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Mediaset

Tim verso Elliott, ecco perché Mediaset e Berlusconi gongolano

Il commento di Gianfranco Polillo sulla contesa in atto in Tim con lo scalpitante fondo Elliott che vuole scalzare Vivendi e sulla decisione della Cdp di intervenire nell’ex Telecom Italia   Quando Vincent Bolloré entrò in Telecom, nel 2015, il titolo valeva più o meno 1 euro per azione. L’ingresso nella compagnia telefonica italiana –…

 

Quando Vincent Bolloré entrò in Telecom, nel 2015, il titolo valeva più o meno 1 euro per azione. L’ingresso nella compagnia telefonica italiana – un passato a dir poco burrascoso – avvenne a seguito della vendita di Gvt (telefonia fissa e fibra ottica), controllata dallo stesso Bolloré, alla compagnia brasiliana Telefonica. Gli valse 7,6 miliardi, a fronte del quale ottenne l’8 per cento del capitale di Telecom. Nessun esborso finanziario specifico, ma semplice scambio di “carta contro carta”. Quindi una lenta scalata, nell’anno successivo, fino a raggiungere quota 24,9 per cento del capitale sociale. Grazie ai relativi acquisti sul mercato, il titolo toccava (luglio 2015) uno dei suoi massimi storici: 1.25 per azioni. Poi un lento ma inevitabile declino. Al punto da perdere, a distanza di appena un anno, circa il 50 per cento del proprio valore.

Basterebbero questi semplici dati per dimostrare la validità dell’invito di Glass Lewis, la società americana di consulenza ai gestori internazionali, che fornisce indicazione nei grandi risico societari, a favore dei nuovi rider. Lo scontro è tra il fondo di investimento Elliott, che ha già acquistato l’8 per cento del capitale di Telecom, ed il vecchio gruppo di comando, rappresentato da Vivendi, la cassaforte di Bolloré. La critica è fin troppo esplicita: “Un board ben funzionante, informato e indipendente dovrebbe ottenere più rispetto dagli azionisti sulle materie strategiche. In generale siamo restii a raccomandare la revoca di amministratori in carica, o l’elezione di membri dissidenti, a meno che vi siano evidenti criticità”. Quelle appunto del tracciato di Borsa.

Ed allora pollice verso: via i vecchi amministratori – tra l’altro fin troppo lautamente retribuiti tra compensi e stock option – e nuova lista di candidati in vista dell’assemblea del 4 maggio, che dovrebbe rinnovare le cariche sociali sulla base dei nuovi rapporti di forza all’interno del capitale sociale. Rapporti ancora fluttuanti, come mostrano le oscillazioni del titolo in borsa. Accanto ai due contendenti principali – Vivendi e Elliott– sono variamente schierati altri fondi d’investimenti, battenti diverse bandiere. Con alleanze trasversali a favore dell’uno o dell’altro. In una battaglia dagli esiti ancora incerti, ma che non poteva lasciare indifferente il governo italiano.

E, infatti, Cassa depositi e prestiti è entrata nella mischia con il proposito di acquisire almeno il 5 per cento del capitale sociale della stessa Telecom. Non è ancora chiaro il ruolo che intende giocare in questa partita. Ma il controllo della rete di comunicazione, che potrebbe essere scorporata (finalmente) da Telecom è problema strategico di primaria importanza, che impedisce di stare alla finestra. Tanto più che la stessa CDP controlla, insieme ad Enel, Open Fiber: la società che ha iniziato ad operare nel campo della fibra ottica, utilizzando la tecnologia FTTH (Fiber To The Home), che è la più veloce in circolazione. Dagli esiti della battaglia in corso dipenderà, quindi, la creazione di un’unica infrastruttura nazionale in grado di far recuperare all’Italia quel gap che ancora la divide dai Paesi più avanzati.

Il mercato ha reagito positivamente all’improvviso disgelo. Negli ultimi due cicli di borsa Telecom ha guadagnato prima il 14, quindi il 12 per cento. Collocandosi tra i titoli migliori. Contro una crescita massima dell’Ftse-Mib inferiore al 5 per cento. Quindi outperformed, dopo mesi e mesi di underperformed. Superata la soglia di 0,85 euro per azione, sono in molti a scommettere su ulteriori rialzi. Specie se lo scontro tra i due contendenti dovesse assumere contorni inusitati. Che escludano, come pure potrebbe accadere, il ricorso alle carte bollate; nel qual caso tutto diverrebbe più incerto e nebuloso.

Nel frattempo Mediaset, in meno di due settimane (dal 26 marzo scorso) ha realizzato un incremento del 12 per cento circa: collocandosi al primo posto nella performance del mercato. E non certo a causa dei risultati elettorali del 4 marzo, così poco favorevoli a Silvio Berlusconi. La spiegazione va ricercata nelle difficoltà del gruppo Vivendi, principale competitor dell’ex Cavaliere nel settore dei media. Stoppato il tentativo di scalata del proprio gruppo, da parte dello stesso Bolloré, Silvio Berlusconi si è rafforzato a seguito dell’accordo realizzato con Sky per la reciproca trasmissione sui propri canali dei pacchetti di programmi rispettivamente posseduti.

Ne è derivato un forte potenziamento dell’offerta: foriera di poter attirare maggiore pubblicità. Ma soprattutto una barriera nei confronti di Havas, il sesto gruppo mondiale nel settore delle telecomunicazioni, posseduto sempre dal finanziere bretone, il cui sogno era quello di realizzare una sorta di Netflix a livello europeo. Difficile prevedere se queste mosse saranno sufficienti per bloccare quel disegno. Al grido: “No pasarán”. Com’era scritto sulle divise dei soldati francesi che difendevano la linea Maginot. Ma una cosa è certa: la politica italiana langue, mentre intorno a sé tutto si muove.

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