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Petrolio Bp Chevron

Ecco perché il Congresso Usa processa ExxonMobil, Chevron, BP e Shell

Il Congresso degli Stati Uniti ha chiamato a testimoniare i dirigenti di alcune delle più grandi aziende petrolifere, accusandole di aver finanziato la disinformazione sul clima. Tutti i dettagli

 

Ieri, per la prima volta, i dirigenti di alcune delle più grandi aziende petrolifere al mondo – ExxonMobil, Chevron, BP e Shell – hanno testimoniato davanti al Congresso degli Stati Uniti sul loro presunto ruolo nella promozione della disinformazione sul contributo dei combustibili fossili al riscaldamento globale.

IL PIANO DEI DEMOCRATICI

Le audizioni si sono svolte davanti alla Commissione di sorveglianza della Camera americana e – come riassume Foreign Policy – rientrano nel piano del Partito democratico per intervenire con maggiore incisività sulla questione climatica. Tra pochi giorni, peraltro, comincerà la COP26 delle Nazioni Unite a Glasgow, nel Regno Unito; e questa settimana l’Organizzazione meteorologica mondiale ha pubblicato un nuovo rapporto che mostra che le emissioni globali di gas serra sono a livelli record.

L’ACCUSA

A testimoniare, oltre ai dirigenti delle aziende, c’era anche l’American Petroleum Institute (il gruppo di lobbying più importante del settore petrolifero) e la Camera di commercio statunitense.

Secondo l’accusa, le grandi aziende petrolifere (note collettivamente come “Big Oil“) hanno messo in atto una strategia simile a quella già impiegata dalle società del tabacco: come le Big Tobacco hanno ingannato per anni i consumatori sui rischi per la salute causati dal fumo, così le Big Oil – stando alla commissione della Camera – hanno cercato di screditare gli studi scientifici sul clima.

La Commissione di sorveglianza scrive che l’industria petrolifera ha “condotto uno sforzo coordinato per diffondere la disinformazione per ingannare il pubblico” sul contributo dei combustibili fossili al riscaldamento globale “e prevenire azioni cruciali per contrastare il cambiamento climatico”. Tutti gli amministratori delegati delle società presenti all’udienza hanno negato queste accuse.

IL LOBBYING DELLE BIG OIL

Negli anni Novanta le società petrolifere hanno effettuato grosse donazioni ai centri di ricerca e a organizzazioni varie per screditare gli scienziati climatici e bloccare le leggi che cercavano di imporre restrizioni ai livelli di emissioni. Solo ExxonMobil ha speso 30 milioni di dollari in finanziamenti a think tank su posizione negazioniste in merito al clima. Tra il 2000 e il 2016 le Big Oil hanno speso circa 2 miliardi di dollari in attività di lobbying al Congresso americano per bloccare le iniziative climatiche, più altri svariati miliardi in pubblicità ingannevoli.

Oggi, tuttavia, vista l’attenzione maggiore alla questione climatica, le compagnie petrolifere stanno cercando di espandere i propri business al di là del petrolio, di ridurre le proprie impronte di carbonio e di presentarsi al pubblico e agli investitori come delle aziende energetiche, e non focalizzate sugli idrocarburi. La società francese Total, ad esempio, ha cambiato nome in TotalEnergies proprio per enfatizzare questo punto.

LA DIFESA DELLE BIG OIL

Darren Woods, amministratore delegato di ExxonMobil, ha detto che “non è corretto” giudicare le dichiarazioni di venticinque anni fa sulla base di “cosa abbiamo imparato” da allora, ma non ha riconosciuto esplicitamente che la sua azienda abbia commesso degli errori. Nessuno dei dirigenti presenti all’udienza ha negato l’esistenza della crisi climatica, ma la loro difesa ha insistito su un altro punto: sostengono cioè che le aziende dell’oil and gas stiano venendo messe alla gogna per aver fornito agli Stati Uniti l’energia di cui hanno bisogno, trasformando il paese nel più grande produttore di greggio e gas naturale al mondo.

Kevin Brady, un congressista repubblicano dello stato del Texas (dove si concentra l’industria degli idrocarburi), ha dichiarato che le società petrolifere “hanno già dato prova” di poter produrre energia pulita, puntando sul ruolo del gas naturale come combustibile di transizione verso le fonti rinnovabili: si tratta in effetti della fonte fossile che rilascia meno emissioni rispetto al carbone e al petrolio, e che quindi può favorire la sostituzione dei combustibili più inquinanti; ma, viste le emissioni di metano, non è comunque “pulito” quanto l’eolico e il solare.

COSA FANNO GLI STATI UNITI SULLE EMISSIONI

Il presidente americano Joe Biden ha fatto dell’azione climatica una delle priorità della sua agenda politica e si è impegnato a portare gli Stati Uniti verso l’azzeramento netto delle emissioni di gas serra entro il 2050. Ma il paese – così come le altre grandi economie del mondo – sta faticando anche già a rispettare i termini dell’accordo di Parigi del 2015. Il Partito democratico, dunque, vorrebbe colpire le Big Oil per limitarne le capacità di ostacolare l’azione legislativa sul clima a Washington.

Questa settimana l’amministrazione Biden ha presentato l’ultima versione della sua legge per l’energia e il clima: prevede incentivi da oltre 500 miliardi di dollari per la promozione delle fonti energetiche pulite e il raggiungimento dell’obiettivo di dimezzamento delle emissioni nazionali entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005.

Allo stesso tempo, tuttavia, la Casa Bianca ha recentemente invitato l’OPEC (il gruppo che riunisce molti dei principali paesi esportatori di petrolio) e le società americane ad aumentare l’offerta di barili sul mercato per arrestare la crescita dei prezzi del greggio, che potrebbe danneggiare il potere d’acquisto dei consumatori statunitensi e la ripresa economica dalla crisi pandemica.

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