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Terre rare e materie prime, Urso suona la carica: dobbiamo fare come in Cina

Urso accelera sulla riapertura delle miniere italiane: su materie prime e terre rare dipendiamo troppo dalla Cina. Quanto ai vincoli ambientali, per il ministro dell'Industria occorre mettere al bando ogni "ipocrisia"

 

Probabilmente farà discutere il passaggio in cui il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso sprona a riaprire le vecchie miniere il prima possibile invitando a chiudere un occhio sui vincoli ambientali, paesaggistici e sulle norme sulla salute pubblica richiamando il ciclo del cobalto che, dopo averlo estratto in Congo, spesso “sotto la minaccia dei mitra dei mercenari”  viene “spedito in Cina” per la raffinazione e poi “ritorna in Italia”. Ma il punto è che, secondo Urso, non c’è tempo per perdersi in quelle che il titolare del dicastero che fu lo Sviluppo economico bolla come “ipocrisie”.

TERRE RARE E MATERIE PRIME, I RISCHI ITALIANI SECONDO URSO

Per Urso, infatti, siamo già in emergenza: l’Italia sta correndo “un rischio elevato di approvvigionamento delle materie prime critiche, cioè quelle non energetiche e non agricole”  per questo andrebbero “riaperte le miniere” visto che nel nostro sottosuolo si trovano ben “16 su 34 delle materie prime critiche” indicate dall’Ue. E pace se lo stesso Urso a inizio aprile diceva tutt’altro, ovvero che «sull’estrazione di terre rare l’Italia si sta muovendo in anticipo».

Anche i numeri che aveva dato qualche mese fa erano diversi: «È stato aperto un tavolo sulle materie prime critiche e dalle prime stime in Italia ci sono 15 dei 34 elementi. Ma il potenziale è ancora più alto». Ma 16, 15 o tutte e 34 poco importa: perché come Start Magazine ripete da mesi, riportando i pochi studi scientifici sull’argomento, si tratta di stime. Le miniere italiane sono state dismesse da tempo, in molti casi erano in attività in periodi pre-industriali e dunque non sappiamo nemmeno se possano soddisfare una domanda moderna ed elevata che richiede sfruttamenti intensi.

LA “NUOVA POLITICA INDUSTRIALE”

Nel corso di una audizione in Commissione Industria del Senato, Urso ha rilevato tutte o quasi le materie prime critiche “arrivano dalla Cina”, quindi serve una nuova “politica industriale” per il nostro Paese sulle materie strategiche e critiche. “Le terre rare pesanti sono raffinate esclusivamente in Cina, il 63% del cobalto mondiale è estratto in Congo e il 60% è raffinato in Cina” ha ricordato il titolare del Made in Italy per cui “i rischi cui siamo esposti sono evidenti”. Secondo Urso “noi siamo bravi a riciclare ma la sostituzione e efficienza dei materiali possono attenuare domanda, possono attenuare il problema ma non risolvere”.

LA MAPPA DEL TESORO

Ma dove scavare? A disposizione dell’esecutivo una mappa “realizzata insieme al ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin” grazie alla quale, ha annunciato Urso, “abbiamo verificato che possediamo 16 su 34 delle materie prime critiche” indicate dall’Ue, materie che  “si trovano in miniere chiuse dalla crisi di 30 anni fa per l’impatto ma anche perché non c’erano margini di guadagno”.

NOI MEGLIO DI CINA E CONGO

“Immagino – ha argomentato – che chi voglia difendere l’ambiente nel nostro Paese, voglia difendere l’ambiente anche a livello globale e coloro che si battono per gli standard lavorativi nel nostro Paese, vogliono che anche negli altri Paesi si elevino gli standard lavorativi”. “Immagino – ha proseguito il ministro – che sia più rispettoso degli standard sociali e ambientali realizzare una miniera di cobalto in Italia piuttosto che rassegnarsi a che sia prodotto soltanto in Congo, magari sotto i mitra dei mercenari, per poi essere lavorato in Cina e esportato in Italia. L’ipocrisia credo che debba essere denunciata”.

“È meglio fare una miniera di cobalto in Italia, anche per invogliare gli altri ad imporre gli stessi standard sociali e ambientali” ha dunque concluso. “E credo debbano esserci vincoli anche di politica commerciale” perché “non è possibile che chi realizza questi prodotti senza rispettare gli stessi standard ambientali e sociali che noi giustamente imponiamo ed eleviamo ogni giorno in Europa, poi esporti quei prodotti, con dumping, nel continente europeo. Su questo dobbiamo intervenire necessariamente”.

L’UE SULLE TERRE RARE INCALZA URSO

In realtà Urso sull’argomento terre rare e materie prime è incalzato da Bruxelles e dal Critical Raw Material Act, proposta di legge presentata a marzo dalla Commissione europea finalizzata a «garantire catene di approvvigionamento sicure e sostenibili per il futuro verde e digitale dell’Unione europea».

COSA DICE LA COMMISSIONE UE SULLE MATERIE PRIME

C’è insomma l’obbligo per i 27 del club comunitario di raggiungere una maggiore autonomia interna nell’approvvigionamento delle materie prime essenziali alla mobilità elettrica del futuro. Quello che l’Europa vuole fare, essenzialmente, è ridurre la propria dipendenza dalla Cina, un fornitore capriccioso ma anche ambiguo, che geopoliticamente si pone sul fronte opposto a quello del Vecchio continente e che dunque anche per questo potrebbe chiudere i rubinetti e alzare i prezzi. Sarebbe un dramma per l’Europa, che attualmente importa circa l’80% delle materie prime critiche e da Pechino acquistiamo il 93% del magnesio e l’86% dei metalli rari.

URGE METTERSI A SCAVARE…

Quanto all’improvvisa fretta di Urso è dettata anche dal diverso modo di procedere tra Ue e Cina. Sul tema alla masseria di Bruno Vespa ormai un mese fa, Urso aveva detto: “In Cina per aprire un giacimento impiegano tre mesi, la media europea è 15 anni. Secondo le vecchie mappe 15 materie prime su 32 sono presenti in giacimenti italiani, la quasi totalità in zone protette e tutelate dal punto di vista paesaggistico e ambientale. Servono delle eccezioni per estrarre e lavorare i metalli”.

…MA SAPPIAMO ALMENO DOVE?

Dai dati storici si sa che ci sono alcune vecchie miniere in Piemonte (Startmag ne ha parlato qui), che Altamin, multinazionale mineraria australiana che porta avanti pochi progetti mirati – soprattutto ricerche e rilievi –, presente in Italia da tempo, anche attraverso le controllate Strategic Minerals Italia Srl ed Energia Minerals Srl, intende sondare per capirne la portata.

Il Progetto Punta Corna ha radici in un luogo storicamente noto per le estrazioni di cobalto, nichel, rame e argento. I recenti campionamenti di Alta, ha fatto sapere tempo fa il gruppo, hanno restituito saggi di alto grado su una lunghezza di oltre 2 km da vene multiple sub-parallele, con un buon potenziale per la scoperta di ulteriori vene mineralizzate e una significativa estensione in profondità.

Qui la speranza sarebbe trovare soprattutto cobalto  – e non è detto che sia in quantità sufficiente ad avviare il giacimento -, dato che quasi tre quarti della produzione mondiale avviene nella Repubblica democratica del Congo dove Amnesty International e altre associazioni denunciano le condizioni critiche in cui, nelle miniere a conduzione locale (il più è invece in mani cinesi) sono costretti a lavorare i minatori, spesso minori, trattati a stregua di schiavi.

IL NORD OVEST RICCO DI GIACIMENTI?

In Piemonte Altamin si muove su basi storiche: il minerale veniva estratto in queste zone già nel Settecento e usato come pigmento per stoffe e opere d’arte. Difficile però dire sulla base di ciò che le vene che corrono sotto le Alpi siano sufficienti al fabbisogno della rivoluzione industriale che stiamo per abbracciare.

Altamin ha presentato domanda di autorizzazione per il Monte Bianco e il Corchia (Toscana), i due distretti minerari storici più importanti d’Italia, ricchi di rame, cobalto e manganese. Difficile però affermare che questo basti a renderci i primi in Europa, come detto dal ministro.

Sempre Altamin si sta recentemente scontrando con le popolazioni delle valli dell’estremo levante ligure Graveglia, Gromolo, Petronio e Vara, ma non perché è in cerca di litio, ma di rame, piombo, manganese, zinco, argento, oro, cobalto, nickel e minerali associati in diversi siti della zona, tanto da aver spinto la Regione Liguria a sedersi a un tavolo coi sindaci interessati, come ricordammo qui.

L’area interessata dalla ricerca è molto vasta, circa 8 mila ettari, e interseca i territori dei comuni di Sestri Levante, Né, Casarza Ligure e Castiglione Chiavarese: non si scaverà in questa fase, viene sottolineato nel progetto, ma si partirà da una valutazione “storica” delle vecchie miniere, circa una decina, già presenti nell’area, a cui si aggiungeranno campioni di rocce affioranti, acque dei torrenti e sondaggi elettromagnetici capaci di fornire una “ecografia” delle rocce in profondità. Sempre in Liguria, tra i comuni di Urbe e Sassello, nel Parco Nazionale del Beigua, si trova il giacimento di Pianpaludo, il più grande di titanio in Europa, e uno dei più grandi del mondo, che però vista l’area di interesse rischia di restare al di fuori della portata di tale meccaniche, ruspe, escavatori e cariche di tritolo.

DAL LAZIO ALLA CAMPANIA

Vulcan Energy ha ottenuto un permesso di ricerca per esplorare, nel Lazio, un pozzo scoperto da Enel nel 1974 a circa 1.390 metri di profondità. Lavorerà gomito a gomito con Altamin, in una vera e propria gara a chi tra le due arriverà per prima al giacimento, ammesso esista. Sappiamo che nella zona del lago di Bracciano, parecchio in profondità, tra i 1.500 e i 3000 metri, ci sono fluidi geotermici.

Si trovano nella zona vulcanica laziale ma anche in Campania. Furono esplorati negli anni 70-80 perché erano interessanti per la produzione di energia elettrica geotermica. Il progetto non andò in porto, ma in compenso sono “venute a galla” acque salate calde che contengono molto litio, anche 500 mg per litro di soluzione.

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