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Egitto

Quanto costerà la crisi di Suez all’Italia?

Dal canale di Suez transita il 40% dell’import-export dell’Italia, oltre che il 10% del petrolio e il gas liquido, ma gli attacchi dei ribelli houthi alle navi commerciali nel mar Rosso stanno costringendo a cambiare rotta. Fatti, numeri e analisi

 

Dal 19 ottobre i ribelli houthi, con base nello Yemen ma sostenuti dall’Iran, hanno iniziato ad attaccare le navi commerciali in transito nel mar Rosso in chiave anti-Israele. Questo ha costretto, per ragioni di sicurezza, diverse grandi compagnie di trasporto merci a cambiare rotta, allungando i tempi e facendo lievitare i costi.

Gli Stati Uniti hanno quindi annunciato una missione navale per pattugliare il mar Rosso, a cui parteciperà anche l’Italia con la fregata Fasan perché, come ha ricordato il ministro della Difesa Guido Crosetto, oltre a voler contrastare l’attività terroristica degli houthi al fianco della comunità internazionale, il nostro Paese non può permettersi di rinunciare al commercio via Suez.

QUANTO IMPORT-EXPORT ITALIANO PASSA PER SUEZ

Attraverso il canale di Suez transita il 40% dell’import-export dell’Italia per un valore di 82,8 miliardi di euro. A quantificarlo è stato di recente il quarto rapporto sul canale di Suez presentato da Srm, centro studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo, e Alexbank, la controllata egiziana del gruppo bancario italiano.

Questo, si legge nel documento, è un chiaro indicatore dell’importanza che il passaggio ha per il nostro Paese.

COSA HA DETTO CROSETTO

“Lì [nel mar Rosso, ndr] calcolate che solo per quanto riguarda il petrolio passa il 10%, poi c’è il gas liquido. Noi rischiamo di ritrovarci con i porti deserti nelle prossime settimane”, ha affermato ieri Crosetto a margine della Conferenza degli Ambasciatori alla Farnesina.

Motivo per cui “l’Italia – ha assicurato il ministro – farà la sua parte, insieme alla comunità internazionale, per contrastare l’attività terroristica di destabilizzazione degli houthi, che abbiamo già condannato pubblicamente, e per tutelare la prosperità del commercio e garantire la libertà di navigazione e il diritto internazionale”.

COSA SIGNIFICA LA CRISI SUEZ PER IL PORTO DI TRIESTE…

E la previsione di Crosetto è stata confermata da Zeno D’Agostino, presidente dell’European Sea Ports (Espo) e del porto di Trieste, che ha detto: “Per quanto riguarda Trieste avremo almeno due, tre settimane di stop”.

“Dal 27 dicembre a metà gennaio – ha precisato – non avremo navi, che stanno circumnavigando l’Africa. Se la situazione perdura, mi chiedo, una nave che circumnaviga l’Africa che interesse ha a entrare nel Mediterraneo o a raggiungere il Mediterraneo orientale o l’Adriatico? Il West Med si salva, l’East Med andrà servito in transhipping”.

…E PER I CONSUMATORI

“Mare insicuro significa mare costoso”, ha spiegato a La Verità Luca Sisto, direttore generale di Confitarma, la confederazione degli armatori: “Quando un’area di mare entra in una fase di insicurezza tutti i costi delle merci che passano in quell’area di mare aumentano per tutti. I veri costi aumentano per i consumatori finali, vale a dire per noi cittadini a terra. Gli aumenti di costi assicurativi vengono immediatamente ribaltati sulle merci trasportate e sui consumatori finali”.

Nel 2022, afferma il quotidiano, i porti italiani hanno movimentato oltre 490 milioni di tonnellate di merci, con un incremento dell’1,9% sul 2021.

I NUMERI DELLA CRISI DI SUEZ A LIVELLO GLOBALE

La crisi di Suez, sebbene colpisca di più l’Europa, come dichiarato dal Ceo di Maersk, che ha interrotto le operazioni nel mar Rosso e prevede da 2 a 4 settimane di ritardi, ha provocato finora il dirottamento di oltre 30 miliardi di dollari di merci.

Attualmente, secondo Paolo Montrone, vicepresidente senior e responsabile globale della logistica commerciale marittima di Kuehne+Nagel, sono 57 le navi portacontainer che stanno circumnavigando l’Africa – che tradotto vuol dire aggiungere al tragitto circa 3.400 miglia nautiche, ovvero quasi 14 giorni in più. E il numero sembra destinato a salire.

Il valore approssimativo di questi container, afferma Antonella Teodoro, consulente senior di MDS Transmodal, è di 50.000 dollari, che equivale a 35 miliardi di dollari di merci dirottate.

Un viaggio più lungo, ricorda poi Bloomberg, significa anche 1 milione di dollari di carburante in più a tratta, oltre che l’aumento del costo delle assicurazioni per le navi, con la copertura del cosiddetto “rischio di guerra” che è decuplicata rispetto a prima degli attacchi.

L’IMPORTANZA DEL CANALE DI SUEZ PER LA SUPPLY CHAIN GLOBALE

Come infatti è ben visibile nella mappa riportata dall’Ispi e come spiegato dalla senior associate research fellow Eleonora Ardemagni, “lo Stretto di Bab el-Mandab che separa lo Yemen dall’Africa orientale – e conduce a nord verso il Mar Rosso e il Canale di Suez – è uno dei più cruciali ‘choke points’ delle rotte internazionali insieme agli Stretti di Hormuz e Malacca” e l’impossibilità di attraversarlo (pensiamo a quando si era incagliata la Ever Given nel 2021) ha inevitabilmente un grave impatto sulle catene di approvvigionamento globali.

Fonte: Ispi

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