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Tamar

Tutti i limiti dell’accordo tra Ue, Israele ed Egitto sul gas

Il memorandum sulle esportazioni di gas da Israele ed Egitto verso l'Ue non specifica né quantità né tempistiche. Tel Aviv e Il Cairo, poi, devono potenziare estrazione e impianti, mentre Bruxelles deve risolvere la questione tassonomia. Tutti i dettagli

 

Mercoledì 15 giugno l’Unione europea ha firmato un memorandum d’intesa con Israele ed Egitto sull’aumento delle esportazioni di gas naturale verso il Vecchio continente. L’accordo prevede in sostanza che il gas israeliano venga inviato in Egitto attraverso le tubature esistenti; lì verrà liquefatto e ri-esportato in Europa. Il documento tuttavia non fornisce dettagli né sui volumi di gas, né sui tempi di completamento delle infrastrutture necessarie a sostenere la crescita dei flussi.

Il patto rientra nel piano di Bruxelles per ridurre in fretta la dipendenza energetica dalla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, che è particolarmente forte proprio sul gas: Mosca è la prima fornitrice del blocco, con una quota del 40 per cento circa sul totale importato a livello comunitario.

ISRAELE ED EGITTO HANNO UN PROBLEMA

Sia Israele che l’Egitto hanno scoperto importanti giacimenti di gas negli ultimi anni e potenziato le esportazioni, ma la loro cooperazione energetica con l’Europa è limitata da una realtà di fondo: Tel Aviv e Il Cairo ripetono da mesi – come avevamo segnalato su Startmag, anche recentemente – di non avere volumi sufficienti a soddisfare anche il fabbisogno europeo.

Nel 2021 L’Unione europea ha importato dalla Russia circa 155 miliardi di metri cubi all’anno.

Sempre nel 2021, l’Egitto ha esportato 8,9 miliardi di metri cubi di gas liquefatto (GNL), e 4,7 miliardi solo nei primi cinque mesi di quest’anno. I carichi si dirigono però soprattutto in Asia, e l’aumento della domanda energetica interna sta riducendo i volumi destinabili ai mercati esteri.

Israele conta di raddoppiare il suo output di gas nel giro di qualche anno, portandolo a 40 miliardi di metri cubi all’anno, attraverso l’apertura di nuovi giacimenti e l’espansione dei progetti già avviati. Al momento, però, la maggior parte della sua capacità produttiva è impegnata con l’Egitto e la Giordania, oltre al soddisfacimento del fabbisogno domestico: non gli rimane insomma molto gas da mandare all’Europa.

IL GAS NELLA TASSONOMIA EUROPEA

Il memorandum trilaterale firmato mercoledì affronta la questione della capacità produttiva israeliana ed egiziana: prevede infatti che Bruxelles incoraggi le aziende europee a partecipare all’esplorazione di gas in Egitto e in Israele. Se però a luglio il Parlamento europeo dovesse respingere la tassonomia della Commissione (cioè le regole che servono a dirigere i capitali finanziari verso destinazioni dall’impatto ambientale positivo), e dunque non considerare il gas una fonte “sostenibile”, gli ipotetici investimenti nei giacimenti di idrocarburi israeliani ed egiziani potrebbero farsi più complicati.

I TEMPI PER GLI IMPIANTI

Al di là della produzione di gas, poi, è necessario del tempo per potenziare la capacità di liquefazione dell’Egitto, in modo che il paese possa processare ed esportare quantità significativamente maggiori di GNL. Ci vorranno probabilmente un paio di anni per adeguare le infrastrutture.

La Commissione europea prevede di importare 7 miliardi di metri cubi di GNL dall’Egitto nel 2022, e il doppio l’anno prossimo.

OLTRE IL GAS

Il gas naturale continuerà probabilmente ad avere un ruolo centrale nel mix energetico europeo fino al 2030, andando a stabilizzare un sistema sempre più dominato da fonti rinnovabili intermittenti (l’eolico e il solare) almeno finché non si affermeranno tecnologie di stoccaggio energetico (le batterie) migliori e meno costose.

Nei vent’anni tra il 2030 e il 2050 il consumo di gas in Europa dovrebbe poi diminuire, in modo da permettere il raggiungimento dell’obiettivo di neutralità carbonica (l’azzeramento netto delle emissioni di gas serra) entro la metà del secolo.

Di conseguenza, la cooperazione energetica tra Bruxelles, Tel Aviv e Il Cairo dovrà evolvere e andare oltre il gas. C’è già l’intenzione – dovrebbe venire annunciata a novembre alla COP27, la conferenza sul clima – di istituire una partnership sull’idrogeno verde, ossia generato dall’elettricità rinnovabile, tra l’Unione europea e l’Egitto (la costa del mar Rosso ha un grande potenziale). Un altro progetto coerente con il percorso di transizione ecologica è l’interconnettore EuroAsia, un cavo sottomarino che muoverà l’elettricità generata in Israele (dal gas o dalle rinnovabili) verso Cipro e la Grecia.

– Leggi anche: Che cosa cambierà in Europa sull’energia?

NIENTE EASTMED?

Il memorandum di mercoledì ha scelto, come modalità di trasporto del gas nel Mediterraneo orientale, l’opzione forse più conveniente rispetto all’EastMed, il progetto di gasdotto per spostare il gas israeliano fino all’Europa, passando per Cipro e la Grecia.

Di EastMed se ne parla da tempo, ma l’opera è sia costosa (6 miliardi di euro, da rapportare alla capacità di trasporto) sia controversa sul piano politico (la Turchia è contraria perché la condotta la taglierebbe fuori dai flussi energetici nella regione). L’EastMed potrebbe peraltro non possedere un vero valore strategico per Bruxelles: la strategia guarda infatti al lungo termine, e da oggi al 2050 l’Unione europea ha intenzione di ridurre sempre di più i consumi di combustibili fossili. In un contesto di transizione ecologica, dunque, solo le forniture di gas meno costose riusciranno a rimanere sul mercato, e non è chiaro se l’EastMed sia in grado di garantire questa competitività di prezzo.

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