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Tutto quello che nessuno dice (incluso Calenda) su Stellantis

Oggi molti (in primis Calenda in maniera apprezzabile) stimmatizzano la fuga di Stellantis dall'Italia. Eppure quando il Copasir (all'epoca presieduto dall'attuale ministro Urso) invocò la presenza di Cdp nel gruppo auto per tutelare l'interesse nazionale nessuno fece alcunché (compreso l'ex ministro Calenda). Fatti e approfondimenti

Se il sonno della ragione genera mostri, il sonno della politica genera i paciughi industriali che tengono banco in questi giorni. Alla Camera oggi la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, risponde ai quesiti dell’opposizione ma anche della sua maggioranza e si tornerà a parlare – finalmente, aggiungiamo – di Stellantis. O meglio, della fuga del gruppo presieduto da John Elkann dall’Italia, fuga denunciata a più riprese negli ultimi tempi da Carlo Calenda, leader di Azione e ministro allo Sviluppo economico fino al giugno 2018.

LA DISCUSSIONE SUGLI AIUTI DI STATO A FCA

Eppure, un gruppo come Stellantis non trasloca dall’oggi al domani. Men che meno si crea dall’oggi al domani. C’è stato un tempo, insomma, in cui la politica avrebbe potuto intervenire per non arrivare alla situazione attuale. Ma non lo ha fatto. C’è chi dirà che Stellantis è nata negli anni della pandemia e le attenzioni di tutti erano rivolte altrove. Vero. Ma è altrettanto vero che proprio per quello la politica si interessò più da vicino alla situazione economica dei grandi gruppi industriali, elargendo sostanziosi aiuti di Stato alla luce del sole per permettere loro di tirare avanti nonostante i lockdown dato che veniva temporaneamente messa in congelatore la norma europea che li vieta.

Stellantis approfittò dell’emergenza sanitaria per chiedere un prestito di 6,3 miliardi con fondi garantiti dallo Stato avendo dovuto bloccare tutti gli impianti per via del Coronavirus. Non solo: le restrizioni avevano azzerato le vendite delle auto. All’epoca Carlo Calenda fu tra i più duri a opporsi a tale istanza, dividendosi per esempio da Matteo Renzi.

Il leader di Azione intervenendo a L’Aria che Tira su La7, aveva attaccato: “Questa cosa non va bene. I soldi alla Fiat Fca Italia si possono pure prestare, ma allora gli Agnelli non si distribuiscano il dividendo. Noi non possiamo garantire la gestione di un’azienda, né i dividendi di Elkann”.

Per la cronaca, alla fine il prestito venne accordato, anche a tempo record, il 24 giugno del 2020 (chiunque abbia chiesto un mutuo o una linea di credito avrà dovuto attendere di più). Lo suggellò il ministro dell’Economia e delle Finanze, Roberto Gualtieri, con queste parole: “È un’operazione di sistema con la quale si punta a preservare e rafforzare la filiera automotive italiana e a rilanciare gli investimenti, l’innovazione e l’occupazione in un settore strategico per il futuro economico e industriale del Paese. Il Governo verificherà l’attuazione degli impegni assunti da Fca Italy in questa direzione”.

L’ALLARME INASCOLTATO DEL COPASIR

Se si riavvolge il nastro del film, si porta alla luce il fatto che c’è stato un allarme caduto nel vuoto del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) che, più del mega prestito chiesto dall’allora Fca (che valeva, da solo, il 5% di quanto messo sul piatto dallo Stato in termini di garanzie sui prestiti), avrebbe dovuto contribuire a portare sotto al naso della politica, nella sua interezza (anche perché l’organo include rappresentanti di tutti i partiti di maggioranza e opposizione), la questione.

Occorre premettere che non era un allarme troppo tempestivo. La fusione tra Fca e Psa è stata finalizzata nel gennaio del ’21 e il documento del Copasir fu redatto 12 mesi dopo, nel febbraio del ’22. Ma dimostra comunque che la politica avesse avuto una seconda occasione per intervenire. Anche perché il Copasir chiedeva a chiare lettere di valutare l’ingresso di Cassa depositi e prestiti nel gruppo Stellantis per controbilanciare lo spostamento azionario verso la Francia del gruppo automobilistico in cui è entrata la ex Fiat evidenziando che il settore automobilistico fosse da «salvaguardare».

LA PRESENZA DELLO STATO FRANCESE IN STELLANTIS

L’ingresso dello Stato in Stellantis – su cui da tempo spinge Fratelli d’Italia – poteva essere visto come fumo negli occhi dai più liberali, certo, ma era necessario non solo per tutelare l’occupazione in un asset industriale strategico, ma anche per controbilanciare la situazione che si era creata con la fusione.

Titolava il Corriere della Sera nel gennaio del 21: “Stellantis, comanda Parigi: lo Stato francese e Peugeot sono i primi azionisti”. Parallelamente, il quotidiano Milano Finanza evidenziava – facendo un conteggio delle quote – che lo Stato francese risulta avere, oggi, una partecipazione del 6,5%, e non del 6,2% come creduto sul mercato, nella nuova società nata dalla fusione tra Psa e Fca.

Il settore dell’automotive, rimarcava il Copasir nella relazione annuale, «è stato interessato dalla vicenda della costituzione del nuovo gruppo europeo Stellantis, nato dalla fusione del gruppo francese Psa e del gruppo italiano Fiat. In esito a tale operazione, si registra uno spostamento del baricentro di controllo del neocostituito gruppo sul versante francese, con ricadute già evidenti nel settore dell’indotto connesso con le linee di produzione degli stabilimenti italiani».

E, ancora, «va osservato che la quota detenuta dall’azionista pubblico francese è cresciuta dopo l’operazione di fusione, determinando una distribuzione della proprietà diversa da quella precedentemente annunciata».

Pertanto, secondo la relazione, «al fine di preservare gli interessi nazionali nell’industria automobilistica, le cui ramificazioni risultano estremamente significative nel panorama economico nazionale, potrebbe essere valutato un interessamento di Cassa depositi e prestiti, il cui eventuale ingresso nel gruppo industriale potrebbe favorire un ribilanciamento di pesi tra la componente francese e quella italiana, così proteggendo le tecnologie e l’occupazione».

LA DISCUSSIONE PARLAMENTARE

La relazione del 2021 del Copasir arrivò per forza di cose in ritardo sull’operazione, è vero, ma il dibattito parlamentare fu un pochino più tempestivo, come racconta per esempio il resoconto stenografico del 17 febbraio del 2021, proprio nei giorni in cui Stellantis emetteva i primi vagiti in culla.

Adolfo Urso, che da lì a breve sarebbe stato nominato presidente del Copasir (nel giugno dello stesso anno, si deve perciò presumibilmente a lui il focus della relazione annuale su Stellantis) mentre oggi siede al dicastero delle Imprese e del Made in Italy, in quella data sottolineava come fosse in atto un sovvertimento degli equilibri a favore dei cugini francesi: “Nel frattempo si è realizzata quella che era stata annunciata come una fusione paritetica tra Fca, cioè la gloriosa Fiat italiana con la Chrysler, e il gruppo francese della Peugeot. Si parlava di fusione paritetica e invece scopriamo, dopo la fusione, che non è fusione, perché è una vendita alla Peugeot, e non è paritetica, perché la governance è a maggioranza francese, compreso l’amministratore delegato, indicato dai francesi, e compresi i sindacati, due presenti nel consiglio amministrazione, uno espressione dei sindacati francesi e l’altro espressione dei sindacati statunitensi. Nel frattempo, sappiamo che il management nominato dal nuovo amministratore delegato della Stellantis è a maggioranza francese. Nel frattempo, stamattina, sappiamo dai giornali che nello stabilimento di Melfi si progetta la chiusura di una linea di produzione: si comincia a chiudere gli stabilimenti italiani”.

LE DOMANDE DI URSO A GIORGETTI, SUO PREDECESSORE ALLO SVILUPPO ECONOMICO

Quindi poneva le seguenti domande a Giancarlo Giorgetti, che oggi da Via XX Settembre condivide con Urso gli scranni dell’esecutivo, mentre all’epoca era allo Sviluppo economico: “La domanda è molto specifica: cosa era stato notificato a Palazzo Chigi, una fusione o una vendita? Una governance paritetica o meno? Era stato comunicato che lo Stato francese, dopo la fusione, avrebbe aumentato le quote? Secondo: perché il Governo non mette in campo Cassa depositi e prestiti per acquistare una quota pari a quella che detiene lo Stato francese, garantendo che anche gli stabilimenti e la filiera italiani siano protetti da eventuali ristrutturazioni? Terzo: il Governo cosa intende fare con Iveco, minacciata dall’acquisizione di una holding statale cinese? Intende utilizzare o meno il golden power, come noi chiediamo?”

Il predecessore di Urso allo Sviluppo economico replicava: “Un adeguato supporto al sistema industriale rappresenta la premessa per evitare operazioni di delocalizzazione o acquisizione di imprese nazionali, che altrimenti in molti casi, come quelli citati dagli interroganti, si vanno a configurare quali operazioni di natura privatistica, che rientrano nell’ambito dell’esercizio dell’autonomia negoziale delle imprese coinvolte e che non rientrano nell’ambito delle fattispecie per le quali è possibile l’esercizio dei poteri speciali, soprattutto quando si tratta di operazioni intracomunitarie. Così è stato per le operazioni che hanno dato luogo all’attuale assetto del gruppo Stellantis”.

TUTTI GLI OK DELLO STATO ALL’OPERAZIONE

Insomma, ci sarebbero stati tutti i controlli del caso: “Dapprima si è verificata la fusione tra Fiat Chrysler Automobiles e Peugeot. Il 25 settembre 2020 il gruppo di coordinamento istituito dalla normativa sui poteri speciali ha ritenuto la citata operazione vigente non oggetto di obbligo di notifica. La successiva cessione ad Assist Digital SpA da parte di Fca Italy SpA di una quota pari al 51 per cento del capitale sociale di Fca Customer Service, società attiva principalmente della fornitura di servizi di customer care, è stata oggetto di analisi e in sede di Consiglio dei ministri si è deliberato il non esercizio dei poteri speciali, con delibera del 18 dicembre 2020, per assenza dei relativi presupposti”.

LA QUESTIONE IVECO

Quanto “al gruppo Iveco, così come per Comau S.p.A. e Teksid S.p.A., citate dagli interroganti, allo stato attuale non risultano notificate operazioni che potrebbero dar luogo all’esercizio dei poteri speciali. Se e quando le operazioni aventi ad oggetto le predette società venissero intraprese, saranno prontamente avviate le iniziative istruttorie da parte del gruppo di coordinamento per valutare la possibilità di esercizio dei poteri speciali di cui al decreto-legge n. 21 del 2012, anche alla luce del recente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 179 del 18 dicembre 2020, che individua ulteriori beni e rapporti di rilevanza strategica per l’interesse nazionale. Come sa sicuramente il senatore Urso, all’interno di Iveco operano tanti settori di attività e di produzione, alcuni anche in qualche modo connessi all’industria della difesa. Per questi motivi le posso assicurare, senatore Urso, che l’esame di ciò che si verificherà in futuro, quando naturalmente l’operazione verrà formalizzata, perché al momento ne abbiamo evidenza da ampi resoconti giornalistici, le posso assicurare che l’argomento da lei messo in evidenza avrà tutta la nostra attenzione.”

CDP IN STELLANTIS, ERA POSSIBILE?

Sulla questione dell’ingresso di Cdp in Stellantis tornava in seconda battuta sempre Urso: “Mi permetta di dissentire perché con la norma di legge, che peraltro abbiamo introdotto nel cosiddetto decreto liquidità, è prevista anche la possibilità di intervenire laddove si tratti di soggetti dell’Unione europea. Tale norma di legge è stata prorogata al 31 giugno grazie ad un nostro emendamento approvato in quest’Aula. Quindi, forse, qualcosa in più si poteva fare e tanto più si può fare oggi, dunque noi auspichiamo – e su questo punto non abbiamo ricevuto risposta – che Cassa depositi e prestiti acquisti una parte della quota azionaria di Stellantis, come ha fatto il governo francese che ha aumentato la sua quota fino a diventare l’azionista maggioritario, insieme agli azionisti privati”.

Insomma, benché giudicare ex post sia sempre fin troppo facile, e lasci il tempo che trovi, qui si vuole evidenziare il fatto che la politica ha avuto diverse occasioni per intervenire: molte sono state elencate da Giorgetti da ministro allo Sviluppo economico coi vari ok alle operazioni prodromiche la fusione, altre richieste da Urso, dal Copasir e altrettante dai quotidiani.

Eppure, la politica ha preferito non intervenire, lasciando le mani libere agli Elkann. Altro fatto da tenere in considerazione è che, mentre Fca, per mezzo di Stellantis, accoglieva al posto di guida i francesi, si sono alternati governi di tutti i colori. All’epoca lo stesso Calenda, salvo puntare i piedi sul prestito di Fca in piena pandemia, non risultava altrettanto attivo come oggi (ma siamo ben disposti a correggerci, se ricordiamo male).

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