsi negli Stati Uniti per accedere ai sussidi. L’Inflation Reduction Act vale 369 miliardi di dollari; il CHIPS Act 280 miliardi. L’Unione europea, il Giappone e la Corea del sud, principalmente, sono preoccupati perché temono l’esodo delle loro aziende verso l’America e dunque la perdita di capacità industriale avanzata.
Ad esempio, il mese scorso Meyer Burger – un’azienda svizzera di dispositivi solari che possiede tre fabbriche in Germania – ha fatto sapere che costruirà il suo nuovo stabilimento negli Stati Uniti anziché in Germania, a meno che Berlino non aumenterà gli incentivi. In America le condizioni d’investimento sono più vantaggiose non soltanto per l’entità dei crediti d’imposta, ma anche per i prezzi più bassi dell’energia. Già da prima che l’Inflation Reduction Act diventasse formalmente legge, i flussi degli investimenti si stavano già riorganizzando verso gli Stati Uniti: uno studio del German Economic Institute ha calcolato che nel 2022 il divario tra gli investimenti in uscita e in entrata in Germania è stato il più alto mai registrato (oltre 135 miliardi di investimenti diretti esteri in uscita contro appena 10,5 miliardi in entrata).
IL RISCHIO POLITICO DEI SUSSIDI
Dopo la rabbia e le proteste – scrive il Financial Times -, Bruxelles, Tokyo e Seul si sono però riorganizzate e hanno introdotto a loro volta dei sussidi per le tecnologie e l’energia pulita, con l’obiettivo sia di mantenere in patria le aziende strategiche, sia di attirare investimenti dall’estero.
Questa proliferazione dei sussidi verdi comporta un rischio di natura politica per gli Stati Uniti: i governi alleati, specialmente quelli europei, potrebbero essere meno propensi a partecipare all’alleanza internazionale di paesi affini (o like-minded) che l’America sta costruendo per contrastare la dominanza della Cina sulle filiere della transizione energetica. Attualmente, infatti, Pechino controlla sia l’assemblaggio di pannelli fotovoltaici, batterie e turbine eoliche, sia la produzione dei componenti intermedi, sia l’approvvigionamento delle materie prime come il litio, il cobalto o le terre rare. Né gli Stati Uniti né i loro partner del blocco occidentale vogliono ritrovarsi a dipendere da Pechino, che potrebbe sfruttare le forniture come un’arma politica, limitandole o bloccandole.
Il Financial Times ha fatto notare come durante la Guerra fredda, un altro periodo di forte competizione tra potenze, “la coesione dell’alleanza occidentale è stata regolarmente scossa dalle lamentele per il fatto che gli Stati Uniti agissero esclusivamente nel proprio interesse economico, dalla decisione di Richard Nixon di abbandonare il legame tra oro e dollaro nel 1971 ai rialzi dei tassi di interesse dei primi anni Ottanta”. L’amministrazione Biden, dunque, dovrà fare in modo che gli obiettivi di politica economica (rendere gli Stati Uniti un importante polo manifatturiero di tecnologie pulite) non interferiscano con gli obiettivi di politica estera (contenere l’influenza internazionale della Cina).
LE CONSEGUENZE DELL’IRA IN ASIA
L’impatto dell’Inflation Reduction Act non si limita all’Europa. Anche importanti aziende tecnologiche giapponesi – come Panasonic, Toyota e Honda – hanno annunciato investimenti negli Stati Uniti, stimolate dai sussidi. Il mese scorso la casa automobilistica Mazda ha fatto sapere di stare negoziando un accordo sui veicoli elettrici con Panasonic, che possiede delle fabbriche di batterie negli Stati Uniti.
L’EUROPA PUÒ ANCORA RECUPERARE TERRENO?
Per non restare ai margini della rivoluzione industriale della sostenibilità, l’Unione europea ha elaborato un proprio piano di stimolo alle tecnologie per l’energia pulita. Il piano di ripresa Next Generation EU, dal valore di 800 miliardi di euro, prevede che i paesi membri destinino almeno il 37 per cento della spesa alla transizione ecologica. In media, nel 2022 i sussidi europei ai veicoli elettrici ammontavano a 6000 euro, contro un massimo di 7500 dollari negli Stati Uniti.
La Commissione, inoltre, ha allentato le regole sugli aiuti di stato per consentire un maggiore intervento dei governi nei settori strategici. Il Temporary Crisis and Transition Framework, adottato nel marzo 2022, permette ai governi nazionali di sussidiare la produzione di pannelli solari, turbine eoliche, pompe di calore, elettrolizzatori per l’idrogeno verde e progetti di cattura del carbonio, ad esempio.
Qualche risultato Bruxelles sembra averlo ottenuto. A maggio Northvolt, una promettente startup svedese di batterie, si è impegnata a costruire la sua nuova fabbrica in Germania, anziché negli Stati Uniti, dopo che il governo tedesco ha garantito maggiori aiuti attraverso il Framework.
Altri analisti non sono così entusiasti, e pensano al contrario che la risposta europea all’Inflation Reduction Act sia inefficace. Non è solo una questione di entità dei sussidi, ma anche di facilità di accesso: i crediti statunitensi sono semplici da calcolare e richiedere, mentre il contesto normativo europeo è frammentato e complesso.
Senza contare che il rilassamento delle norme sugli aiuti di stato viene contestato internamente da quei paesi membri preoccupati che la misura favorirà i governi con maggiori capacità di spesa (ovvero la Germania), distorcendo la concorrenza sul mercato unico. In sostanza, sostengono che gli stati ricchi sussidiare generosamente le aziende e industrializzarsi, lasciando indietro gli altri.