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Tim: Vivendi manderà all’aria pure i piani di Labriola con Kkr sulla rete? E Sparkle sarà a controllo americano?

Effetti, tempi, incognite e scenari dopo la decisione del cda di Tim di avviare negoziati in esclusiva con il fondo americano Kkr sul dossier NetCo (rete e Sparkle)

 

Tutti appesi ai cangianti e rancorosi umori di Vivendi in Tim. I francesi metteranno ancora i bastoni alle ruote del gruppo anche al piano del capo azienda Pietro Labriola con gli americani di Kkr sulla rete? Oppure sarà il governo a borbottare per il destino Usa della rete dopo tanto sbandierare di italianità per far coinvolgere direttamente il Mef o Cdp nella partita della rete NetCo? E la strategica Sparkle – controllata di Tim – sarà a controllo americano? Tutto normale?

Sono alcune delle domande che sorgono dopo la decisione del cda di Tim per l’avvio dei negoziati in esclusiva con Kkr, assunta all’unanimità (ma al momento nel board non ci sono membri designati dal socio francese), seguendo quindi la linea del piano strategico definito dal ceo Pietro Labriola, incentrato sulla vendita della rete.

Ecco dettagli e approfondimenti.

CHE COSA HA DECISO IL CDA DI TIM SU RETE E KKR

Ha messo nero su bianco Tim ieri in un comunicato stampa: «Ad esito di un ampio e approfondito dibattito, condotto con l’assistenza di primari advisor finanziari (Goldman Sachs, Mediobanca – Banca di Credito Finanziario e Vitale & Co) e alla luce dell’istruttoria svolta dal Comitato Parti Correlate (a sua volta assistito da LionTree e Equita in qualità di advisor indipendenti)» e che si avvalso della consulenza legate di Umberto Tombari, il cda Tim ha optato per proseguire le interlocuzioni con Kkr ritenendo la proposta «preferibile in termini di eseguibilità e relativa tempistica», oltre che «superiore rispetto all’offerta concorrente» in termini economici.

LA MOSSA E IL PESO DI KKR SULLA RETE DI TIM

Il fondo Usa ha offerto 23 miliardi – contro i 19,3 della cordata avversaria  composta da Cdp e Maquarie – e avrà tempo fino al 30 settembre per negoziare i termini d’acquisto dell’infrastruttura di Tim, di cui già possiede un pezzo attraverso la partecipazione del 37,5% di FiberCop, la società che controlla l’ultimo miglio della rete compresa nel perimetro della cessione. Da ricordare che il fondo americano nel gruppo Tim ha già investito 1,8 miliardi di euro comprando una quota del 37,5% di Fibercop, la società della rete secondaria di Telecom.

I CONTINUI SBUFFI DI VIVENDI IN TIM

Il gruppo Vivendi (maggior azionista di Tim con il 23,75%) è contrario alla cessione dell’infrastruttura al fondo Usa e ieri il Financial Times ha riferito che il primo socio di Tim sarebbe pronto a dare battaglia per fermare l’operazione. «Come tutti gli azionisti – ha detto al Financial Times Yannick Bollorè, figlio di Vincent e presidente del consiglio di sorveglianza di Vivendi – vogliamo essere sicuri che il cda valuti come massimizzare il ritorno di tutti gli stakeholder». Secondo l’Ft, Vivendi resta convinta che separare e cedere la rete alle valutazioni proposte da Kkr non risolva i problemi del gruppo, tra cui i 25,5 miliardi di debiti, nonché un inefficiente gestione dell’azienda e della governance.

LA NOTA DI TIM SU KKR

Ora Tim ha tre mesi di tempo per condurre «una negoziazione migliorativa con Kkr – ha spiegato la società in una nota -, finalizzata a ottenere la presentazione di un’offerta conclusiva e vincolante secondo i migliori termini e condizioni, nonché di convenire il perimetro, le modalità e i tempi per l’esecuzione dell’attività di due diligence confirmatoria».

COSA SUCCEDERÀ ORA?

La trattativa servirà a definire l’esatto perimetro del ramo d’azienda che conterrà gli asset da cedere (NetCo), compresi il numero di dipendenti, l’ammontare del debito che verrà trasferito, i contratti di servizio e i dettagli tecnici della cessione, ha sottolineato il Corriere della sera: “Non è escluso che per accelerare il percorso Kkr presenti un’offerta vincolante subordinata al verificarsi delle condizioni che saranno negoziate nei prossimi tre mesi con Tim. Per completare l’intero percorso di vendita servirà comunque più di un anno”.

DIETRO LE QUINTE CDP?

Kkr ha dato la disponibilità ad aprire l’offerta ad altri partecipanti e Cdp – secondo il Corriere della sera – punterebbe a rientrare con una partecipazione inferiore al 5% e senza governance, in modo da non dover passare per le maglie Antitrust. Una quota ridotta ma significativa, se si guarda in prospettiva al progetto della rete unica.

ARRIVA F2I?

Ha scritto Repubblica: “Diverse fonti sostengono che, un termine più lungo, sia utile anche ai soci italiani come F2i (pronta a rilevare il 15% al fianco di Kkr) e Cdp (pronta a prendere un 3-4% e a valutare nuove opzioni per rientrare in partita) per studiare a fondo il dossier; e al governo per capire meglio i contorni dell’operazione, che comunque resta soggetta al via libera del golden power”.

E TELECOM ITALIA SPARKLE?

Il quotidiano Gedi diretto da Maurizio Molinari, pur essendo filo Nato e ultra americano, si pone un dubbio non banale su una controllata strategica di Tim, ossia Telecom Italia Sparkle: “Sparkle, ovvero la società dei cavi sottomarini che collega l’Italia a Israele e ad altre aree strategiche, difficilmente potrebbe passare sotto il controllo del fondo Usa. Così come la rete avrà bisogno di una governance blindata che garantisca gli interessi nazionali”.

CHI SARÀ IL SOCIO PUBBLICO?

Lo scenario più gettonato fra addetti ai lavori e analisti resta sempre quello di una cordata fra soggetti privati (come il fondo americano) e soggetti pubblici, come da auspici palesi e informali del governo Meloni. “Il soggetto garante di questa “istituzionalità” andrà portato a bordo e inserito in un futuro libro soci di Netco in cui potrebbe esserci la stessa Tim, scrive il Sole 24 ore: “Potrebbe essere F2i a rispondere a questa esigenza? L’interesse del fondo a entrare in partita c’è. Ma per il ruolo di soggetto rappresentativo del pubblico nelle sale operative si guarda con più attenzione alla possibilità che in campo scendano il Mef direttamente o, più probabilmente, Cdp. La quale a sua volta si trova ora a dover fare i conti con il legame con Macquarie, suggellato dalla compresenza in Open Fiber, che il fondo australiano ha fatto capire di essere disponibile a sciogliere, ma solo a fronte di un piano alternativo con spezzatino di Of tale da dare a Macquarie le aree nere lasciando a Cdp tutto il resto. Le condizioni perché tutto possa andare in porto non mancano ed è chiaro che in questa fase di negoziazione le porte a Cdp sono aperte. Lato Macquarie invece la questione sembra chiusa e il focus ora si rifocalizzerà esclusivamente su Open Fiber”.

CHE COSA DICE E FA IL GOVERNO?

Resta da capire se, come e quando il governo Meloni si farà davvero vivo. Finora i ministri che hanno aperto bocca sul dossier rete e Tim hanno sostenuto che è una partita fra soggetti privati. Ben strano concetto visto che la Cassa depositi e prestiti (controllata dal ministero dell’Economia) è azionista con il 9,81% (è il secondo singolo maggior azionista dopo Vivendi) e ha il 60% di Open Fiber. E altrettanto ben strano vista la strategicità (riconosciuta da tutte le forze politiche, anche dell’opposizione) sia della rete che dei cavi sottomarini (Sparkle). Le chiacchiere, forse, stanno a zero.

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