Non se la passano bene le Telco.
Le società del comparto tlc sono da tempo oggetto di una crisi strutturale causata dalla necessità di ingenti investimenti da una parte, e dalla costante contrazione dei ricavi e riduzione dei margini dall’altra.
L’Italia in 11 anni ha perso un terzo del suo valore iniziale sul totale mercato delle telecomunicazioni. Solo la Spagna ha avuto un crollo paragonabile a quello registrato in Italia (-26%), ma inferiore in valore assoluto. La Francia ha perso il 15% in 11 anni, mentre la Germania “solo” il 7%. Il nostro paese infatti è quello, tra i grandi paesi europei, dove si è registrata la maggiore contrazione di ricavi, a causa principalmente di una forte competitività del mercato. È la fotografia di Asstel, l’associazione di categoria che rappresenta la filiera delle telecomunicazioni nel sistema di Confindustria.
Nella sua indagine annuale, Asstel segnala che, in maniera opposta alla dinamica dei ricavi, si assiste nel 2021 a un aumento dei costi operativi per gli Operatori TLC italiani (+3%) per un valore di circa 600 milioni di euro. La combinazione di questi fattori porta ad una ulteriore riduzione dell’Ebitda delle telco. Nonostante ciò, gli investimenti degli operatori di settore sono rimasti costanti, 7 miliardi all’anno (7,2 miliardi nel 2021).
Al momento il focus resta su Tim e la cessione della sua rete, pilastro della strategia delineata dall’amministratore delegato Pietro Labriola per rinnovare il gruppo e tagliare anche il suo cumulo di debiti. L’ex monopolista sta proseguendo dunque nella direzione della separazione della rete dai servizi, sulla quale già si è avviata WindTre.
Oltre a tentare la via dello scorporo di industria e servizi, altri operatori provano riorganizzazioni ed esuberi di personale (come nel caso di Vodafone).
Ecco fatti, numeri e approfondimenti.
GIÙ I RICAVI PER LE TLC ITALIANE
In Italia il comparto telco ha perso 14 miliardi tra il 2010 e il 2021 (-3,7% medio annuo), con la rete mobile in maggior affanno (-5,0%) rispetto alla fissa (-2,5%), nonostante l’aumento di traffico ma anche dei costi operativi. rapporto annuale di Mediobanca sul settore tlc. È quanto emerge dall’ultima indagine annuale di Mediobanca sui maggiori Gruppi mondiali e italiani nel settore delle telecomunicazioni.
Nel nostro Paese le pressioni competitive (anche da parte degli OTT) hanno causato la più marcata contrazione delle tariffe telefoniche (-20,5%) rispetto al -4,9% medio europeo nel quinquennio 2017-2021. Nel primo semestre 2022 i ricavi domestici dei principali operatori italiani hanno proseguito il trend calante, scendendo del 4,6% (-3,1% il comparto mobile e -5,8% il fisso). Una situazione che nel 2023 rischia di peggiorare per crisi energetica e spinte inflazionistiche.
La contrazione del fatturato rimane concentrata nei primi tre operatori: Tim (-7,5% la “domestic unit”), Wind Tre (-6,1%) e Vodafone (-2,5%), con una diminuzione cumulata di 258 milioni di euro. Continua invece la crescita di Iliad (+15,4% sul primo semestre 2021), in rialzo anche PosteMobile (+3,3%) e Fastweb (+1,5%).
MENTRE SALGONO I COSTI E INVESTIMENTI
Per il mercato italiano, il calo del giro d’affari e il rialzo dei costi hanno portato a un ebit margin del 3,3% nel 2021 (dal 13,5% nel 2017), rispetto al 15,9% delle big mondiali (14,2% nel 2017), rileva ancora Mediobanca.
L’incremento dei costi, precisa Asstel, è dovuto all’aumento dei costi per l’acquisto di materie prime, legati ai maggiori volumi di acquisto di beni e apparati, dei costi per servizi (es. costi di marketing e per l’energia), dei costi di manutenzione di beni e/o proprietà e all’incremento degli accantonamenti.
Allo stesso tempo nel 2021 gli investimenti degli operatori (escluse le licenze), relativi in particolare alla realizzazione dell’infrastruttura broadband con reti VHCN e 5G, restano molto elevati, con un valore assoluto pari a 7,2 miliardi. Sono questi, tra l’altro, gli investimenti che creano ricavo e sostengono l’occupazione per gli altri attori della filiera. Gli investimenti infrastrutturali del 2021 mantengono così un’incidenza sui ricavi pari al 26% A questi investimenti si aggiungono gli investimenti per l’acquisto e il rinnovo delle licenze che valgono circa 600 milioni di euro.
LA BATTAGLIA PER IL FAIR SHARE CON GLI OTT
Ed è proprio sugli investimenti, nello specifico sul costo di realizzazione delle reti, che si sta giocando una partita sul fair share. Da anni le big telco hanno fatto pressioni affinché le principali società tecnologiche aiutassero a pagare il conto per il lancio del 5G e della banda larga, affermando che creano una parte enorme del traffico Internet della regione. Di recente gli operatori europei tlc hanno chiesto all’Ue un “accordo equo” per costringere le piattaforme statunitensi a partecipare ai costi di realizzazione delle reti.
“Tutto passa per Internet e va direttamente ai consumatori finali, senza alcuna valorizzazione delle tradizionali infrastrutture di rete” ha sottolineato il presidente di Tim, Salvatore Rossi, in occasione del convegno “Ott e consumatori: rischi e benefici” organizzato dal Consumers’ Forum il 6 luglio aggiungendo che si tratta di “Formidabili opportunità per i consumatori, ma anche grandi pericoli, soprattutto per la loro privacy. Per gli operatori di telecomunicazione di tutto il mondo è una somma ingiustizia, perché internet passa per le loro reti, che richiedono costosissimi investimenti di manutenzione e sviluppo, a cui gli Ott non contribuiscono. È un problema regolatorio, di disequilibrio sul mercato, a cui in Europa si sta solo ora mettendo mano”.
Stessa tesi sostenuta anche da WindTre. “Le big tech dovrebbero cominciare a pagare per i servizi che gli operatori rendono disponibili al costo di ingenti investimenti” ha sottolineato Gianluca Corti, ad di WindTre, in occasione di Telco per l’Italia lo scorso mese.
TIM PRIMA PER FATTURATO MA REDDITIVITÀ DIMEZZATA
Tornando ai numeri di Mediobanca, Tim resta sul podio per fatturato nel 2021 con 12,5 miliardi di euro (anche se in flessione del 3,1% rispetto al 2020) davanti a Vodafone (5 miliardi; -2,5%), Wind Tre (4,5 miliardi; -7,9%) e Fastweb (2,4 miliardi; +3,7%), con Iliad in 5° posizione (0,8 miliardi; +18,9%).
In uno scenario di generale ridimensionamento dei margini, Wind Tre è l’operatore con l’ebit margin più elevato nel 2021 (10,7%), seguito da Fastweb (8,9%) e Tim (6,5%), la cui redditività si è quasi dimezzata rispetto al 2020 per effetto dell’incremento dei costi operativi conseguente l’avvio di nuovi business (calcio, cloud, ICT e digital companies).
VENDITA RETE TIM SERVE ANCHE PER RIDURRE DEBITO DICE L’AD LABRIOLA
Ma oltre alla questione redditività, per Tim c’è anche il nodo debito.
A maggio la società guidata da Pietro Labriola ha comunicato i risultati al 31 marzo: registrati ricavi in aumento del 4,3% nel primo trimestre, Ebitda organico a 1,5 miliardi ma perdite per 689 milioni di euro. Inoltre sull’operatore telefonico pesa anche l’incremento del debito: 25,8 miliardi di indebitamento finanziario netto, salito di 500 milioni di euro rispetto al 31 dicembre 2022.
E ora il gruppo sta perseguendo la via di separazione della rete dai servizi. Da sempre Labriola ha sostenuto che la vendita della Rete resta l’opzione principale per ridurre strutturalmente la situazione debitoria della società. Salvo sorprese, l’operazione vedrà la cessione dell’infrastruttura Netco per cui ad oggi sono in corso trattative in esclusiva col fondo di private equity Kkr, autorizzate dal cda del 22 giugno.
WIND HA VENDUTO LA RETE PER FARE CASSA E SOSTENERE IL BILANCIO
MAXI LICENZIAMENTI IN VODAFONE, ANCHE IN ITALIA
Infine, oltre alle cessioni degli asset, c’è chi percorre il sentiero dei tagli al personale per ridurre i costi.
Solo per il momento è stop a mille licenziamenti per Vodafone Italia. Il mese scorso i vertici di Vodafone Italia con Slc, Fistel e Uilcom e le Rsu hanno raggiunto un accordo per la gestione condivisa di 1003 potenziali esuberi attraverso strumenti volontari e solidarietà. Lo scorso aprile il gruppo telefonico inglese aveva avviato infatti nel nostro paese la procedura di licenziamento collettivo per riduzione del personale per totale di 1003 unità, pari al 20% della forza lavoro di Vodafone in Italia, nell’ambito di un più ampio piano di riassetto globale, su una platea complessiva di 5598 lavoratori.