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Cina

Ecco come la Cina dominerà anche le batterie al sodio

Le batterie al sodio offrono diversi vantaggi rispetto a quelle agli ioni di litio, soprattutto per lo stoccaggio in rete. Una tecnologia strategica, dunque, che potrebbe venire dominata dalla Cina come già le altre. Ma Pechino ha un problema di materie prime. Tutti i dettagli.

Come il microchip è l’abilitatore della transizione digitale, cioè il componente fisico indispensabile per l’affermazione delle nuove tecnologie di comunicazione, di intelligenza artificiale e di computazione quantistica, così la batteria lo è della transizione ecologica: c’è bisogno di dispositivi di accumulo efficienti ed economici per garantire la stabilità delle reti elettriche future, che saranno dominate dalle fonti rinnovabili intermittenti. Gli impianti eolici e fotovoltaici, infatti, non sono continuativi nella generazione energetica: il loro output dipende dal meteo (dalla presenza di vento e di sole, rispettivamente), e dunque devono essere affiancati da una capacità di stoccaggio che permetta l’immagazzinamento dell’energia che producono in eccesso in alcuni momenti della giornata, in modo da restituirla alla rete nei momenti di necessità.

IL PROBLEMA DELLE BATTERIE AGLI IONI DI LITIO

Il problema principale delle batterie agli ioni di litio, la tecnologia di stoccaggio attualmente più diffusa, è il prezzo: costano tanto perché utilizzano metalli critici come il litio, appunto, e il cobalto. Hanno anche un problema politico, perché la raffinazione di questi materiali di base, nonché la produzione dei dispositivi finali, è dominata dalla Cina: il 74 per cento della manifattura globale di batterie si concentra qui, assieme al 58 per cento della capacità di lavorazione del litio e al 65 per cento di quella di cobalto.

LE BATTERIE AL SODIO

La Cina, in realtà, potrebbe finire per controllare anche una nuova e promettente tecnologia per le batterie, che potrebbe sostituire gli ioni di litio in alcuni utilizzi: le batterie al sodio. Il vantaggio delle batterie al sodio è innanzitutto la loro maggiore economicità: il sodio è un elemento molto meno costoso del litio (si vende all’1-3 per cento del suo prezzo) e molto meno raro, ma simile dal punto di vista chimico.

Lo sviluppo tecnologico ha portato a batterie al sodio dalla vita più lunga (si possono ricaricare per anni) e dalla maggiore capacità energetica. Rispetto a quelle al litio, inoltre, riescono a mantenere quasi l’interezza della loro carica quando le temperature scendono di parecchi gradi sotto lo zero.

IL RUOLO DI CATL

Gli sforzi scientifici della Cina nelle batterie al sodio sono guidati dalla Central South University della città di Changsha, dove si trovano anche i laboratori di ricerca della compagnia chimica tedesca BASF. Gli sforzi manifatturieri sono trainati invece da CATL, la maggiore società produttrice di batterie per i veicoli elettrici al mondo.

L’azienda ha detto di aver sviluppato un metodo per realizzare le celle di batterie al sodio con gli stessi macchinari utilizzati per quelle al litio, e anche un modo per utilizzare sia celle al sodio che al litio in un singolo pacco batterie per un’automobile. In questo modo, si riesce a unire il meglio dei due mondi: l’economicità e la resistenza al freddo dei dispositivi al sodio con la maggiore durata di quelle al litio. CATL sostiene di essere pronta iniziare la produzione in massa di questi pacchi batteria misti. L’industrializzazione della tecnologia avverrà a Ningde, dove si trova la sua sede centrale, ma si approvvigionerà di una parte dei materiali chimici necessari da Changsha.

UNO SMACCO PER L’AMERICA

I progressi cinesi rappresentano uno smacco per gli Stati Uniti, che vogliono superare Pechino nella manifattura dei dispositivi essenziali per la transizione energetica: è proprio in America, negli anni Settanta, che sono iniziate le ricerche per l’utilizzo del sodio nelle batterie; poi – in maniera simile a quanto accaduto con i pannelli solari – il primato innovativo è passato al Giappone. Ma è infine la Cina ad aver assunto la leadership della fase di industrializzazione di questa tecnologia.

Delle venti fabbriche di batterie al sodio in fase di realizzazione o di pianificazione nel mondo, sedici si trovano in Cina. Nel giro di due anni – dicono le previsioni della società di consulenza Benchmark Minerals – il paese concentrerà il 95 per cento della capacità produttiva di batterie al sodio.

Il New York Times ha scritto che al salone automobilistico di Shanghai, la prossima settimana, i produttori automobilistico dovrebbero fare degli annunci sull’utilizzo di batterie al sodio in alcuni veicoli dall’autonomia di guida limitata, destinati al mercato cinese.

LE BATTERIE AL SODIO PER LO STOCCAGGIO IN RETE

Ma l’ambito di applicazione forse più adatto alle batterie al sodio non è l’automobile, ma la rete elettrica. Per contenere la stessa carica energetica di quelle al litio, le batterie al sodio dovrebbero essere più grandi, ma sarebbe poi un problema per l’organizzazione degli spazi nei veicoli. Con i parchi eolici e solari è diverso: turbine e pannelli possono venire affiancati da grandi batterie al sodio, che offrono una capacità di stoccaggio energetico più economica di quelle al litio. Oltre a fare a meno del litio e del cobalto, le nuove batterie al sodio non contengono nemmeno nichel, un altro metallo critico estratto principalmente in Indonesia.

IL PROBLEMA DELL’APPROVVIGIONAMENTO

Ma la corsa della Cina alla leadership in questa nuova tecnologia, scrive il New York Times, presenta delle sfide. A cominciare dall’approvvigionamento della materia prima.

L’ingrediente principale del sodio è il carbonato di sodio. Il 90 per cento delle miniere di questo sale si trovano però negli Stati Uniti, e più nello specifico nel deserto del Wyoming sudoccidentale. L’estrazione di carbonato di sodio è un’attività tradizionale in America, legata all’industria del vetro.

La Cina, di contro, possiede soltanto riserve minime di carbonato di sodio e non è disposta a importarne grandi quantità dagli Stati Uniti, visti i rapporti di rivalità politica ed economica. A Pechino non rimane che affidarsi alla cenere di soda sintetica, che però si produce negli stabilimenti chimici alimentati a carbone: un’attività dall’impatto emissivo altissimo, dunque.

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