GLI EFFETTI DELLO SCIOGLIMENTO DEL PATTO
Se lo scioglimento del patto è un passaggio fisiologico nel processo di apertura al mercato voluto dall’amministratore delegato Alberto Nagel, non c’è dubbio che l’uscita dei francesi costituisca una svolta storica per Mediobanca. Entrato nel 2001 su invito di Antoine Bernheim, Bolloré divenne il cardine di quel fronte francese che, forte delle quote di Groupama e Serge Dassault, si presentò come alleato (temporaneo) dell’allora amministratore delegato Vincenzo Maranghi. Un investimento strategico prima che finanziario, insomma, tassello centrale di una campagna d’Italia che, partita da Olivetti e Hdp, sarebbe arrivata fino a Telecom Italia e Mediaset.
LA FUGURA DI BOLLORÉ
Bolloré imparò presto a muoversi nelle turbolente acque della Galassia, dando prova di spregiudicato pragmatismo, come quando nel 2003 abbandonò l’accerchiato Maranghi per sostenere il nuovo corso aperto da Unicredit e Capitalia. Con altrettanta destrezza ha saputo muoversi attraverso le sabbie mobili del crack Ligresti (costato comunque una multa Consob da 3 milioni per le manovre sui titoli Premafin) e attraverso i diversi ribaltoni in Generali.
I FINI DELLA MOSSA DI BOLLORÉ
Ufficialmente la disdetta di ieri viene giustificata con il crescente impegno finanziario del gruppo Bolloré in Vivendi. Una spiegazione convincente alla luce della partite in corso su tv e tlc: vendendo la quota in Mediobanca agli attuali valori di borsa Bolloré incasserebbe circa 555 milioni (a bilancio è iscritta a 659,2 milioni), somma che potrebbe rivelarsi preziosa nella contesa sulle tlc.
LE PROSSIME AZIONI DEL FINANZIERE
Ma la cessione delle azioni non sembra essere nei programmi del finanziere, che anzi, suggerisce una fonte, potrebbe restare azionista di Mediobanca e perfino prendere in considerazione un incremento della quota. Con l’avvertenza però che gli eventuali acquisti non potranno superare il 9,9%, tetto sopra il quale servirebbe l’ok della Bce.
COME SI COMPORTERANNO GLI ALTRI PATTISTI
Nel frattempo i pattisti rimasti dovranno decidere se dare o meno l’addio al sindacato. Sulla scelta inciderà la strategia di Unicredit, che per il momento non scopre carte. Le opzioni sul tavolo sono tre: fare una riedizione del patto attuale (comprensivo di diritto di prelazione) con una soglia abbassata al 15%, varare un sindacato di pura consultazione fino al 2020 oppure rinunciare a qualsiasi accordo e trasformare Mediobanca in una public company a tutti gli effetti.
LE DUE OPZIONI PER MEDIOBANCA E UNICREDIT
Va da sé che le prime due opzioni avrebbero l’obiettivo di limitare la contenibilità della merchant, coinvolgendo ancora una volta Unicredit nel gruppo di comando. Difficile però dire quale sarà la scelta dell’amministratore delegato Jean-Pierre Mustier. In passato il banchiere si è sempre mostrato refrattario ai meccanismi del capitalismo di relazione, a partire dai patti di sindacato. In aggiunta, l’uscita di Bolloré dal patto renderebbe ancor più evidente il conflitto di interesse tra Unicredit e Mediobanca sul fronte del corporate & investment banking. Di questi aspetti i pattisti discuteranno nelle consultazioni che si prolungheranno fino a novembre sotto la supervisione del presidente Angelo Casò.
LA TRASFORMAZIONE DI MEDIOBANCA
L’alternativa sarà la trasformazione di Mediobanca in una public company già nel gennaio 2019. La prospettiva non spaventa il mercato, anzi ne incontra l’indiscusso favore. Lo stesso Nagel vede da tempo in una public company il punto di arrivo della merchant e il dialogo avuto in questi anni con gli investitori istituzionali è un perno di questa strategia. «La presenza di fondi internazionali nel capitale è particolarmente gradita e cospicua», dichiarava il banchiere a margine dell’ultima assemblea, lasciando intendere che nel futuro gli stakeholder di riferimento potrebbero essere BlackRock, Vanguard o Invesco. Non a caso il nuovo statuto di Mediobanca prevede il passaggio al sistema monistico, che, come insegna l’esperienza di numerose banche internazionali, meglio si adatta a una proprietà diffusa sul mercato.
CHE COSA SUCCEDERÀ ALLE ASSICURAZIONI GENERALI
Al di là degli entusiasmi del mercato, è chiaro però che essere contendibili significherà anche esporsi ad appetiti internazionali e mettere a rischio l’autonomia delle Generali. Pericoli che management e soci della merchant non possono permettersi di ignorare.
Di certo una Mediobanca contendibile piacerebbe molto al mercato. Meno scontate sono le ricadute di un simile scenario sulla principale partecipata di Piazzetta Cuccia, cioè le Generali di Trieste. Finora la merchant è stata il vigile guardiano degli assetti di controllo della compagnia. tenuta così al riparo dagli appetiti dei competitor internazionali. Ma con la decadenza del patto di sindacato e la possibile trasformazione di Mediobanca in una public company gli equilibri attorno a Generali potrebbero cambiare. Anche perché, in aggiunta, entro il 2019 Piazzetta Cuccia dovrà scendere nel capitale del gruppo assicurativo dall’attuale 13 al 10%. Il primo banco di prova di questi nuovi equilibri potrebbe essere l’assemblea Generali del prossimo mese di aprile quando i soci dovranno eleggere il nuovo presidente. (CONTINUA QUI L’ARTICOLO)
(articolo pubblicato su Mf/Milano Finanza)
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